di Michael Roberts
Negli ultimi due anni, una delle tendenze principali dell'economia mondiale è stata il crollo del prezzo del petrolio sul mercato globale. Da un picco che superava i $100 al barile, il prezzo è crollato fino al di sotto dei $30 e si trova ancora intorno ai $40. La spiegazione di questa caduta del prezzo, come era stato previsto dall'economia ufficiale, è semplice. C'è stato un mutamento nella domanda e nell'offerta di petrolio. Perciò gli economisti ora discutono su quale sia il fattore principale: l'incremento dell'offerta o la diminuzione della domanda. Ma quest'analisi del prezzo di una merce e di quanto valga a livello della domanda e dell'offerta - come viene insegnato da tutti i libri di testo di economia all'università - nel migliore dei casi è superficiale. C'è una battuta che gira negli ambienti degli investitori finanziari, quando si discute sul perché il prezzo delle azioni di una qualche società sia improvvisamente crollato: "Be', c'erano più venditori che acquirenti" - talmente vero fino ad essere tautologico.
Cos'è che spiega perché un barile di petrolio costa $40 e non $1? Perché 100 graffette costano $1 ed un'automobile costa $20.000? In altre parole, dobbiamo capire cos'è che fa sì che qualcosa sul mercato venga valutato al di là della semplice domanda ed offerta; ci serve una teoria del valore. A partire da questo, possiamo cominciare a spiegare il funzionamento di un'economia capitalista, dove ogni cosa viene prodotta per essere venduta. E se possiamo misurare le variazioni di valore, possiamo cominciare a capire le leggi della dinamica dell'economia capitalista - e, gli economisti marxisti aggiungerebbero, le sue contraddizioni fondamentali, dal momento che agli economisti marxisti non importano tanto le variazioni nel prezzo di una merce quanto la natura delle cause delle tendenze generali e delle fluttuazioni in un'economia. Cioè, la macroeconomia - con una finalità.
La teoria del valore marxista si basa sull'idea che il prezzo delle merci sul mercato rifletta il tempo di lavoro che viene speso in esse. In effetti, il tempo di lavoro sta alla base di tutte le forme di produzione sociale da parte degli esseri umani. Come ha scritto Marx,
"Che sospendendo il lavoro, non dico per un anno, ma solo per un paio di settimane ogni nazione creperebbe, è una cosa che ogni bambino sa. E ogni bambino sa pure che la qualità di prodotti, corrispondenti ai diversi bisogni, richiedono qualità diverse, e qualitativamente definite, del lavoro sociale complessivo. Che questa necessità della distribuzione del lavoro sociale in proporzioni definite, non è affatto annullata dalla forma definita della produzione sociale, ma solo può cambiare il suo modo di apparire, è self-evident. Le leggi di natura non possono mai essere annullate." [*1]Ma Marx va avanti:
"Ciò che può mutare in condizioni storiche diverse non è altro che la forma in cui questa distribuzione proporzionale del lavoro si afferma, in una data situazione sociale nella quale la connessione del lavoro sociale si fa valere come scambio privato dei prodotti individuali del lavoro, è appunto il valore di scambio di questi prodotti."
È per questo motivo che la teoria marxista del valore si applica al capitalismo, e non ai precedenti modi di organizzazione sociale.
Una teoria del valore alternativa potrebbe eventualmente basarsi sulla quantità di materiale che entra in una merce. Fisicamente, c'è molto più acciaio, altri materiali ed ingredienti, in peso, che entrano nella produzione di un'automobile rispetto a quanto ne entrino in quella di una graffetta. Questo può spiegare la differenza in valore o in prezzo? Difficilmente. L'effettivo contenuto qualitativo di un'automobile è differente da quello di una graffetta o di un cappello - e il peso non fornisce una misura astratta per tutti gli oggetti. Infatti, non c'è alcun attributo fisico comune che ci possa permettere di confrontare il loro valore.
Ma la quantità di tempo di lavoro che va in ciascuna cosa o in ciascun servizio fornisce una misura comune. È per questo che i grandi economisti classici della fine del 18° secolo e dell'inizio del 19° si sono subito aggrappati al tempo di lavoro in quanto misura astratta del valore che si sostituiva all'eterogeneità dei diversi materiali fisici, ed anche alle diverse competenze e tipi di lavoro. Il tempo di lavoro in astratto fornisce la base per il valore delle merci vendute sul mercato.
