La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 12 maggio 2016

Nuit Debout, la rete europea delle città ribelli

di Silvia Favasuli
Attorno alla piazza, diversi occhi ascoltano il brusio che già sale. Sono le 4 di pomeriggio e Philip Martin accende la telecamera. «È un movimento notturno,dice, i più devono ancora arrivare. Attorno alle 8 la piazza sarà completamente piena», spiega dall’alto dei gradini del Boulverd du Temple. «Vengo qui tutti i week-end, da un mese a questa parte. C’è una voglia di comunitarismo in questi giovani mai vista prima. Credo che a portarli qui sia una nuova creatività, uno spirito nuovo che mancava da un po’». Martin sta girando un documentario su Nuit Debout, il movimento sociale spontaneo nato il 31 marzo in Place de la Republique a Parigi, dopo una giornata di forte proteste contro la proposta di Riforma del Lavoro avanzata dal Governo Hollande.
È partito da Parigi, ma si è diffuso a macchia d’olio in tutte le cittadine francesi (fonte Nuit Debout). Giovani e adulti tra i 20 e i 40 anni riempiono tutte le sere Place de laRepublique. Sono diverse centinaia e si fermano fino a mezzanotte, quando lo Stato di Emergenza francese li obbliga a sgomberare. Nuit Debout vuol dire proprio questo. Notti in piedi. Il prossimo 15 maggio, la protesta dei parigini diventerà globale (#GlobalDebout), estendendosi a molte altre città europee, comprese le italiane Torino, Milano e Roma. L’obiettivo, è la creazione di un network di «città ribelli».
All’altro lato della piazza, sempre piuttosto discostato, Jean-Robert Franco osserva l’inizio dei lavori. «Non c’è solo opposizione alla legge El Komri (il nome del ministro del Lavoro francese, ndr)», spiega Jean-Robert Franco. «Questi ragazzi chiedono più libertà. Sono stanchi di fare lavori di cui non gli importa nulla. Non vogliono più essere assalariati, ma chiedono di poter mettere in gioco le loro capacità in modo significativo». Jean-Robert ha fatto il Sessantotto. Oggi è in Place de la Republique a distribuire i volantini della Grand Consultation Citoyenne (Grande consultazione cittadina) lanciata dal Partito Comunista: un lungo questionario con cui si chiede di indicare le priorità dell’agenda politica. Forse, il tentativo estremo di recuperare terreno di fronte al nuovo che avanza.
Al centro di Place de la Republique, i manifestanti si siedono per terra in cerchio. Sono divisi in varie «commissioni» e discutono di diversi argomenti.Esiste il gruppo Identity, che ragiona su multiculturalismo e integrazione. La commissione Donne e minoranze di genere. Quella Ecologia. Policy and values e molte altre. In tutto sono una novantina. Ogni commissione ha un gruppo sul social network Telegram, per permettere a chi è assente di restare aggiornato sugli sviluppi. Si raccolgono anche le mail personali, a cui vengono inviati recap e inviti. Chiunque è libero di partecipare. Basta sedersi a terra e prenotare l’intervento mettendo il proprio nome su un foglio di carta. Non ci sono scopi precisi o concreti. Si parla soprattutto per il piacere di confrontare idee. Eccetto oggi.
«Oggi sono presenti delegati da tutta Europa. Sono venuti per uno scambio di esperienze. Per definire quel che ci accomuna», spiega Simon Quantin, 40 anni, che lavora come statistico per il governo. «Dobbiamo decidere cosa fare in vista della manifestazione generale di settimana prossima, il15 maggio. Cosa abbiamo in comune? L’anticapitalismo».
Anticapitalismo, in Piazza della Republique, è una parola piuttosto ricorrente. Ma assume un significato particolare. «Non sopporto l’idea di dover lavorare solo per guadagnare denaro», spiega Simon. Matteo, 26 anni, avvocato praticante, si affaccia da dietro il banchetto creato per dare consigli ai manifestanti. Spieghiamo come comportarsi in caso di sgombero o arresto da parte della polizia. «Qualche sera fa siamo stati attaccati con i gas lacrimogeni solo perché volevamo fermarci un po'; oltre la mezzanotte. Il Governo sta usando lo Stato di Emergenza (introdotto dopo l’attacco terroristico del 13 novembre, ndr) per limitare i raduni». Matteo non accetta che a dare valore alle cose prodotte sia semplicemente la quantità di lavoro necessaria per realizzarle. «Le cose hanno valore in base allo scopo per cui le compriamo». Nuit Debout per lui ha un compito preciso: reinventare la democrazia, arricchirla d nuove esperienze. «Le istituzioni sono gerarchiche. Anche i sindacati lo sono. Qui stiamo provando una via di mezzo, che offra più orizzontalità». Matteo sostiene la necessità di decentralizzare le decisioni politiche, perché siano il più possibile vicine alle persone interessate. Si oppone alla legge El Komri perché, dice, favorendo il licenziamento, «creerà più competizione. Troppa».
