La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 13 maggio 2016

Continuare a consumare suolo esattamente come si è sempre fatto

di Samuele Segoni
In Italia il consumo di suolo ha assunto un’entità a dir poco sconcertante: circa 7 metri quadrati ogni secondo di suolo vergine vengono asfaltati, cementificati, escavati o comunque compromessi. Nel suo ultimo rapporto, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) fotografa bene questa tendenza, sia a livello di quantità sia in termini di qualità: attualmente, il suolo che ci “mangiamo” è suolo agricolo (terreno perfettamente fertile sottratto alle coltivazioni per la costruzione di strade, parcheggi, infrastrutture, edifici) oppure è suolo esposto al rischio idrogeologico. Abbiamo costruito talmente tanto negli anni passati che sostanzialmente tutte le aree adatte le abbiamo già utilizzate. Adesso ci sono rimaste le aree più disgraziate, che erano state evitate perché esposte a rischi idrogeologici, oppure le aree più pregiate da un punto di vista agricolo.
Perché limitare il consumo di suolo
Oltre agli ovvi motivi di carattere ambientale e paesaggistico, ve ne sono altri più contingenti e “materiali”, che investono direttamente o indirettamente tutti.
  • Rischio idrogeologico. Oltre a quanto detto in precedenza (se si costruisce adesso, spesso lo si fa in zone a rischio perché sono quelle che fino ad ora erano sfuggite alla cementificazione), consumare suolo significa impermeabilizzarlo. E ciò comporta che, quando piove, l’acqua piovana non viene trattenuta e “immagazzinata” dal terreno, né scorre lentamente sulla superficie naturale fino ai corsi d’acqua. Al contrario, tutta la pioggia finisce dal tetto o dall’asfalto alla grondaia, alle canaline di scolo, alle tubature, fino ad arrivare in pochi secondi al corso d’acqua. Quindi tutta la pioggia finisce subito nei fiumi. Ecco spiegato il mito delle bombe d’acqua: anche una pioggia modesta può causare piene spaventose perché senza suolo naturale tutta l’acqua va a finire subito nei fiumi, che non ne possono smaltire così tanta tutta insieme.
  • Disastri pagati dalla collettività. Se si paragona la classifica delle regioni che negli ultimi anni hanno consumato più suolo con la classifica delle regioni che hanno subito più eventi calamitosi in termini di frane e alluvioni, si vede che c’è una corrispondenza impressionante: ai primi posti spiccano Liguria, Calabria ed Emilia Romagna. Tre tra le regioni che recentemente sono state messe in ginocchio dal maltempo di più e più spesso. I dati empirici quindi confermano che certi territori pagano a caro prezzo, oggi, scelte urbanistiche scellerate compiute negli anni passati. Tutto questo, a livello nazionale, vale 4 miliardi di euro di danni per il solo biennio 2013-2014(fonte: Protezione Civile).
  • Riscaldamento climatico. Può sembrare strano, ma attraverso la vegetazione ed il suolo stesso, la Terra respira, trasuda ed abbassa la propria temperatura. Spesso invece i comuni, per ridurre i costi di manutenzione, eliminano parchi e giardini installando coperture in pietra che immagazzinano calore e riflettono il sole. In definitiva, ridurre il consumo dei suoli in ambiente urbano serve anche ad abbassare di qualche grado le temperature estive e ad evitare che le città si trasformino in “isole di calore”.
  • Approvvigionamento alimentare. L’opinione pubblica si fida maggiormente se nel piatto trova dei prodotti “made in italy”. La nostra dipendenza alimentare dall’estero però è destinata ad aumentare sempre di più se continuiamo a puntare su un modello economico in cui il terreno fertile viene “monetizzato” con le lottizzazioni invece con le coltivazioni.