Certo, la cosa non è poi così semplice - purtroppo. Il capitalismo è un modo di produzione per la vendita di merci sul mercato (ivi inclusa la vendita di lavoro, o di forza lavoro). Il mercato decide in che misura una certa quantità di tempo di lavoro che viene speso per produrre delle particolari merci sia "socialmente necessario". Se si usasse la maggior parte del tempo di lavoro disponibile (in lavoratori ed in ore di lavoro) in un'economia, per fabbricare un'automobile per poi venderla, l'automobile sarebbe socialmente inutile, in quanto non rimarrebero ore per il cibo, l'alloggio, il vestiario, ecc..
Così l'automobile non viene fabbricata, ed una società del genere fa a meno delle automobili.
Tuttavia, se le automobili possono essere prodotte con molto meno tempo di lavoro grazie al miglioramento della tecnologia e grazie ad una migliore produttività del lavoro, allora possono avere un posto nel mercato. Alcuni produttori di automobili possono essere più efficienti e guadagnare in tal modo quote di mercato e forse anche a buttar fuori dal mercato altri produttori meno efficienti. Oppure altri imprenditori possono avere una tecnologia ancora migliore, o un prodotto differente (auto elettriche), ed entrare così nel mercato per minare la posizione dei produttori esistenti.
È questa la dinamica della concorrenza nella produzione capitalista. Qualcosa che impressionò molto Marx.
Il capitalismo è anche diverso rispetto ai precedenti modi di produzione e di sfruttamento. Il capitalismo è il modo di produzione in cui lo stesso lavoro viene sfruttato costringendo le persone a vendere la loro forza lavoro sul mercato a proprietari privati di mezzi di produzione (fabbriche, uffici, materie prime, finanze) in cambio di salari. Ed il capitalismo è un'economia monetaria, dove i lavoratori ottengono salari monetari mentre i capitalisti ottengono denaro dalla vendita dei beni e dei servizi prodotti dai lavoratori. I capitalisti utilizzano lavoratori e vendono sul mercato merci di cui le persone hanno bisogno (o pensano di avere bisogno) e solo facendo questo ottengono più denaro di quello con cui hanno cominciato. Questa è la forma particolare di sfruttamento di classe che chiamiamo capitalismo. Ciò che spinge alla concorrenza e alla produzione nel modo capitalista è il profitto. Il capitalismo è un modo di produzione per fare soldi, per fare profitto. Il denaro entra nell'equazione fin da subito.
Il circuito della monetaEd è qui, dove, alla fine, entra in scena il nuovo libro di Fred Moseley, "Money and Totality". Moseley è professore di economia presso il college femminile Mount Holyoake, in Massachusetts, da decenni. Oggi è uno dei più importanti studiosi al mondo di teoria economica marxiana (teoria del capitalismo). Ha scritto sette libri, fra cui "The falling rate of profit in the post-war United States economy"(1991), "Marx’s logical method: a re-examination" (1993), "Heterodox economic theories: true or false?" (1995), "New investigations of Marx’s method" (1997), e "Marx’s theory of money: modern appraisals" (2004) [*2]. Moseley ha detto di aver lavorato sul suo libro per più di vent'anni e, quindi, questo libro è l'opus magnum di Moseley. E merita abbondantemente una tale designazione.
In "Money and Totality", Moseley afferma che un'analisi marxista del circuito del capitale non inizia dalla misurazione del valore espresso in tempo di lavoro, il quale poi dovrebbe essere spiegato o trasformato in denaro. Una reale economia capitalista comincia col denaro, e così fa anche la teoria del valore di Marx. Dal punto di vista capitalista, il denaro che viene usato deve portare a più denaro, oppure dev'essere dimenticato. M diventa M'.
Marx parte da questo, ma si propone, con la teoria del valore, di spiegare come M diventi M'. Espande questa formula banale in M-C-P-C'-M'. Il denaro (M) viene usato dal capitalista per procurarsi materie prime e tecnologia (mezzi di produzione: C). Perciò il denaro viene dato ai lavoratori in cambio della loro forza lavoro (ore e competenze) usata nella produzione (P). Alla fine del processo di produzione, viene prodotta una nuova merce per la vendita che contiene più valore rispetto a prima (C'), la quale merce viene venduta sul mercato in cambio di più denaro (si spera) di quello originariamente speso: M'. Il denaro fa più denaro, ma lo fa per mezzo dello sfruttamento della forza lavoro e dell'appropriazione privata di plusvalore nel corso della vendita di merci.
