di Paolo Ferrero
Alcuni mesi fa Salvini mi querelò perché gli diedi del nazista. Avevo scritto che: «Salvini non è uno sciacallo. Gli sciacalli agiscono per istinto animale non per calcolo. Salvini al contrario usa i disastri e lo spaesamento prodotti dal neoliberismo per costruire scientificamente la guerra tra i poveri e la ricerca di capri espiatori nel diverso. Salvini non è uno sciacallo ma un nazista, come quelli che all’inizio degli anni ’30 gridavano al complotto giudaico massonico». In questi giorni il Tribunale di Torino ha emesso la sentenza in cui dichiara di non doversi procedere nei miei confronti perché il fatto non costituisce reato. Si tratta di una sentenza importante per più ragioni. In primo luogo questa sentenza riconosce la legittimità di denunciare come Salvini sia un nazista in quanto usa argomenti simili a quelli dei nazisti che all’inizio degli anni ’30 hanno fondato i loro consensi sulla costruzione della guerra tra i poveri e dei capri espiatori.
Non è una cosa di poco conto. Se «historia magistra vitae», se cioè dalla storia si può e si deve imparare per non ripetere gli errori già commessi, troppo spesso le similitudini dei fascisti nostrani – che normalmente non si definiscono tali – con i movimenti fascisti e nazisti degli anni venti e trenta del secolo scorso vengono ostacolate da denunce e querele. Questo inibisce il dibattito politico e non permette di chiamare le cose con il loro nome e di far risaltare come dietro il nuovismo di molte destre populiste vi sia una grande quantità di ciarpame fascista e nazista già visto e purtroppo esperimentato.
Non è una cosa di poco conto. Se «historia magistra vitae», se cioè dalla storia si può e si deve imparare per non ripetere gli errori già commessi, troppo spesso le similitudini dei fascisti nostrani – che normalmente non si definiscono tali – con i movimenti fascisti e nazisti degli anni venti e trenta del secolo scorso vengono ostacolate da denunce e querele. Questo inibisce il dibattito politico e non permette di chiamare le cose con il loro nome e di far risaltare come dietro il nuovismo di molte destre populiste vi sia una grande quantità di ciarpame fascista e nazista già visto e purtroppo esperimentato.
In secondo luogo apre ad un diverso punto di vista sulle esperienze del fascismo e del nazismo, un punto di vista indispensabile ai fini della battaglia politica antifascista a livello popolare. In questi anni abbiamo giustamente denunciato come gli esisti del fascismo e del nazismo siano stati la guerra, l’olocausto, i campi di concentramento. Su questo abbiamo costruito un vero e proprio tabù e salvo pochi invasati non vi sono molti estimatori dei campi di concentramento. I nazisti e i fascisti nostrani hanno però messo in campo una strategia di depistaggio che si basa sul non definirsi tali. Varie organizzazioni e movimenti portatori di ideologie fasciste e naziste, a partire dalla costruzione sistematica del capro espiatorio – che sia zingaro o immigrato poco importa – si definiscono ne di destra ne di sinistra.
Questa politica che ricalca il fascismo e il nazismo allo stato nascente – weimariano, futurista, bundish, più da freikorps che da parate militari – non pone al centro i regimi nazisti o fascisti. Pone al centro gli elementi di «longue duree» – presenti nella cultura popolare – su cui i fascismi e i nazismi hanno appoggiato la loro politica: il sangue, la terra, il colore della pelle, la nazione, la religione. Ognuno di questi elementi viene sfigurato, assolutizzato e proposto – nella drammatica crisi sociale prodotta dalle politiche neoliberiste – come il punto di partenza per la difesa degli interessi materiali popolari, di costruzione di una comunità escludente, di un «noi contro di voi».
È bene che anche a livello popolare iniziamo a chiamare tutto questo con il suo nome: fascismo e nazionalsocialismo. Chiamare le cose con il loro nome è il primo passo per potersi difendere da chi ripropone tesi che nel passato hanno portato ad una barbarie che l’umanità – con il contributo determinante dei comunisti e delle comuniste – ha sconfitto.
Fonte: il manifesto
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