  • Economico. Se ci focalizziamo sull’edilizia, esistono studi scientifici che dimostrano matematicamente che all’aumentare dell’urbanizzazione, la società trae benefici di natura economica, ma solo fino ad un certo punto. Oltre tale punto, la relazione si inverte e all’aumentare dell’urbanizzazione, la società si impoverisce e la qualità di vita diminuisce. L’esempio più intuitivo riguarda il crollo dei prezzi degli immobili man mano che si continua a costruirne altri che rimangono sfitti. In quasi ogni zona dell’Italia, il “punto di rottura” è stato superato ormai da molto tempo.
Un modello nuovo di sviluppo e di edilizia
Stante quando esposto sopra, appare evidente che il modello economico basato sul consumo di suolo e sulla costruzione di edifici, strutture ed infrastrutture per “creare” ricchezza, non è più sostenibile. Né ambientalmente, né economicamente.
Ma non si deve cadere nell’eccesso opposto e sostenere che la soluzione è “smettere di costruire” e rottamare tutto il settore dell’edilizia. Bisogna tenere presente che l’edilizia è stata uno dei settori trainanti per il boom economico italiano, in grado di generare benessere sociale ed economico. Oggi giorno è un settore decisamente in crisi. Ma l’edilizia può dare ancora tanto all’Italia, se si riconvertisse ad un modello di sviluppo diverso, innovativo, ambientalmente sostenibile:efficientamento energetico, risparmio idrico, ammodernamento e riconversione del patrimonio edilizio, energie rinnovabili, rinaturalizzazione, delocalizzazioni (demolizione di edifici costruiti in aree a rischio e ricostruzione in area sicura), interventi di invarianza idraulica… le cose di cui l’Italia ha bisogno sono tante e ci sarebbe da mettere le mani dappertutto!
Il punto è: la proposta di legge in discussione dà risposte adeguate al fenomeno del consumo di suolo? E cosa abbiamo proposto su questo tema?
La proposta di legge in discussione
Nonostante quasi tutto l’arco parlamentare concordi che il consumo di suolo è un fenomeno molto serio che necessita di un contenimento drastico, funzionale anche al rilancio di modelli economici di sviluppo più sostenibili (agricoltura e edilizia di qualità in primis), il provvedimento esaminato in questi giorni alla Camera non va nella direzione auspicata. Al di là dei proclami del titolo e dei principi generali, è un provvedimento blando che mette nero su bianco obiettivi molto limitati, raggiunge lo scopo del contenimento di suolo in maniera soltanto parziale, è fumoso in alcuni passaggi essenziali ed è talmente farraginoso che la sua applicabilità pratica risulta seriamente a rischio.
Ad esempio la definizione di suolo, quindi il bene che andiamo a tutelare, ha visto ridurre sempre di più il perimetro di applicazione della legge: in una prima versione si andava a contenere il consumo di suolo in senso lato. Poi solo il suolo agricolo (inteso come il suolo potenzialmente utilizzabile ai fini agricoli), poi il suolo effettivamente classificato dagli strumenti urbanistici come agricolo. L’ambito di applicazione risulta ulteriormente ristretto da una lunga serie di eccezioni in cui il consumo di suolo “non conta”: ad esempio le infrastrutture (assurdo visto che come hanno confermato i dati ISPRA e l’Istat, le infrastrutture sono la causa principale di consumo di suolo in Italia), ma anche gli spazi interclusi (se ho un campo compreso tra due lotti edificati, posso edificare anche quello senza conteggiarlo come suolo consumato) e gli spazi destinati a servizi di pubblica utilità.
Senza considerare alcuni obiettivi decisamente molto blandi, come quello di arrivare ad un consumo di suolo pari a zero nel 2050, che nel linguaggio politico significa «mai», senza definire chiaramente che limiti intermedi ci si pone dal 2016 al 2050.
La scelta più conservativa è probabilmente quella di non misurare il consumo di suolo in termini lordi (cioè in termini assoluti), ma di considerare il consumo di suolo netto, ovvero al netto di compensazioni e mitigazioni. Ciò significa – ed è sancito fin dalle definizioni – che in realtà posso consumare fattivamente del suolo, però, ai fini della legge, il suolo non risulta consumato perché altrove sono andati a fare delle opere di compensazione e di mitigazione non meglio definite nella presente legge.
