La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 13 maggio 2016

E se la destra tedesca volesse uscire dall’euro?

di Riccardo Achilli
Ci sarebbe da fare una riflessione sulla radicalizzazione della posizione tedesca sulla destrutturazione dell’euro (vedi proposta-Schaeuble/Weidmann sul tetto alla detenzione di titoli pubblici delle banche, che condurrebbe i Paesi indebitati euromediterranei ad un default immediato, o l’irrazionale e pazzesca chiusura persino ad una cosa necessaria tecnicamente, come la ristrutturazione del debito greco, ma anche la posizione di Angela Merkel, a quanto pare favorevole al muro del Brennero, che ovviamente, frenando i movimenti del fattore lavoro, ha effetti negativi anche sulla tenuta dell’area valutaria comune; mentre la proposta olandese di sostituire il target del disavanzo strutturale con quello della spesa pubblica rischia di aggravare il rigore e le spinte di distruzione del sistema pubblico, al contempo evitando di affrontare la proposta italiana di ricalcolo dell’output gap, parametro legato al calcolo del disavanzo strutturale.
Un ricalcolo che consentirebbe al nostro Paese di ridurre gli sforzi di taglio della spesa. C’è da considerare l’ipotesi che tale irrigidimento tedesco sia soltanto elettoralistico, in vista delle elezioni del 2017 in quel Paese, per coprirsi da destra rispetto all’avanzata del partito euroscettico Afd. E sia quindi momentaneo. Ma verrebbe da pensare alla frase “quanto vale un momento?” Perché se la destra di governo del Paese egemone pensa di assumere posizioni chiaramente dirette al disfacimento dell’area euro da qui a settembre 2017, è probabile che, alla fine, i mercati inizino a scontare tale ipotesi e inizino a scommettere proprio contro l’euro, in un classico esempio di previsione autorealizzante. Giacché, peraltro, la diga monetaria di Draghi, una sorta di linea Maginot di tenuta dell’euro, inizia a disfarsi. Il programma di acquisti di titoli di Stato non riesce più, infatti, a frenare la caduta delle quotazioni nei Paesi ad alto debito, segno di investitori in fuga. Ad esempio, in Grecia la recente emissione di titoli di Stato a 6 mesi senza riduzione del rendimento rispetto all’asta precedente. In Italia, l’ultima asta di Btp a 5 e 10 anni, veri e propri termometri di come gli investitori immaginano l’economia del Paese nel medio termine, vede alzare il rendimento, e lo spread fra Btp e Bund torna a crescere leggermente.
Sembra quindi poco probabile che la Germania sia intenzionata a sfidare per oltre un anno i mercati finanziari tenendo sotto tensione le aspettative sul futuro dell’euro con continue sparate euroscettiche. Forse stavolta sta giocando sul serio. Verrebbe da pensare che questa sia sempre stata la strategia di fondo dei tedeschi: ammazzare di austerità le economie concorrenti euromediterranee (ad es. negando oltre ogni ragionevolezza, e persino contro gli appelli di Obama, un sostanzioso incremento della domanda interna, per riequilibrare il mostruoso squilibrio nei saldi di bilancia dei pagamenti intraeuro) per poi scaricarle a mare, costruendo un euro del Nord fra virtuosi, conquistando quindi, al contempo, un impero economico sui Paesi satellite del nord e dell’Est Europa, e distruggendo nemici storici (ivi compresi i francesi, oramai anche loro assoggettati alla logica del “rigueur”).
Se sono complottista, allora siamo in due: Wolfgang Streek, in un articolo segnalatomi, dice la stessa cosa: “Europe is falling apart, destroyed by its most devoted fans, the Germans. In the summer of 2015, having humiliated the Greeks by forcing another reform diktat down their throats, Angela Merkel started a new game, aimed at diverting attention from the economic and political disaster monetary union had become”.
Se l’ordoliberismo tedesco, un tempo fanatico propulsore dell’euro, si trasforma nel suo distruttore, allora abbiamo un curioso, ma profondo, cambiamento delle prospettive: se la destra tedesca vuole la morte dell’euro, ovviamente alle sue condizioni (cioè un euro del Nord protetto da tassi di cambio piuttosto rigidi con i Paesi euromediterranei ridotti al fallimento, magari nuovi spossessamenti di sovranità nazionale in materia di politiche fiscali, per garantire comunque che tali Paesi rimangano sotto la briglia dell’austerità, e tenendo aperte le frontiere ai movimenti di capitali, ma non a quelli delle persone)allora la sinistra non può più, sic et simpliciter, impugnare l’arma dell’uscita dall’euro incondizionata, allineandosi alle posizioni dei populismi di destra e dei lepenismi.