Questo ci porta ad una delle intuizioni fondamentali del libro di Moseley. La teoria marxista del valore e la sua analisi delle leggi della dinamica capitalista è una teoria macro-monetaria. C'è un sistema capitalista reale, che usa denaro per fare più denaro - vale a dire, profitto (un surplus di valore) - sul denaro (ovvero valore in tempo di lavoro) pagato alla forza lavoro e sui mezzi di produzione (valore contenuto nel capitale costante). Non si comincia con un certo valore del tempo di lavoro o con una certa quantità di unità fisiche di lavoratori e di tecnologia, e poi si finisce con quello. Si comincia col denaro e si finisce col denaro.
Sì, al di sotto del processo in cui i soldi fanno soldi, possiamo mostrare che questo avviene attraverso lo sfruttamento del lavoro e che la quantità di sfruttamento, o di soldi extra fatti, può essere spiegata per mezzo dell'appropriazione di un surplus di tempo di lavoro (al di là di quello necessario a mantenere i lavoratori in vita ed in produzione). Quindi il denaro è il valore, ovvero è la forma del valore che noi vediamo.
Come mostra Moseley, in maniera così profonda e chiara, la teoria del valore di Marx significa che l'ammontare totale di denaro in un'economia (escludendo l'impatto dell'inflazione e le fluttuazioni a breve termine) corrisponde all'ammontare totale di valore ("socialmente necessario", lavoro "astratto, misurato dal tempo). I prezzi totali della produzione sono pari al valore totale ed i profitti monetari totali in questa economia mondo sono pari al plusvalore totale (in tempo di lavoro). Il valore spiega il denaro; il plusvalore spiega il profitto.
Dal Macro al microQuesta è una macro teoria - come spiega Moseley - che guarda all'economia totale. Ma, quando andiamo sotto i macro aggregati e consideriamo i prezzi individuali di produzione per prodotti differenti e i tassi di profitto individuale per ciascun capitalista, allora i valori espressi in tempo di lavoro non corrispondono ai prezzi. Allo stesso tempo in cui i grandi economisti classici - Adam Smith, David Ricardo, James Steuart ed altri - riconoscevano che le merci prodotte dovevano essere valutate in tempo di lavoro, ovvero il lavoro globale speso in un'economia, aprivano delle gravi falle nella loro versione della teoria del valore-lavoro. David Ricardo pensava che i prezzi individuali dovevano corrispondere ai valori individuali in tempo di lavoro; Adam Smith pensava che i prezzi consistessero dell'ingresso nel valore di "fattori di produzione" separati: profitto (valore del capitalista); salari (valore del lavoro) e rendita (valore della terra).
Ma Marx risolse questo problema del passaggio dal macro al micro mostrando che dal momento che i capitali individuali concorrono l'uno con l'altro, si ha come risultato che i settori con maggiore redditività vengono "invasi" dagli altri capitalisti che cercano di incrementare la loro redditività. Così facendo, i tassi di profitto tendono ad equalizzarsi fra i diversi settori. Come mostrato da Marx, questo non cambia il valore complessivo creato in un'economia, ma ridistribuisce semplicemente il plusvalore, al di là del costo del capitale anticipato, dai capitali meno efficienti a quelli più efficienti per mezzo dell'equalizzazione dei tassi di profitto nei vari settori. Di questa soluzione trasformativa, Marx era molto fiero.
In generale, l'analisi del capitalismo fatta da Marx nel Capitale veniva ignorata dagli economisti tradizionali. Ma quando si rivolgeva l'attenzione verso tale analisi, ecco che allora veniva immediatamente attaccata. Eugen Böhm von Bawerk [*3], un economista della "Scuola austriaca", lanciò l'argomento secondo cui la teoria del valore di Marx era contraddittoria, in quanto assumeva nel I e nel II volume del Capitale che i prezzi totali corrispondevano ai valori totali, però nel III volume affermava che i prezzi di produzione non corrispondevano al valore. Come potevano i prezzi corrispondere e allo stesso tempo non corrispondere al valore?
Come commenta Moseley, "Böhm-Bawerk non comprendeva il metodo logico dei due livelli di astrazione di Marx: l'economia totale e le industrie individuali. Nella teoria di Marx, il prezzo totale è = al valore totale, tuttavia i valori individuali sono = ai prezzi di produzione. Non c'è contraddizione con la struttura logica dei due livelli di astrazione di Marx" (p.39, nota 13).