Occorre dare rilievo anche all’articolo 3, per la farraginosità della normativa proprio nell’articolo che dovrebbe definire dei criteri quantitativi di riduzione: non viene definito niente ma si prevede un incessante rimpallo tra ministeri diversi e conferenza unificata, lasciando come scappatoia la possibilità di far decidere tutto da un intervento d’imperio del Consiglio dei Ministri.
Appare chiaro come questa legge più che imprimere una svolta ed un cambiamento, fotografi l’esistente e permetta di continuare a consumare suolo come si è fatto fino ad adesso, semplicemente cambiando nome agli interventi.
Infatti all’articolo 5 si lancia il business della rigenerazione delle aree urbane e all’articolo 6 quello dei compendi agricoli neorurali. Ovvero, nuove forme semantiche per fare lo stesso business di prima. Certo, sono stai inseriti dei principi generali di ecocompatibilità, ma ancora una volta i paletti e le maglie della legge sono larghissimi.
Nominalmente, si dice di favorire in maniera prioritaria la rigenerazione, la rinaturalizzazione, il recupero e la riconversione del patrimonio edilizio, ma la grave pecca di questa legge è che non si danno strumenti per rendere tutto questo conveniente. Costerà sempre meno consumare nuovo suolo piuttosto che andare ad intervenire radicalmente sul patrimonio edilizio esistente. Non compaiono incentivi, defiscalizzazioni o misure di carattere economico: ogni leva di questo tipo è stata tolta durante l’esame in commissione per motivi di equilibrio delle finanze pubbliche.
Le proposte di Alternativa Libera
Gli emendamenti presentati da Alternativa Libera riguardano scendono profondamente nel merito e riguardano sia i principi generali della legge, sia gli aspetti più tecnici: vogliamo una legge che sia efficace e coerente nell’attuazione pratica dei propri principi teorici. La maggior parte degli emendamenti è scaturita dopo un confronto ed una discussione con una vasta rete di contatti altamente qualificati nel settore.
Si propongono misure per promuovere la diffusione di modelli di sviluppo ad elevata sostenibilitàambientale nel settore dell’edilizia e nella e pianificazione gestione del territorio.
Si correggono molte enunciazioni andando a proporre una visione in cui il consumo di suolo ed il rischio idrogeologico vengono considerati insieme, nel contesto più ampio dell’assetto del territorio. Infatti, in questo provvedimento, il concetto di rischio idrogeologico ricorre raramente: la politica deve smettere di considerare provvedimenti a comparti stagni perché tutto è interconnesso e l’assetto del territorio è una materia molto generale che in questo provvedimento deve essere trattata a 360 gradi.
Si propone che si possa consumare nuovo suolo solo dopo che in fase progettuale sia dimostrato che non ci sono alternative al riuso dell’esistente o alla delocalizzazione di edifici in aree a rischio.
Si propone di eliminare tutte le eccezioni elencate in precedenza che consentono di consumare suolo senza andare a conteggiarlo nominalmente (spazi interclusi, infrastrutture, opere strategiche, eccetera).
Chiediamo o di ragionare in termini di consumo di suolo lordo (cioè effettivo, senza scappatoie), e di porre obiettivi realistici di riduzione. Per noi lo scopo della legge deve essere quello di monitorare e risolvere un problema, non inserire scappatoie per ignorarlo.
Definiamo in maniera netta e univoca il sistema delle compensazioni e delle mitigazioni, in modo che realmente compensino completamente l’intervento di consumo di suolo in termini idraulici e biologici.
Correggiamo la definizione di “impermeabilizzazione”, che da un punto di vista tecnico-scientifico lascia molto a desiderare.
Chiediamo dati del monitoraggio di consumo di suolo in formato aperto, pienamente utilizzabili.
Chiediamo che le mappature ed i monitoraggi interessino anche un altro aspetto: il bilancio alimentare. Deve risultare chiaro cosa perdiamo e cosa guadagniamo in termini di sovranità alimentare ogni volta che facciamo un nuovo intervento.
