di Dimitri Deliolanes
Il vertice dell’eurogruppo sulla Grecia ha trovato un compromesso con Atene, peraltro più favorevole al debitore che non ai creditori. L’Fmi e i duri di Berlino (Schäuble in testa) esigevano l’imposizione di un pacchetto aggiuntivodi misure per 3,6 miliardi. Altrimenti, dicevano, la Grecia non avrebbe potuto mantenere un avanzo primario del 3,5% a partire dal 2018. Richiesta respinta. Anche se l’obiettivo di un avanzo simile appartiene al mondo delle favole (e delle allegre previsioni mai azzeccate del Fmi), Atene si è impegnata a sancire un meccanismo di tagli automatici in caso di sforamenti. Il debitore ha ottenuto un altro importante punto. Per la prima volta i creditori ammettono che la sostenibilità del debito greco (182% del pil a fine anno) è fortemente incerta. È l’inizio di una riflessione seria e, soprattutto, inedita: il precedente governo Samaras (destra-Pasok) era allineato sulle posizioni Schäuble (“taglio vietato da regole Eurozona”) e dava battaglia per far riconoscere la “sostenibilità del debito”.
Per Tsipras anche un allungamento generoso delle scadenze e un abbassamento deciso dei tassi sarebbe manna dal cielo. Darebbe grande sollievo all’economia: con quel minimo di ordine nei conti pubblici, imposto con le buone ma più con le cattive dai creditori in questi durissimi 6 anni di crisi, si potrebbe garantire un ritorno ai mercati finanziari e un po’ di liquidità. Quello che ci vuole per decollare.
È questo il progetto che muove il governo greco. Per evitare un aggravamento dell’ultimo momento, Tsipras ha fatto approvare una prima tranche di riforme (vere, anche se dure) su pensioni e fisco già domenica 8 maggio, prima della valutazione dell’ex troika. La maggioranza di 153 deputati (su 300) ha retto, malgrado la grande mobilitazione popolare.
I deputati di Syriza e dei Greci Indipendenti sperano che, una volta sbarazzatisi del debito e innescata la via della crescita, le misure recessive imposte dai creditori saranno abolite. In particolare, le odiate imposte al lavoro dipendente e alla piccola e media impresa e quegli sconsiderati aumenti dell’Iva che abbattono i consumi e non portano soldi allo Stato.
Secondo Eurostat, questo progetto di Atene ha buone probabilità di riuscita. Già l’anno scorso, malgrado tutto, l’avanzo primario è stato sorprendentemente alto (0,7%). L’anno prossimo, dicono gli europei, il pil greco potrebbe anche raggiungere il 2,7%, segnando la fine di una drammatica recessione del -25% in 7 anni.
Tutto questo a condizione che i taliban dell’austerità, tedeschi in testa, abbiano compreso la lezione greca e continuino sulla via della moderazione. L’austerità non paga, è evidente. Insistere per ragioni politiche porta solo guai all’Europa.
Fonte: Limes online
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