E questa conclusione è il primo e prioritario merito, oltre che la prima e prioritaria comprensione dell'interpretazione di Moseley dell'analisi del capitalismo fatta da Marx - una brillante intuizione che è per lo più di Moseley, sebbene essa abbia avuto dei precursori nell'opera di Roman Rosdolsky, Paul Mattick e David Yaffe, come riconosce Moseley stesso [*4](p.23). L'approccio logico di Marx consiste nel guardare per prima cosa al macro, al fine di mostrare come il denaro faccia più denaro; e poi guardare al micro per vedere come il denaro extra venga distribuito fra più industrie e capitali per mezzo della concorrenza e dell'equalizzazione della redditività. Il più efficiente acquisisce un trasferimento di valore dal meno efficiente grazie alla concorrenza capitalista. Ma i profitti provengono dal plusvalore generato dalla forza lavoro impiegata nell'insieme dell'economia e viene appropriata dal capitale come un intero.
Un unico sistema realistico Moseley mostra come l'analisi di Marx sia basata su una visione realistica del capitalismo. Il circuito e la dinamica del capitale cominciano col denaro e finiscono col denaro. Non procede dal valore (tempo di lavoro) o da cose fisiche (lavoro e mezzi di produzione), e non finisce col valore o con le cose. Per cui non ha bisogno di valore o di cose da convertire o da trasformare in denaro. Non ci sono due "stati del capitalismo" (uno col valore ed uno con la moneta o con i prezzi). La visione di Marx comporta un "sistema a stato-singolo". Per cui non c'è "errore" o contraddizione logica nella spiegazione di Marx della trasformazione dei valori in prezzi. Il cosiddetto problema della trasformazione dei valori in prezzi ed in dearo non esiste.
Le critiche ufficiali dell'analisi di Marx fanno l'errore (deliberato o meno) di ritenere che in Marx ci siano due analisi logiche - la prima basata sui valori, che poi dovevano essere trasformati in prezzi. Dicono che se parti con gli "input" del lavoro e dei mezzi di produzioni misurati in valori (come loro sostengono che faccia Marx), devi per forza convertire questi valori in prezzi monetari. E se fai così, allora, usando equazioni simultanee, finisci per trovare che i valori totali non sono più uguali ai prezzi totali e/o che il plusvalore totale non è più uguale al profitto totale. Ciò avviene perché i tuoi "input" originali espressi in valore verranno convertiti in prezzi. Pertanto delle due l'una, o l'analisi di Marx è indeterminata oppure è logicamente inconsistente.
È questo il nocciolo della critica espressa per la prima volta da Ladislaus von Bortkiewicz all'inizio del 20° secolo - "la giustificazione più frequentemente citata al fine di rifiutare la teoria di Marx nel corso dell'ultimo secolo". Questa critica venne entusiasticamente adottata dagli economisti ufficiali in quanto finalmente faceva a pezzi la teoria del valore di Marx rispetto al capitalismo. È stata anche accettata da schiere di economisti marxisti come Paul Sweezy [*5], molti dei quali hanno trascorso anni ed anni a cercare di riconciliare "l'errore" di Marx con la teoria del capitalismo oppure a cercare un'interpretazione alternativa della teoria del valore - "una deviazione durata un secolo", come la definisce Moseley.
Nel periodo post-bellico, i cosiddetti marxisti "neo-ricardiani" sono tornati ad una versione della teoria di Ricardo; ossia alla versione secondo cui il valore era determinato dal tempo di lavoro, così come veniva misurato nella produzione fisica. Quindi, o il denaro non giocava alcun ruolo oppure si aveva una teoria monetaria del capitalismo (prezzi) e una teoria del valore del capitalismo (cose fisiche), ma le due cose però non potevano essere riconciliate.
Infatti, una delle conseguenze di tale "correzione" di Marx nel modello neo-ricardiano/von Bortkiewicz, era che il denaro veniva imbullettato sul sistema capitalista come se fosse un settore separato di produzione: quello dell'oro. In questo modo, il prezzo dell'oro, e pertanto il prezzo del denaro in un sistema monetario basato sul gold standard, divergeva dal suo valore. Così il "valore del denaro" cambiava, complicando ulteriormente e confondendo la connessione fra valore e prezzo - un altro errore di Marx, secondo questi critici.
Ma Moseley dimostra brillantemente che questo è un nonsense. L'oro in quanto denaro non ha un prezzo di produzione ed il plusvalore non viene distribuito dall'industria dell'oro verso altri settori. Così i prezzi totali di tutte le merci nella produzione capitalista rimangono ancora uguali al loro valore totale. Quando l'oro funziona come denaro, il prezzo di una quantità data di oro (dollari per oncia) funziona come misura monetaria del valore di una merce. L'oro non ha prezzo, ma serve meramente come misura del valore. Così l'oro in quanto denaro non entra nel processo di equalizzazione dei valori in prezzi di produzione. L'oro è già denaro (p.201).