La legge El Komri, questo il nome ereditato dal ministro del lavoro francese, porterà, se approvata, più facilità di licenziamento e uno spostamento sostanziale dalla contrattazione collettiva a quella aziendale, annullando di fatto il ruolo dei sindacati e riducendo molte trattative ad accordi tra impresa e lavoratori, compresa l’estensione delle ore di lavoro.
«E’ un movimento che sta ancora cercando se stesso», spiega Marie, 38 anni, ricercatrice in Filosofia Politica, mentre finisce di scrivere l’ultimo cartello sulla precarietà, che appenderà insieme agli altri sul bordo della piazza. «Non vogliamo fare la rivoluzione. E non sappiamo di preciso dove vogliamo andare. Ma cerchiamo più democrazia, nuove pratiche. Stiamo discutendo della politica e delle sue fondamenta. In Francia non esiste più la sinistra, non c’è più alternativa tra partiti. Dicono tutti le stesse cose. Ma come ci si può sentire rappresentati se dicono tutti le stesse cose? Si è creato un gap troppo forte tra governanti e cittadini».
Renoir Fossard, 32 anni è venuto qui la prima volta 15 giorni fa e «non è più riuscito a smettere». Renoir si occupa per mestiere di lobby e advocacy in casi di evasione fiscale. Ma non ha mai fatto politica prima d'ora, né mai ci ha pensato. È particolarmente attivo, ed è incaricato di far funzionare le operazioni di voto. Spiega in sintesi il meccanismo che regola le attività della piazza. «Stiamo cercando nuove forme di orizzontalità. Per ora abbiamo un’assemblea sovrana che si raduna ogni sera. L’assemblea delega alle commissioni tematiche il compito di discutere e avanzare proposte. Le commissioni devono riportare quanto fatto all’assemblea generale, che le vota». Per il momento, il voto avviene attraverso gesti concordati tra i manifestanti. Si ruotano le mani in alto per esprimere consenso. Le braccia incrociate sulpetto significano opposizione. «Ma abbiamo bisogno di un nuovo meccanismo», afferma Renoir. Ora, se uno solo tra i presenti si oppone a una proposta, non la possiamo implementare. Questo però rallenta molto i lavori, e soprattutto ci espone a potenziali troll.
Giulia (che preferisce essere citata con un nome di fantasia) è venuta da Saragozza. È un membro del partito politico Podemos e fa parte del gruppo di spagnoli venuti a strutturare la protesta. «Una ragazza spagnola che lavora qui a Parigi ha chiesto ai ragazzi di Nuit Debout se erano interessati a confrontarsi con Hector Huerga, un suo amico coinvolto nelle proteste degli Indignados, per avere consigli», spiega Giulia. «Nuit Debout ha accettato e Hector ha portato alcuni di noi a dare una mano». I lavori quotidiani divisi tra commissioni tematiche e assemblea generale sono stati ripresi pari pari dal movimento spagnolo.
Anche il 15 maggio, il giorno scelto per lanciare il Global Dobout, la giornata di «azione globale», è un omaggio al Movimento 15 de Mayo spagnolo, l’altro nome degli Indignados.
Hector Huerga, 40 anni, di mestiere fa il ricercatore e spiega di essere venuto a Parigi perché si tratta di un movimento cruciale, «importante in un momento di razzismo crescente e neoliberalismo in tutta Europa». «Dobbiamo agire tutti insieme, dobbiamo creare un network di città ribelli per lottare a livello europeo e abbattere le differenze tra Nord, Sud, Est ed Ovest», dice, prendendo parte all’assemblea generale delle 20:00. «Il cambiamento che vogliamo in Europa deve venire dal basso, e può succedere solo attraverso città che lottano contro il sistema», urla Hector, prima di lanciare lo slogan degli Indignados: “Si, se puede”.
Poco dopo, accettando di essere intervistato, spiega che c’è un denominatore comune che unisce tutti i movimenti di protesta nati negli ultimi anni, da Occupy Wall Street a Gezi Park: «le persone vogliono poter dire di sì o di no ad ogni nuova legge che viene proposta», non accettando più di delegare a governi sentiti come troppo distanti. «In questo contesto le piazze diventano uno strumento per affrontare i problemi della vita quotidiana dimenticati da governi troppo interessati a soddisfare le grandi corporation anziché i cittadini. I nostri governi si preoccupano solo di preservare lo stile di vita di un ristretto gruppo di persone, che vive a spese di tutti gli altri». Hector non ha in mente dove questa rete di città ribelli potrebbe portare. «Questo è il momento in cui le persone stanno prendendo la piazza per discutere. Poi si deciderà dove andare». In Spagna, ricorda Hector, la piazza non ha portato solo alla nascita di Podemos. Il partito è solo uno degli esiti possibili. Molto più rilevante, anche se meno raccontata, è stata secondo lui la nascita di liste civiche formate interamente da Indignados e che ora guidano comuni importanti come quello di Madrid, Barcellona e Saragozza.
«Ho quasi 40 anni. Da 20 anni voto scegliendo il meno peggio», interviene Viktor. «Non c’è solo l’estrema sinistra qui a Place de la Republique. C’è anche tanta Middle Class. Sono persone che si prendono la responsabilità di decidere il proprio futuro».

Fonte: Linkiesta

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