La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 29 luglio 2015

Sinistra? I partiti cedano sovranità

di Enrico Tomaselli
Rac­co­gliendo l’invito di Norma Ran­geri a un con­fronto su come-quale sini­stra costruire, aperto dal suo «Deca­logo per l’alternativa», vor­rei sot­to­li­neare due que­stioni che, a mio avviso, sono di grande rile­vanza.
La prima è in ordine al «come». Che ci sia una estrema fram­men­ta­zione è cosa evi­dente, e già que­sto – di per sé — costi­tui­sce un pro­blema, poi­ché mag­giore è il numero di pezzi che com­pon­gono il puzzle, mag­giore è l’impegno neces­sa­rio per ricomporlo.
Ma io credo che in effetti l’ostacolo mag­giore sia la fram­men­ta­zione delle lea­der­ship. Cia­scuna delle (pos­si­bili) com­po­nenti di que­sta sini­stra nuova ha una sua lea­der­ship, che ten­den­zial­mente cerca di tro­vare — nel nuovo «sog­getto» — un suo spa­zio, ade­guato alla per­ce­zione di sé, del pro­prio sog­getto di pro­ve­nienza. Di que­sta poten­ziale con­flit­tua­lità credo si vedano già i primi segnali.
Ecco, io ho l’impressione che si possa sta­bi­lire un utile paral­lelo tra que­sto e la que­stione dell’Europa. Oggi siamo di fronte ad un Europa lar­ga­mente per­ce­pita come «estra­nea» e «insufficiente».
La rispo­sta «di destra» è la chiu­sura, il ritorno ai nazionalismi.
La rispo­sta «di sini­stra» non può che essere, al con­tra­rio, «più Europa», intesa come mag­giore inte­gra­zione. Ma que­sta «rispo­sta» è più dif­fi­cile, per­ché com­porta una mag­giore ces­sione di sovra­nità, che – stando così le cose — viene per­ce­pita come una minac­cia ancora più grande.
Dun­que, la rispo­sta non può che essere basata su uno scam­bio: meno sovra­nità e più soli­da­rietà, più com­par­te­ci­pa­zione, più demo­cra­zia. Un pro­cesso, più che uno step; una pro­spet­tiva. Quel che, tra un anno o poco più, pos­sono comin­ciare a met­tere in campo Syriza + Pode­mos + Sinn Féin + …
Ugual­mente, per la sini­stra nuova è neces­sa­rio par­tire dal rico­no­sci­mento che serve un pro­cesso (non un «con­gresso costi­tuente» né una «trat­ta­tiva» tra segre­te­rie), e che que­sto pro­cesso deve par­tire avendo chiara la neces­sità di una reci­proca ed uguale «ces­sione di sovra­nità». Che, in parole povere, signi­fica non porsi il pro­blema di quale sarà la lea­der­ship finale né del «peso» che cia­scuna com­po­nente avrà nel nuovo sog­getto. Che altri­menti nasce­rebbe con tutti i germi della (futura) divi­sione inscritti nel pro­prio Dna.
Senza fare «pro­cessi» a nes­suno, ma anche senza nascon­dersi nulla, va detto chia­ra­mente a tutte le attuali lea­der­ship che la mas­sima dimo­stra­zione di intel­li­genza poli­tica e gene­ro­sità, che pos­sano oggi mostrare, è quella di avviare e accom­pa­gnare que­sto pro­cesso, che chia­ra­mente com­porti la neces­sità di una lea­der­ship nuova. Non presa «dalla strada», certo, ma che non sia nem­meno il frutto (avve­le­nato) di una com­pe­ti­zione e/o di un «accordo» tra le lea­der­ship attuali.
Que­sta è la prima que­stione che può fare la dif­fe­renza tra una sini­stra nuova, capace di allar­garsi oltre i suoi tra­di­zio­nali «recinti», e l’ennesima ripro­po­si­zione di una sini­stra nove­cen­te­sca, che que­sti recinti non riu­scirà mai a sfondare.
L’altra que­stione è in ordine al «quale». Abbiamo un grande rife­ri­mento, nel nostro recente pas­sato, ed è un rife­ri­mento lar­ga­mente comune (e sot­to­li­neo il «lar­ga­mente»): l’esperienza di Porto Ale­gre. Mi rife­ri­sco chia­ra­mente a tutto ciò che stava den­tro quel movi­mento mon­diale, che in Ita­lia fu (in parte) fer­mato a Genova, nel luglio di 14 anni fa, ma che ancora un anno dopo (Forum Sociale Mon­diale di Firenze) aveva una forza enorme, che nes­suno ha saputo raccogliere.
Quello che allora appa­riva ai più come un radi­ca­li­smo estremo, è oggi quasi senso comune, e comun­que sotto gli occhi di tutti.
Ripar­tire da quella piat­ta­forma, da quelle idee-forza, è ancora oggi non solo attua­lis­simo, ma asso­lu­ta­mente «potente». Quasi tutto il resto — le forme orga­niz­za­tive, le scelte tat­ti­che, etc. – in buona parte ver­rebbe da sé.
La domanda chiave, quindi, è: sapranno le lea­der­ship attuali avere que­sta intel­li­genza e que­sta gene­ro­sità? Sapremo noi far loro com­pren­dere que­sta necessità?

Fonte: il manifesto

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