Come risultato, il denaro è "l'espressione monetaria del tempo di lavoro" impiegato per produrre una quantità fisica di oro (per fondere [Melt], nel moderno gergo marxista). La fusione non è influenzata da nessun cambiamento nei prezzi di produzione in quanto è essa la misura di quei prezzi. Ma se la fusione cambia, essa allora influenzerà i prezzi di produzione, dal momento che il capitalismo è un'economia monetaria. In un mondo non-gold standard, dove il denaro è soltanto carta, o anche unità di conto in banca, la fusione varierà anche se la quantità di carta moneta eccede la quantità di denaro misurato in oro (merce denaro).
Ironicamente, come dice Moseley, l'attuale fine del gold standard e il denaro merce mettono fuori gioco gli argomenti neo-ricardiani riguardo all'oro che dev'essere incluso nell'equalizzazione dei tassi di profitto in tutta l'economia. Dal momento che il denaro non è più oro, nel modello neo-ricardiano il tasso di profitto nel settore dell'oro è irrilevante per i prezzi di produzione delle merci. La teoria monetaria di Marx si inserisce in un'analisi macro-monetaria del capitalismo - è un'analisi reale, e non un intruglio di critiche neo-ricardiane che cerca di inchiodare il denaro sulla trasformazione dei valori in prezzi.
"Interpretazione standard""L'interpretazione standard" Bortkiewicz-Sweezy, come la chiama Moseley, trova il suo culmine nella sua distruzione da parte di un testo fondamentale del principale economista ufficiale del periodo post-bellico, Paul Samuelson, autore del principale libro di testo accademico sull'economia nei miei giorni di università. Samuelson mostrava che se tu parti con due sistemi - uno centrato sul tempo di lavoro e l'altro sui prezzi - il valore-lavoro può essere cancellato e finisce per non giocare più alcun ruolo nel mondo reale dei prezzi. I prezzi sono quindi determinati dalla quantità di cose prodotte e dalla domanda rispetto ad esse (domanda ed offerta).
"In sintesi, la trasformazione da valori in prezzi può essere descritta per mezzo della seguente procedura: (1) si prende nota delle relazioni di valore; (2) si prende una gomma e si cancellano; (3) infine si prende nota delle relazioni di prezzo - completando così il processo di trasformazione" (p.229).
La battuta sarcastica di Samuelson può aver senz'altro sepolto "l'interpretazione standard", ma fatto sta che anche la sua teoria ufficiale dei prezzi era altrettanto irrilevante. Cosa determina se il prezzo di un'automobile è di $20.000 o di $2.000? - offerta e domanda. Ma perché $20.000 e non $2.000? - Be', perché il mercato dice così (una volta evidenziata la preferenza del singolo consumatore). Brillante!
Ma Samuelson, come dice Moseley, aveva ragione riguardo all'interpretazione standard. Se si interpreta come se Marx ci fossero due sistemi di capitalismo - uno basato sui valori (in tempo di lavoro o in unità fisiche) ed un altro sui prezzi - allora si devono trasformare i valori in prezzi. Ma perché preoccuparsi? - i valori possono essere cancellati. La teoria del valore di Marx diventa allora metafisicamente inutile, come il concetto di dio. Per quel che riguarda l'universo, possiamo spiegare tutto senza fare ricorso a dio, e dio non spiega niente.
Ma quel che mostra Moseley nel suo libro è che la "interpretazione standard" è un'interpretazione errata dell'analisi marxiana. Egli prende il lettore e lo porta attentamente e accuratamente per mano attraverso tutte le interpretazioni della teoria del valore e dei prezzi in Marx in concorrenza fra loro, cominciando dalla interpretazione standard così come viene espressa dalla teoria di Piero Sraffa, un epigone di Ricardo. Mostra non solo che il modo di Sraffa di guardare al capitalismo come "la produzione di merci per mezzo di merci" al limite non è realistico [*6]; ma dimostra anche che non ha niente a che vedere con l'analisi, fatta da Marx, del capitalismo come processo di capitale monetario che cerca di fare più capitale monetario (pp.230-43).
