La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 14 maggio 2016

La Polonia tra deriva autoritaria e resistenza democratica

di Daniele Stasi
A distanza di alcuni mesi dalle elezioni in Polonia si avvertono i primi scricchiolii, se non l’aprirsi di vere e proprie falle, nella compagine di governo espressione del partito di “Diritto e Giustizia”. Nel corso di una delle rare interviste rilasciata alla stampa qualche giorno fa, Jarosław Kaczyński aveva affermato che il premier Beata Szydło “è responsabile delle sue azioni” e che i problemi rilevati in alcuni ministeri “devono essere risolti in modo drastico”: qualcosa di più di una formulazione di dubbi rispetto al lavoro della sua fedelissima. Nella stessa intervista Kaczyński definiva il governo in carica “un esperimento” e non escludeva un rimpasto nei prossimi mesi. Voci di corridoio e rumors narrano di tensioni nel governo tra un premier poco carismatico, a cui sarebbe attribuito in sostanza il ruolo di tenere in caldo la sedia per il suo successore, e i ministri in costante ricerca del consenso da parte di chi ha davvero in mano le chiavi del partito, del governo e, per alcuni, della nazione intera: Jarosław Kaczyński.
Per il Paese sulla Vistola gli ultimi mesi sono stati particolarmente agitati. La scoperta delle carte che inchioderebbero Lech Wałęsa, padre della Polonia libera e premio Nobel per la pace, al suo passato di collaboratore foraggiato dai servizi segreti comunisti è piovuta come manna dal cielo per i rappresentanti e i sostenitori della destra euroscettica. L’affaire Wałęsa ha distratto l’opinione pubblica per diverse settimane dall’azione del governo in carica e ha rappresentato per taluni la conferma dell’inquietante tesi sostenuta da sempre da Kaczyński, vale a dire che la Polonia libera sarebbe il frutto del compromesso del 1989 tra i comunisti al governo e alcuni traditori dell’interesse nazionale al soldo dei servizi segreti, tra cui spiccherebbe l’ex capo di Solidarność. 
I documenti, trovati nella casa del generale Kiszczak, morto lo scorso novembre, collaboratore di Jaruzelski e figura fondamentale della transizione dal regime autoritario alla liberal-democrazia, sono tutti da verificare. Diverse sono le incongruenze e gli errori lampanti contenuti nelle carte che riguarderebbero Wałęsa e non è da escludere, come già è successo in passato, che si tratti di una montatura orchestrata ai danni di Wałęsa. Tra le carte ritrovate nell’appartamento del generale scomparso comparirebbero sul libro paga dei vecchi servizi comunisti anche i nomi di alcuni membri della gerarchia cattolica polacca. 
Si tratta, in breve, di una bomba a orologeria, probabilmente un insieme d’illazioni e falsità che sarebbero state messe a disposizione del migliore offerente nel caso in cui Kiszczak ne avesse avuto bisogno. Tadeusz Mazowiecki, il primo premier postcomunista dalla lunga militanza a favore della democrazia, aveva voluto nel 1989 porre “un grande trattino” sul passato degli uomini di cultura, dei politici e dei giornalisti durante gli anni della Repubblica Popolare. In questo modo Mazowiecki, prigioniero nelle prigioni comuniste negli anni Ottanta, voleva scoraggiare ogni tentativo di far saltare carte calunniose e accuse infamanti nei confronti di chiunque e per le quali poteva essere compromesso il clima di unità degli anni della ricostruzione alla cui realizzazione i “vecchi carcerati e i vecchi carcerieri” erano chiamati a contribuire. Non di questo avviso era Kaczyński, che, al contrario di Wałęsa e Mazowiecki, ha un curriculum da dissidente ai tempi del regime assai modesto e che in questi anni ha ostinatamente favoleggiato di patti segreti, ombre sulla nuova repubblica, tradimenti, inganni e interessi stranieri. 
Passata la bufera su Wałęsa, che ha incassato la solidarietà e il sostegno di molta parte del mondo della cultura e della politica polacco, il partito al governo ha continuato nella sua strategia di conquista di ogni spazio a disposizione aprendo fronti con la Corte Costituzionale, attaccata furiosamente; con la stampa e la televisione pubblica, attraverso l’iscrizione nella lista dei reprobi di alcuni giornalisti o il licenziamento di chi non era allineato alle posizioni del partito al governo; con la ripetuta intenzione di riscrivere la Costituzione del 1997, per la destra euroscettica frutto avvelenato del compromesso sleale e al ribasso dei traditori e dei comunisti. 
Contro la deriva autoritaria, i tre presidenti della Polonia dal 1990 al 2015 hanno sottoscritto un appello per la difesa della democrazia, delle regole del gioco liberali e della divisione dei poteri nel proprio Paese. I media non hanno mancato di immortalarli in inquadrature in primo piano e in pose collettive che ricordavano quelle dei presidenti americani del Monte Rushmore, quasi a porre l’accento sul loro ruolo di padri della patria e incarnazione vivente della recente storia polacca. 
