di Roberto Ciccarelli
Alla fine lo hanno usato il camion-idrante in piazza Giulio Cesare al Campidoglio contro i movimenti per la casa. Quello che non è accaduto il 15 aprile scorso, in un’analoga manifestazione in cui i movimenti hanno incontrato i commissari romani, è accaduto ieri nell’apparente normalità di uno stato di emergenza che ha inglobato la democrazia. Gli attivisti si erano dati appuntamento sotto la statua del Marco Aurelio, in quella che dovrebbe essere considerata l’agorà della Capitale, il luogo dove i cittadini si riuniscono e chiedono di incontrare e negoziare con chi guida la città. Sotto il colonnato erano stati appesi striscioni che recitavano: “Prima i poveri: casa, reddito, dignità”; “sTRONChiamo gli sgomberi, no all’articolo 5”, il provvedimento del “piano casa Lupi” che taglia le utenze e nega la residenza agli occupanti e ai loro bambini.
I manifestanti hanno costruito una barricata di cartone per dividere il loro raduno dalla polizia in tenuta antisommossa. La situazione è degenerata rapidamente. Per la prima volta un camion idrante è intervenuto nella prestigiosa piazza per disperdere la folla con potenti getti d’acqua. È partita una carica che ha causato diversi feriti. Colpi hanno raggiunto anche i fotografi che seguono per lavoro queste manifestazioni. Si sono formati capannelli attorno a donne ferite, si visto il sangue sulle levigate pietre della piazza al tramonto.
L’azione è stata giustificata per una presunta “aggressione” da parte dei manifestanti ai danni degli agenti in tenuta antisommossa. Tale “aggressione” sarebbe stata condotta con “un gommone e lancio di oggetti”. L’idrante è stato – ha spiegato la questura – “per evitare contatti pericolosi per l’incolumità delle persone”.
La violenza della scena racconta, nella più stanca e deprimente campagna elettorale che si ricordi, la situazione romana: il Campidoglio, svuotato da rappresentanze democratiche, è diventato il teatro dove si esibisce la forza militare, non dove si manifestano legittime istanze democratiche. Scesi i gradoni di palazzo Senatorio, il corteo composto da un migliaio di persone è ripartito in direzione dell’anagrafe.
In un ombroso pomeriggio, la Capitale è stata bloccata da un corteo selvaggio. “È una chiusura totale di un potere chiuso e poliziesco che usa la forza contro chi non arriva alla fine del mese, di chi non ha casa” è stato detto al megafono nel corso di un comizio volante.
I movimenti per la casa protestano dal 15 aprile scorso contro la delibera 50 firmata dal Commissario Tronca che continuerà a sostituire per altre poche settimane il defenestrato ex sindaco Ignazio Marino. Il provvedimento attua una delibera regionale sull’emergenza abitativa: 200 milioni per 1200 alloggi che dovrebbero iniziare ad alleviare un’emergenza che a Roma è drammatica. Per i movimenti la delibera regionale è una conquista. Tronca ha deciso invece di modificarla in maniera sostanziale.
In origine i soldi avrebbero dovuto essere destinati alle famiglie nelle graduatorie per una casa popolare tra il 2000 e i 2012, agli aventi diritto all’assistenza alloggiativa nei residence, a cui da anni si ricorre per dare un tetto alle famiglie, e coloro che vivono in occupazione. Per quest’ultima categoria i criteri sono stati cambiati dal commissario della Capitale. Il numero complessivo degli alloggi da destinare all’attuazione del piano sarà calcolato tenendo conto della percentuale del 15%.
Contestato anche il criterio della residenza che limita al 31 dicembre 2013 la possibilità di fare domanda per una casa. Con un’ordinanza, Tronca ha compilato una lista di 74 stabili da sgomberare, tra cui alcune occupazioni abitative. Sedici sarebbero quelle imminenti. Contro questa decisione, da tre giorni 20 attivisti di Action, una delle sigle dei movimenti romani per la casa, stanno facendo uno sciopero della fame.
Dopo la manifestazione del 15 aprile i movimenti – tra cui ci sono i Blocchi precari metropolitani e il coordinamento di lotta per la casa – avevano inviato al capogabinetto di Tronca alcune osservazioni. Due giorni fa sono state respinte con una lettera protocollata. “Vogliono sabotare la delibera regionale sull’emergenza abitativa con ogni mezzo a disposizione – sostengono i movimenti – La Regione Lazio deve esprimersi, altrimenti gli sforzi per eleborarla saranno completamente vanificati”.
Fonte: il manifesto
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