Sraffa finisce con una teoria che implica il fatto che il capitalismo può continuare a produrre più cose da cose senza che vi sia alcuna contraddizione o limite - l'esempio dell'automazione (p.223) lo mostra in modo chiaro. Ma la teoria di Marx mostra che nel capitalismo c'è una contraddizione essenziale fra la produzione di cose e servizi, da una parte, e la redditività nel fare questo per mezzo del capitale privato, dall'altra. Questa contraddizione è molto più reale, e spiega i cicli di boom e di crolli, le crisi e l'eventuale fine del capitalismo come sistema. Mentre la teoria di Sraffa implica l'universalità del capitalismo, Marx ne sostiene la specificità.
Moseley poi mostra che le altre interpretazioni (quella iterativa di Anwar Shaikh, la "new interpretation", "Rethinking Marxism", ecc.) falliscono tutte proprio nel rompere con l'interpretazione standard, e quindi non possono risolvere né l'apparente inconsistenza logica (Bortkiewicz) né l'irrilevanza (Samuelson) dell'analisi di Marx. Per far riflettere il lettore, Moseley entra in dettaglio in ciascuna di esse.
Temporale o storico?Tuttavia, la cosa si fa un po' diversa con la TSSI (Temporal Single System Interpretation). I punti essenziali del gruppo degli economisti marxisti del TSSI [*7] è stato riassunto in un altro lavoro seminale sulle analisi di Marx scritto da Andrew Kliman nel 2007, "Reclaiming Marx's Capital" [*8]. Tali punti si riassumevano nel fatto che la teoria di Marx è temporale. Il denaro anticipato per i mezzi di produzione e per la forza lavoro, è il capitale iniziale, nel tempo; la produzione delle merci e la loro vendita sul mercato arriva dopo. Perciò non possiamo attribuire equazioni simultanee alla conversione dei valori in prezzi, come fanno l'interpretazione standard ed altre interpretazioni. In secondo luogo, la teoria di Marx è un sistema a stato-singolo. Non si tratta di convertire gli input iniziali (mezzi di produzione e lavoro), in quanto valori, nei prezzi di produzione della merce finale. I capitalisti cominciano con il denaro (prezzi di produzione) e finiscono con il denaro (prezzi di produzione). Ma finiscono però con un differente valore o prezzo di produzione, come viene spiegato dallo sfruttamento della forza lavoro, con il suo valore che in ultima analisi viene misurato in tempo di lavoro, nell'insieme dell'economia.
Ho evidenziato quella del TSSI, rispetto alle altre interpretazioni, in quanto ritengo che essa abbia fornito la rottura nel rifiutare l'interpretazione standard, riportando Marx alla logica ed alla realtà dell'economia monetaria. E in passato sono stato un forte sostenitore di tale interpretazione.
Moseley concorda sul fatto che TSSI in questo abbia fatto dei passi da gigante. Tuttavia, diverge con il TSSI riguardo a due importanti aspetti.
Ragionando sui prezzi di produzione, in quanto movimenti a breve termine che cambiano ad ogni ciclo di produzione equalizzando la produttività nei settori, Moseley ritiene che questo non può essere giusto, dal momento che i prezzi di produzione sono predeterminati sul lungo periodo dalla produttività del lavoro (nuovo valore) e dal tasso di plusvalore nella lotta di classe (che decide il livello del salario reale). Per cui i prezzi di produzione cambiano solo se la produttività e i salari reali si alterano. I prezzi delle merci individuali oscillano intorno ad un "centro di gravità" fissato dai prezzi di produzione.
Perciò, Moseley sostiene che, a meno di accettare la sua interpretazione dei prezzi di produzione in quanto centri di gravità a lungo termine per i singoli prezzi, risulta che l'uguaglianza dei due aggregati (prezzo totale = valore totale; e tasso di profitto = tasso di plusvalore) non si manterrebbe nei successivi periodi di produzione, vanificando in tal modo l'obiettivo stesso del TSSI.
In secondo luogo, Moseley non è d'accordo sul fatto che un'interpretazione temporale del ciclo del capitale di Marx significhi che il prezzo di costo del capitale monetario anticipato (per i mezzi di produzione e per l'impiego di forza lavoro), dopo che è cominciata la produzione, sia fissa che storica. Egli calcola che, se cambia il prezzo delle attrezzature e degli altri mezzi di produzione, dopo che la produzione è cominciata (così come avviene), rimane ancora accettabile aggiornare il valore della merce prodotta includendo il costo corrente dei mezzi di produzione, e non il costo originale.
Quindi non è necessario né corretto usare il costo storico nel misurare il capitale costante o la redditività del capitale.
