La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 13 maggio 2016

L’orgia dei bari contro le unioni di fatto

di Anna Lombroso 
A scorrere i titoli dei giornali, si potrebbe trarre l’impressione che il governo e la sua maggioranza abbiano rotto un patto secolare con religione di Stato, tradizione e senso comune, per imboccare la via licenziosa dell’irregolarità, dell’anti convenzionalità più dissipata, della trasgressione più depravata e, come se non bastasse, onerosa per le casse del bilancio previdenziale. Colgo fior da fiore. Il Messaggero: Effetti pesanti per i conti, la reversibilità andrà a tutti i conviventi. Il Corriere:Una sconfitta della democrazia, così si svaluta la famiglia. Il Giornale: Il pasticcio di Renzi, così le nozze gay ci portano alla bigamia. La Repubblica: L’ira dei cattolici, ora referendum e voteremo no sulle riforme. Il Tempo: Happy Gays. Le unioni civili sono legge ma il paese è spaccato.
Non c’è da stupirsi, dovevamo aspettarcelo dalla sacra alleanza dei bari che giocano alle tre carte tutti insieme, uniti per abbindolarci, dai pusher che ci spacciano roba cattiva, compresa qualche bustina di oppio dei popoli, facendo finta che siano vittorie dei diritti e dell’uguaglianza. Che contrabbandano quello che non è nemmeno un minimo garantito, smerciano quello che non costituisce neppure una imitazione di pari trattamento e di uguaglianza tra i cittadini, come fosse una conquista di civiltà ardua, addirittura divisiva se incontra l’avversione di puttanieri, sacerdoti dell’ipocrisia, patron di Boeri e fan della Fornero, poligami inveterati, ma concessa per generoso istinto di giustizia, per amore di laicità, per ragionevole allineamento agli accertati standard di umanità, progresso e urbanità occidentali.
E pronti ad approfittare del malcontento degli alleati per giustificare defezioni e una eventuale bancarotta in Parlamento e nelle urne della “riforma” della coppia di fatto Boschi-Renzi.
Si mi sbagliavo qui:
https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2016/02/07/figli-figliastri-e-politicastri/, nel pensare che il Ddl Cirinnà, spacchettato di parti cruciali a cominciare dalle adozioni, rinviate a data da destinarsi, o come si dice a Roma “a babbo morto”, nella misura in cui assomiglia a una prova generale della riforma costituzionale, fosse appunto quel risultato minimale che andava comunque accolto come un risultato positivo, mi sbagliavo ancora di più nell’adottare il discrimine caro alla Boschi, o con noi o con Casa Pound, sentendomi incoraggiata dall’ostilità dei fondamentalisti del Mulino Bianco, dall’insofferenza del Moccia del revisionismo marxista, intento a dimostrarci che i diritti devono essere suddivisi in dinamiche gerarchie e declinati secondo graduatorie, in modo da relegare tra gli optional quelli considerati de luxe, marginali quando non pericolosamente distraenti da moti rivoluzionari consumati tramite blog, carriere universitarie sorprendenti, obblighi parlamentari alternati con Teresine e tavoli da poker.
Si mi sbagliavo perché il miserabile sorcio partorito dalla montagna di menzogne, dal cumulo di acrobatiche manomissioni di antropologia e di negazionismo scientifico, dal coacervo di usi politici della statistica e della psicologia dell’età evolutiva, laddove di evoluzione se ne vede sempre meno, dal mucchio selvaggio di pregiudizi omofobici combinati con quelli del liberismo che converte garanzie, prerogative, diritti acquisiti in elargizioni che bisogna meritarsi, pena l’assimilazione alla categoria dei parassiti, ecco quel sorcio è davvero al di sotto di quei valori limite che l’appartenenza alla cittadinanza imporrebbe. Nega l’istituto del matrimonio agli omosessuali, in considerazione della loro diversità sessuale? concedendo loro la possibilità di unirsi nell’ambito di una “specifica formazione sociale”, che non contempla l’obbligo di fedeltà, in considerazione del loro accertato e consumato istituto alla promiscuità? nega loro le tutele e le protezioni dello Stato quali il diritto alla pensione, le detrazioni, le riserve successorie, in considerazione della loro indole a sottrarsi alle convenzioni che accomunano la gente per bene? nega loro anche l’adozione del figlio di uno dei partner, in considerazione di una loro “inferiorità” morale?.
E così stabilisce per legge che la legge non è uguale per tutti, che la giustizia deve rispettare imperativi di maniera, quelli dettati dal bon ton di un’etichetta statuita dal matrimonio tra interessi privati (di una confessione) e pubblici (della politica). E che noi cittadini siamo obbligati a rinunciare alle questioni di principio, ora in nome della necessità, ora in nome della crescita, ora in nome di una conciliazione indispensabile a garantire la governabilità. Proprio come ci chiamano a fare in occasione del referendum costituzionale, quando dovremmo ubbidire al comando di smantellare il poco che resta di democrazia, rappresentanza e partecipazione per assicurare il mantenimento in vita della loro “governabilità” che altro non è che la sopravvivenza e stabilizzazione dei loro poteri, dei loro privilegi, delle loro rendite di posizione, donate loro senza merito, se non quello di essere naturalmente, per inclinazione, per vocazione, per incarico, per missione arruolati al servizio di ogni padrone, in tonaca, in divisa, in doppiopetto, in orbace.

Fonte: Il Simplicissimus 

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