Lech Wałęsa, Bronisław Komorowski e Aleksander Kwaśniewski sono stati divisi in passato da molte cose: scontri personali e politici innanzitutto. La politica filoeuropea e la visione neoatlantica hanno rappresentato nondimeno il tratto comune dei loro mandati presidenziali. Se per i primi due il guardare a Occidente era scontato, in ragione di una lunga militanza anticomunista e della profonda fede cattolica, in Kwaśniewski costituiva il frutto di considerazioni di realpolitik accanto alla scelta, da postcomunista, di sostenere e superare, per altro brillantemente, gli esami di atlantismo e di apertura all’Unione Europea. Proprio Kwaśniewski è stato il presidente con il più lungo periodo di permanenza al palazzo “Belvedere”: due mandati consecutivi, dal 1995, dopo aver impartito una dura sconfitta a Wałęsa, fino al 2005. I suoi anni alla presidenza hanno coincisocon la grande trasformazione per la Polonia, attraverso, ad esempio, l’ingresso in Europa nel 2004. Dopo la presidenza di Kwaśniewski l’uscita da un passato grigio, di povertà e dittatura sembrava ormai una strada a senso unico, un felice punto di non ritorno. 
Oltre ai tre presidenti, in questi sette mesi dalla vittoria elettorale del partito di “Diritto e Giustizia”, molti sono stati gli uomini del mondo accademico, dello spettacolo e della cultura in generale che hanno preso le distanze o si sono apertamente schierati contro la svolta politica autoritaria e populistica imposta da Jarosław Kaczyński. Anche tra i meno prevenuti nei confronti di “Diritto e Giustizia” sono prevalsi lo sgomento e l’indignazione dopo che era diventato chiaro, per parafrasare il titolo di un nostro articolo apparso su questa pagina subito dopo la vittoria di Kaczyński, che non sarebbero stati fatti prigionieri. Le parole dello stesso Wałęsa dopo la vittoria elettorale ”diamogli sei mesi di tempo e poi formuleremo un giudizio” sembrano oggi aperture di credito illusorie, ricerca di un compromesso che, come scrive un autorevole opinionista come Żakowski, è lontana dalle intenzioni di “Diritto e Giustizia” e del suo leader.
Con le iniziative intraprese dal governo sembrano essere state gettate le basi per la nascita di uno Stato autoritario e per un ritorno al passato in cui al partito era attribuito il compito di gestire la vita dei cittadini “dalla culla alla bara”. Non serve scomodare i teorici della biopolitica per osservare gli effetti del potere sulla nuda vita dopo l’introduzione di un sostanzioso sussidio a ogni famiglia, più che altro un premio, per ogni neonato. La natalità in alcune zone della Polonia è in crescita. 
Alcuni anni fa un intellettuale aveva dichiarato, provocando un putiferio, che in Polonia, anche a causa del dilagante cattolicesimo premoderno in alcune zone del Paese, le donne considerano loro massima realizzazione spingere un passeggino per bambini. In un contesto simbolico babelico e di spaesamento collettivo, di ristrettezza non solo materiale ma anche ideale e di prospettive, la gioia di un nascituro per molte donne polacche è l’unica possibile e a portata di mano, anche in un’età nella quale le loro coetanee all’estero di solito investono energie per la realizzazione personale nello studio e nella carriera. Il consistente contributo previsto dal governo mette al riparo le neomamme da molti patemi legati alle loro difficoltà materiali ma allo stesso tempo rafforza lo stereotipo della donna che si sacrifica per la prole, la famiglia e la nazione. Se il valore della famiglia e dell’amore cristiano è esaltato in molte occasioni pubbliche, le statistiche parlano di un crescente razzismo e xenofobia nei confronti degli stranieri e nuovi immigrati che potrebbero “violentare le nostre donne” e “propagare malattie” come si legge in numerosi blogs frequentati dai più giovani, di tutte le classi e di ogni livello culturale. Il controllo della vita avviene, oltre con l’eccezionale crescita del numero di telecamere in luoghi pubblici e d’istituzioni investigative e anticorruzione, mediante la nascita di un corpo di volontari della sicurezza, voluto dal ministro della difesa, a cui hanno dichiarato di volersi arruolare diversi militanti della destra neofascista. Il prosperare di movimenti come ONR, razzista e violento, che ha di recente celebrato solennemente il suo anniversario della fondazione con una messa in chiesa, allarga la paura sociale e allo stesso tempo fa dilagare la richiesta di ordine attraverso, ad esempio, i corpi ai quali i fascisti stessi chiedono di partecipare. Contro la deriva autoritaria e il ritorno al passato di una Polonia divisa e debole, è nato un movimento appoggiato dai tre presidenti: KOD, comitati di difesa della democrazia, che pare per il momento far proseliti soprattutto tra l’inteligencja e i ceti medio-alti cittadini. 
Kaczyński intanto continua nel suo lavoro dietro le quinte con l’obiettivo di far diventare, parole sue, “Varsavia la nuova Budapest”. Come nelle precedenti esperienze che l’hanno visto protagonista, le tensioni nel suo governo sono provocate ad arte e sfoceranno verosimilmente in un suo diretto coinvolgimento in una prossima compagine governativa. La scelta di Szydło era buona per conquistare il potere e consentirgli di muovere i fili del “sistema”. La parabola di quest’uomo è ad ogni modo unica, da consigliere e “anima nera” di Wałęsa a custode della Costituzione sul modello del Maresciallo Piłsudski. Il futuro della Polonia dipende da lui salvo che le forze democratiche e filooccidentali non riescano ad allearsi e trovare un terreno d’intesa comune, magari intorno alla figura di Donald Tusk, il vero anti-Kaczyński, attuale Presidente della Commissione Europea. Il 3 maggio si è festeggiato l’anniversario della Costituzione del 1791, la prima in Europa, in un Paese nel quale il potere politico pare agire in spregio alle regole formali della democrazia e del diritto.

Fonte: MicroMega online

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