Peter Jones, economista marxista australiano, in un articolo molto interessante, cerca di conciliare, alla luce di questo dibattito, l'approccio storico ai costi con l'approccio corrente:
"La misurazione standard dei costi correnti del tasso di profitto confronta i profitti nel corso dell'anno con lo stock di capitale costante alla fine dell'anno. La misurazione del costo storico fatta da Kliman utilizza lo stock di capitale costante all'inizio dell'anno. Non riesco a vedere una buona ragione per scegliere una misurazione piuttosto che l'altra. Dal momento che i profitti vengono generati nel corso di un anno, una buona misurazione del tasso di profitto dovrebbe tener conto dei cambiamenti nello stock di capitale anticipato nel corso di quell'anno. In entrambi i casi, il tasso medio di profitto potrebbe essere pensato grosso modo come una media di una serie di "istantanee" del tasso di profitto nel corso dell'anno" [*9].
Cosa che sembra abbastanza vicina al punto di vista di Moseley sulla questione.
Quest'ultimo punto è molto importante per qualsiasi analisi empirica della redditività nelle moderne economie capitaliste. La visione di Andrew Kliman è quella per cui dev'essere usata la misurazione del costo storico, e qualsiasi altra cosa è una distorsione rispetto alla misurazione della redditività di Marx. E questo fa la differenza quando cerchiamo di misurare il movimento nel tasso di profitto in una grande economia capitalista come quella degli USA [*10]. La misurazione di Kliman mostra una "caduta persistente" nella redditività del capitale USA a partire dal 1945, senza alcuna crescita significativa, anche durante il cosiddetto periodo neoliberista che va dai primi anni 1980 ad oggi [*11]. Dall'altro lato, la misurazione del costo corrente mostra invece una depressione nei primi anni 1980 e poi una crescita significativa, almeno fino alla fine degli anni 1990. Il che porta a visioni differenti riguardo la salute del capitalismo USA, riguardo al ruolo del settore finanziario e riguardo le cause dei mutamenti nell'investimento di capitale. Tuttavia, forse le differenze fra le due misurazioni sono esagerate, dal momento che, come mostra Deepankar Basu, sul lungo termine, dal 1945, le due misurazioni hanno avuto la tendenza a convergere [*12].
Empiricamente verificabileFred Moseley ha dato un importante contributo ad una più chiara comprensione del metodo di analisi di Marx, mostrando come un'analisi marxista ci presenta il denaro, i prezzi ed i valori integrati in un solo realistico sistema capitalista.
Moseley mostra che Marx aveva due principali fasi di analisi o di astrazione teorica. In primo luogo, Marx analizza la produzione di plusvalore nel capitale nel suo complesso (I e II volume de Il Capitale) e poi analizza la sua distribuzione attraversi i settori concorrenti dei vari capitali (III volume). Marx parte dal denaro, cosicché non serve "trasformare" un sistema soggiacente basato sul valore in un sistema basato sui prezzi. All'inizio del circuito del capitale, il capitale monetario è dato, o "presupposto". Quindi il valore totale equivale ai prezzi totali nella "totalità" (è questo ciò cui il titolo del libro allude [*13]); e tutto quel che succede con molti capitali è che il valore extra (il plusvalore) creato in ciascun settore verrà equalizzato dal mercato, di modo che il tasso di profitto viene anch'esso equalizzato (o tende ad equalizzarsi) in tutti i settori. Il plusvalore totale è uguale al profitto totale, ma i prezzi di produzione variano in ciascun settore per equalizzare la redditività in tutti i settori. Ed il circuito del capitale nel suo insieme è tutto quello che ha luogo in tempo reale e che non si completa ipoteticamente e simultaneamente, come sostengono i critici.
Una delle implicazioni dell'interpretazione che Moseley fa dell'analisi di Marx come analisi macro-monetaria, che comincia col denaro e finisce col denaro, è che tale interpretazione è perfettamente aperta ad una verifica empirica. C'è una visione diffusa fra alcuni economisti marxisti - eminenti, come Paul Mattick Jr ad esempio [*14] - che sostiene sia impossibile misurare empiricamente un tasso marxiano di profitto sul capitale ed usare i dati ufficiali dei prezzi per valutare le tendenze nel moderno capitalismo. Ciò perché il valore non può essere calcolato a partire dai prezzi monetari e la teoria di Marx del capitalismo è una teoria del valore. Eravamo rimasti riconoscendo il fatto che Marx aveva ragione a causa del reale verificarsi dello sfruttamento e delle crisi. Questo è un po' come dire che non possiamo determinare l'esistenza dei buchi neri nell'universo in quanto la loro massa è talmente grande e la gravità talmente forte che da essi non emerge niente. Per cui possiamo soltanto dire che esistono a partire dalle oscillazioni che provocano negli altri oggetti nello spazio vicino.
