di Rocco Artifoni
L’art. 67 della Costituzione vigente dice: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». L’obiettivo dei Costituenti era sicuramente elevato: le persone scelte dal corpo elettorale, una volta elette, non avrebbero dovuto rappresentare soltanto il partito che li aveva candidati, ma assumersi la responsabilità di agire per il bene comune di tutto il popolo. Proprio per questa ragione la Costituzione non prevede un mandato imperativo, ma la libertà di coscienza dell’eletto che deve confrontarsi e dialogare con gli altri eletti, al servizio di tutta la Nazione. Questa idea di rappresentanza politica e di democrazia è stata descritta nel 1948 in modo chiaro da Piero Calamandrei, uno dei Costituenti: «Affinché il Parlamento funzioni a dovere, bisogna che sia una libera intesa di uomini pensanti, tenuti insieme da ragionate convinzioni, non solo tolleranti, ma desiderosi della discussione e pronti a rifare alla fine di ogni giorno il loro esame di coscienza, per verificare se le ragioni sulle quali fino a ieri si son trovati d’accordo continuino a resistere di fronte alle confutazioni degli oppositori.
Il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza». I Costituenti non erano ingenui, ma avevano sperimentato il proficuo lavoro dell’Assemblea Costituente, che ha portato all’approvazione quasi unanime della Carta che costituisce il nostro patto di cittadinanza.
Il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza». I Costituenti non erano ingenui, ma avevano sperimentato il proficuo lavoro dell’Assemblea Costituente, che ha portato all’approvazione quasi unanime della Carta che costituisce il nostro patto di cittadinanza.
D’altra parte, lo stesso Calamandrei già nel 1956 scriveva: «Chiamare i deputati e i senatori i “rappresentanti del popolo” non vuole più dire oggi quello che con questa frase si voleva dire in altri tempi: si dovrebbero piuttosto chiamare impiegati del loro partito. I partiti, da libere associazioni di volontari credenti, si sono trasformati in eserciti inquadrati da uno stato maggiore di ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente: nei quali a poco a poco si intiepidisce lo spirito dell’apostolo e si crea l’animo del subordinato, che aspira a entrare nelle grazie del superiore. La elezione dipende dalla scelta dei candidati: la quale è fatta non dagli elettori, ma dai funzionari di partito. E i candidati, più che per meriti personali di specifica competenza professionale, sono scelti per le loro attitudini a diventare buoni funzionari del loro partito in Parlamento». Viene da chiedersi che cosa scriverebbe oggi Calamandrei sulla classe politica attuale.
Non va dimenticato che, soprattutto negli ultimi decenni, abbiamo assistito “all’indecorosa migrazione di parlamentari da un partito all’altro: a fine gennaio 2016 si contavano 325 metamorfosi dei voltagabbana di questa legislatura” (Salvatore Settis). Si potrebbe dire che la situazione è ulteriormente peggiorata, poiché sulla (discutibile) fedeltà al partito prevale il (discutibilissimo) attaccamento alla poltrona, che rende i parlamentari pronti a cambiare casacca e alleanze.
Nel progetto di riforma costituzionale, recentemente approvato dal Parlamento e che verrà sottoposto al referendum in autunno, il nuovo articolo 67 afferma: «I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato». Scompaiono le parole «rappresenta la Nazione», che vengono trapiantate nell’art. 55, da cui risulta che «ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione». Con la riforma avremmo dunque un Senato i cui membri non rappresenterebbero più la Nazione, perché «Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali». Questo cambiamento di riferimento della rappresentanza dei senatori è in palese contrasto con le competenze attribuite, proprio dal progetto di riforma, al Senato, il quale «partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea», materie che implicherebbero un’autorevole rappresentanza della Nazione. Inoltre, nel Senato ci potranno essere cinque membri, nominati dal Presidente della Repubblica, tra “i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59), avremmo il paradosso che questi illustri senatori non rappresenteranno la Nazione. Non solo: dato che del Senato faranno parte di diritto gli ex Presidenti della Repubblica, avremo l’assoluta incongruenza che Ciampi e Napolitano (e in futuro Mattarella) non rappresenteranno più la Nazione. Possiamo anche considerare secondario questo aspetto, ma denota come il progetto di riforma della Costituzione sia stata architettato in modo alquanto superficiale.
C’è un altro problema: sulla base della nuova legge elettorale (detta “Italicum”) il partito più grande di una coalizione che vincerà la competizione elettorale alla Camera dei deputati, prenderà molti seggi grazie al cospicuo premio di maggioranza. Questo spingerà chi aspira ad essere eletto ad entrare soprattutto nelle liste dei partiti maggiori, per avere più possibilità di successo, anche se magari non condivide parte del programma elettorale. Di conseguenza, una volta eletto il candidato, le divergenze sono destinate a manifestarsi, con una spinta oggettiva verso più frequenti cambi di partito (come se non ce ne fossero già abbastanza).
Con l’eventuale approvazione della riforma della Costituzione, resta da definirsi in quale modo verrebbero eletti i 95 senatori “rappresentanti delle istituzioni territoriali” (21 sindaci e 76 consiglieri regionali). Il testo del nuovo articolo 57 fornisce indicazioni poco chiare, se non addirittura contraddittorie: da una parte si prescrive di eleggere “con metodo proporzionale i senatori tra i propri componenti e tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”, ma dall’altra si dice che tale elezione debba essere “in conformità alle scelte espresse degli elettori per i candidati consiglieri” (senza considerare che ogni Regione ha un sistema elettorale diverso). Per concludere si stabilisce che “con legge approvata dalle Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato”. Può essere più confuso di così!?
Fonte: Pressenza
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