La radicalizzazione tedesca apre la strada a una proposta, quantomeno tattica, di fronte euromediterraneo di sinistre anti-austerità. In grado di agitare la possibilità, ora concretissima, di autocombustione dell’euro proprio a quei segmenti di opinioni pubbliche nazionali terrorizzate da tale eventualità. Catturandone consenso. Chiaramente però non si può, come pensano gli ingenui, credere che la posizione tedesca possa essere smossa di fronte ad una richiesta congiunta di minore austerità, per cui occorre un piano B (sapendo che potrebbe essere quello A), che a questo punto potrebbe essere, come suggerì anni fa Bruno Amoroso, un euro del Sud, possibilmente dotato di sufficienti margini di oscillazione per svalutazioni competitive e di forti controlli sui movimenti di capitali da Sud a Nord, onde ridurre le fughe, nonché di strumenti di politica economica per far ripartire gli investimenti ed i consumi in questa parte dell’Europa (che presuppongono il mantenimento di una sovranità nazionale sulle politiche fiscali). Il punto è che, se l’uscita dall’euro diventa una bandiera, anche solo elettoralistica, della destra ordoliberista, non si può andare dietro passivamente e dire “ok, fateci voi il lavoro di distruzione dell’euro”. Anche solo a fini di conquista del consenso elettorale, differenziandosi a questo punto dalla destra, occorrerebbe, almeno tatticamente, impugnare la bandiera del “salviamo l’Europa da sé stessa”, anche sapendo già che tale bandiera non porterà a niente, e prepararsi per una uscita dall’euro che non sia dettata dal piano dei tedeschi, ma che sia il più possibile a noi conveniente.
Tra l’altro, personalmente dubito della previsione di Streeck, secondo la quale la combustione definitiva dell’euro sarà un fenomeno di lungo periodo, per cui ci vorranno almeno altri dieci anni di battaglie sanguinose fra fautori dell’austerità e dell’espansione, e fautori della devoluzione dei poteri a Bruxelles e difensori della sovranità nazionale. E’ possibile, se non probabile, che la combustione dell’euro, specie se guidata da una precisa strategia tedesca, si realizzi rapidamente. Anche perché le previsioni di crescita dell’economia tedesca stanno ricevendo un consensus al ribasso. Sia perché i mercati internazionali (Cina, ma anche mercati euromediterranei) sono in rallentamento oppure in semi-stagnazione, sia perché il costo economico di mantenere una egemonia basata sull’austerità impedisce alle Autorità tedesche di rafforzare la domanda interna. Il rischio per i tedeschi quindi è che per rimanere troppo legati ad un’area euro alla deriva, si finisca per precipitare dentro l’occhio del ciclone della deflazione, senza poter imboccare una ripresa robusta. Anche perché interi pezzi di area-euro sono oramai incontrollabili politicamente. Spagna, Irlanda, ma anche il Portogallo, infatti, hanno imboccato il sentiero di una lunga fase di ingovernabilità, che rende oggettivamente impossibile gestire ulteriori razioni di austerità e di riforme strutturali.
Quindi gli scenari sono incerti e molto volatili dinamici, il tempo potrebbe non essere lunghissimo, ed occorre posizionarsi rapidamente. Occorre saper catturare il terrore dell’opinione pubblica per la possibile fine dell’euro, sapendo che, essendo questo lo scenario più probabile, al di là di europeismi di facciata, occorre lavorare segretamente, senza dirlo troppo esplicitamente, insieme alle forze di sinistra delle altre capitali che possono risentire della fine della moneta unica ad un fronte che forzi verso una fuoriuscita il meno dolorosa possibile (forze di sinistra che ovviamente escludono il socialismo europeo, che si specchia, impotente, davanti alla tragedia del suo disfacimento culturale ed elettorale),
Certo, se l’euro esplodesse in modo particolarmente rapido e guidato dal progetto tedesco, assisteremmo ad un fatto epocale: l’estinzione, come i dinosauri, dell’intera classe politica italiana che, a partire dal 1992, ha mascherato la sua incapacità di dare una disciplina economico-sociale al Paese con un europeismo fanatico, sperando di poter importare da fuori un vincolo alle politiche di bilancio che si era incapaci di assumere in proprio. Il nostro Paese rischia scenari argentini, non solo dal punto di vista di un più che ovvio default, m anche di capi di stato e di governo che scappano via in elicottero, memori della fuga di De La Rua dal popolo furioso che invadeva la Casa Rosada. Ma poi ci sarebbe veramente poco da ridere. Avremmo un futuro di bidonville e fame. Quando andai in Argentina, in piena crisi, si viveva in baracche di latta e legno, e padri di famiglia giacevano sul marciapiede con i loro figli, chiedendo qualche peso.

Fonte: linterferenza.info

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