Chiediamo di imporre che la costruzione di edifici possa avvenire soltanto se essi rientrano nelleclassi energetiche massime.
Chiediamo di favorire la creazione di isole di suolo vergine e vegetato nei centri urbani (la filosofia attuale invece è che se un terreno è intercluso tra aree edificate, è naturalmente e vocato ad essere edificato anch’esso).
Chiediamo che il censimento degli edifici sfitti sia esteso anche a quelli che sorgono in aree a rischio e che “mappi” tutte le caratteristiche tecniche e urbanistiche dell’immobile.
Definiamo dei disincentivi per le amministrazioni inadempienti.
Proponiamo l’introduzione del “fascicolo del fabbricato”, un documento tecnico contenente tutte le informazioni di tipo progettuale, strutturale, impiantistico e geologico di un edificio, che è richiesto a gran voce da anni da molte categorie (geologi, architetti, ingegneri, ecc..).
Poniamo una maggiore attenzione sui borghi rurali (mentre la legge si concentra principalmente sui centri storici) ed incentiviamo il passaggio da terreno edificabile a terreno agricolo.
Poniamo limiti più stringenti al consumo del suolo: proponiamo di scendere fin da subito al 20% del ritmo attuale e soprattutto inseriamo vincoli per evitare che queste percentuali possano essere aggirate con artifici matematici o urbanistici.
Spingiamo anche per una più netta tendenza alla rinaturalizzazione e alla delocalizzazione degli edifici (demolizione e ricostruzione in aree più sicure e più opportune).
Ci auguriamo che, correggendo le storture esposte in premessa e intervenendo con correttivi di questo tipo, si possa ottenere un provvedimento capace di rilanciare il comparto dell’edilizia, in modo che si possa coniugare la compatibilità ambientale e la qualità degli interventi e della manodopera. Ritornando ad avere un’edilizia che sia il nerbo portante dell’economia italiana ma trasformandola in maniera più compatibile da un punto di vista ambientale ed economico.
COME E’ ANDATA A FINIRE
Come è andata a finire? Tutto è andato come doveva andare: nel peggiore dei modi, secondo lo stile renziano. Se nel testo uscito dalle commissioni c’erano dei punti d’ombra, dei passaggi vaghi, l’aula ha dissipato ogni dubbio ed ha spostato con decisione la rotta politica verso la visione antiquata, il modello arcaico dei palazzinari e dei lottizzatori del secolo scorso. D’altronde ci si poteva aspettare dal governo Renzi e da questa maggioraaza che un provvedimento che nelle finalità aveva il contenimento al consumo del suolo, potesse davvero contenere il consumo di suolo? Certo che no. Abbiamo sbagliato tutto anche noi opposizioni: dovevamo chiamarlo “norme per la cementificazione indiscriminata, l’aggressione ai terreni ancora inedificati e il contemporaneo ristagno del comparto edilizio”. Forse in questo modo avremmo avuto qualche chance di raggiungere l’obiettivo originario di questo atto. Che ricordiamolo: doveva fermare il consumo di suolo agricolo e rilanciare il comparto dell’edilizia imprimendogli un miglioramento qualitativo orientato all’ecosostenibilità. Insomma si poteva utilizzare questa legge per costruire meno ma costruire meglio (dando lavoro a manodopera altamente specializzata) e per coltivare di più per mangiare meglio (salvaguardando la nostra sovranità alimentare).
Invece, in classico stile renziano, invece di superare le crisi innovando con decisione, ci si intestardisce a trovare degli artifici normativi per provare a tenere a galla comparti produttivi vecchi e stantii. Che se sono entrati in crisi, è perché hanno bisogno di essere rilanciati attraverso un profondo rinnovamento, che in questa legge non c’è. Non si mette nessuna leva economica (né come disincentivo delle pratiche negative né come incentivo per le pratiche virtuose). E si trovano artifici semantici per cambiare nome alle vecchie abitudini. Con questa legge si andrà a consumare suolo per costruire come prima, più di prima, edifici destinati a rimanere sfitti.

Fonte: Possibile 

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