Ma se interpretiamo quello di Marx come un singolo sistema - una vera e propria macro-economia monetaria capitalista - allora è perfettamente possibile (con tutti i limiti legati ai problemi di misuramento e di dati) effettuare un'analisi empirica per verificare o meno le leggi della dinamica del capitalismo di Marx. Infatti, Marx ha fatto proprio questo, come ci ricorda Tapia Granados in un prossimo articolo [*15].
Ma se interpretiamo quello di Marx come un singolo sistema - una vera e propria macro-economia monetaria capitalista - allora è perfettamente possibile (con tutti i limiti legati ai problemi di misuramento e di dati) effettuare un'analisi empirica per verificare o meno le leggi della dinamica del capitalismo di Marx. Infatti, Marx ha fatto proprio questo, come ci ricorda Tapia Granados in un prossimo articolo [*15].
Nel 1873, Marx scrisse a Frederick Engels di essersi "lambiccato il cervello" per qualche tempo analizzando "quei grafici in cui i movimenti dei prezzi, tassi di sconto, ecc., nel corso dell'anno ecc., vengono mostrati in salite e cadute a zig zag". Marx pensava che studiando quelle curve "sarebbe stato in grado di determinare matematicamente le leggi principali che governano le crisi". Ma aveva parlato di tutto questo con il suo consulente matematico, Samuel Moore, che riteneva che "al momento non si poteva fare". Marx aveva così deciso di "lasciar perdere per il momento".
È trascorso del tempo ed ora abbiamo un bel po' di dati in più, e metodi di analisi migliori. Tapia conclude:
"Per sviluppare la conoscenza scientifica bisogna utilizzare concetti che siano utili per descrivere la realtà, fare previsioni verificabili ed essere pronti a valutare qualsiasi ipotesi confutandola con dati empirici...Non c'era posto per il Phlogiston nella chimica e non ci deve essere posto nella scienza sociale per crisi economiche dal carattere indistinto."
Infatti.
Note
[*1] - Marx, lettera a Kugelmann, 11 luglio 1868, poco dopo la pubblicazione de Il Capitale.
[*3] - E. von Böhm-Bawerk Karl Marx and the close of his system(1896): https://mises.org/library/karl-marx-and-close-his-system
[*4] - R Rosdolsky The making of Marx’s ‘Capital’ London 1977; P Mattick Jr Some aspects of the value-price problem London 1983; D Yaffe Value and price in Marx’s ‘Capital’ (1974):http://www.marxists.org/subject/economy/authors/yaffed/1974/valueandpriceinmarxcapital.htm
[*5] - Vedi: P. Sweezy The theory of capitalist development Oxford 1942.
[*6] - Vedi: P. Sraffa Production of commodities by means of commodities Cambridge 1960.
[*7] - TSSI from Guiglelmo Carchedi, Alan Freeman, Andrew Kliman, Ted McGlone and several others:http://en.wikipedia.org/wiki/Temporal_single-system_interpretation
Vedi la mia recensione: http://www.amazon.co.uk/Great-Recession-Michael-Roberts/dp/144524408X/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1323255509&sr=1-1
[*9] - P. Jones Depreciation, devaluation and the rate of profit(2012): http://gesd.free.fr/jonesp12.pdf
[*10] - Vedi il mio articolo a https://thenextrecession.wordpress.com/2013/12/19/the-us-rate-of-profit-extending-the-debate
[*11] - A Kliman The failure of capitalist production (2012): http://www.amazon.co.uk/Failure-Capitalist-Production-Underlying-Recession/dp/0745332390/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1323254965&sr=8-1
[*12] - D Basu Replacement versus historic cost rates (2012): https://thenextrecession.files.wordpress.com/2012/11/basu-on-rc-versus-hc.pdf
[*13] - Il sottotitolo del libro di Moseley è: A macro-monetary interpretation of Marx’s logic in ‘Capital’ and the end of the transformation problem
[*14] - P Mattick Jr Business as usual (2011): http://www.amazon.com/Business-Usual-Economic-Failure-Capitalism/dp/1861898010
[*15] - J Tapia Investment, profits and crises – theories and evidence (di prossima pubblicazione)
Articolo pubblicato su WeeklyWorker A paper of Marxist polemic and Marxist unity
Fonte: blackblog francosenia
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