di DINAMOpress
Non è semplice provare a comprendere quello che sta accadendo a Parigi, in quella piazza che da settimane è diventata punto di concentrazione e di irradiazione del movimento francese, se non ci si arriva con la giusta dose di curiosità. A Parigi, come in altre centinaia di piazze disseminate in tutta la Francia, nei piccoli centri come nelle grandi città. Può essere d’aiuto lasciare alla porta, poco prima dello sbarramento dei poliziotti che da qualche tempo perquisiscono chiunque entri in piazza, la modalità d’approccio e di uso di quelle categorie politiche che accompagnano il nostro agire e le posture che adottiamo nei rapporti tra i “gruppi”, soprattutto qui in Italia. Non le categorie politiche in quanto tali, ma le modalità d’approccio e d’uso delle stesse. Non i rapporti tra i “gruppi”, ma le posture cristallizzate nei rapporti tra gli stessi.
Lo diciamo subito: il dato principale che ci sembra caratterizzare la dinamica sociale che sta ridisegnando lo spazio materiale e simbolico di République è la complessità, o forse è meglio parlare di una stratificazione multilivello, tra la spazio fisico, nei suoi piani molteplici - commissioni, azioni, assemblea generale, gruppi, stand, improvvisazioni, occupazioni, occupazioni di occupazioni - e lo spazio virtuale. Una straficazione che non può essere ricondotta all'Uno della sintesi o interpretata attraverso una chiave univoca. Una complessità che nessuno dovrebbe snobbare e che nello stesso tempo è inutile celebrare: va invece percorsa, respirata, agitata.
Come ha osservato Oreste Scalzone, nella bella intervista che abbiamo pubblicato, la piazza più che un'isola è un arcipelago, una coalescenza di forme di vita, percorsi di autorganizzazione, enunciati e pratiche che proliferano senza possibilità di sintesi. Le percezioni di Nuit Debout, sono da preferire, in questa fase di estensione della partecipazione alla lotta, ai giudizi sintetici a priori e a posteriori. Percezioni e percetti.
Intorno all'assemblea generale – in cui ogni giorno, dal pomeriggio alla sera, centinaia se non migliaia di persone discutono di questioni politiche diverse, molteplici, a volte contraddittorie – si sono formate decine di commissioni. Ci sono quelle strutturali indispensabili all'organizzazione del movimento sulla piazza, e quelle tematiche, che affrontano questioni specifiche e costruiscono azioni, campagne e mobilitazioni puntuali. In questa seconda categoria, troviamo, ad esempio, la commissione anti-coloniale e quella sullo sciopero, la commissione internazionale e quella sulla scrittura di una nuova Costituzione. Solo pochi metri separano la commissione dei senza fissa dimora, in cui chi non ha una casa si è autorganizzato per raccogliere ciò di cui ha bisogno, da quella degli “avocats debout”, oltre 200 legali che garantiscono quotidianamente l'accesso libero e gratuito agli strumenti del diritto. Nel frattempo, Archi Debout pensa a riprogettare lo spazio di discussione immaginando e realizzando strutture che come bolle tengono corpi e parole in discussione, non per racchiuderle ma per farle volare sempre più in alto. E ancora: mentre da un lato della piazza assemblea e commissioni portano avanti discussioni e proposte, in un altro si balla al ritmo della tekno o di una jam session, e in un altro ancora si socializza intorno ad enormi giochi di società.
La piazza è prima di tutto un'enorme palestra di politicizzazione. Un flusso continuo di discorsi che dalle assemblee e dalle commissioni debordano nelle decine di gruppetti e capannelli che costellano République, nelle strade che la costeggiano, nel quartiere che la circonda, nello spazio virtuale che invisibilmente l'avvolge. Le forme organizzative e di decisione risultano quasi stranianti a chi ha un'esperienza politica pregressa, a chi è abituato al “confronto tra strutture”, alle discussioni ordinate e centrate su temi specifici, ai tatticismi sospettosi, alle sfumature di parole per altri inaccessibili. L'ascolto di chiunque voglia prendere parola – dai professori universitari ai barboni, dagli attivisti internazionali ai sans papiers – è caratteristica costitutiva delle discussioni: il ritmo è lento, può sembrare asfissiante. Ma imprevisti sono i salti, le accelerazioni, i cambi di passo e di ritmo. Forse ci si può approcciare a queste nuove dinamiche solo con una lenta impazienza.
La piazza non è un perimetro dove portare a convergenza le lotte, ma una delle forme che le lotte hanno scoperto, mentre ricercano convergenze. Una forma tra le altre: picchetti, manifestazioni, scioperi, resistenza e attacchi alla polizia, occupazioni dei luoghi culturali. Place de la République dice che il militante, specie se comunista e comunardo, deve essere un intercessore. E dunque un traduttore. Tradurre comporta sempre una modificazione del senso originario, ammesso che un'origine esista. Nella piazza, nel movimento di massa, la trasformazione deve essere in primo luogo sperimentata, subita, prima che affermata nei termini dell'indirizzo, della pretesa di “dettare la linea”. Che i sindacati abbiano scelto quella piazza per intervenire il giorno dello sciopero generale il 28 aprile è stato il riconoscimento effettuale di un rapporto non convenzionale e non mediato fra cicli di lotte.
I contenuti che rimbalzano tra le discussioni della piazza e i social network, tra le commissioni e l'assemblea generale, sono innumerevoli. Inutile tentarne un elenco. Per quanto ci riguarda, è interessante riscontrare che, tanto nei momenti tematici quanto in quelli generali, esiste un forte interesse per i campi di lavoro politico che a Roma stiamo affrontando già da tempo: nuove forme di democrazia radicale e di decisione nello spazio metropolitano, attraverso la rivendicazione e la difesa dei beni comuni urbani, dei servizi pubblici, delle forme di welfare e il rifiuto del debito; nuove forme di sindacalismo sociale e tensione a costruire battaglie e scioperi su una scala transnazionale.
Soprattutto durante l'assemblea generale, è stato decisivo comprendere il livello di maturità della piazza, sia nell'assunzione della tecnopolitica come campo di contesa con il potere sull'utilizzo degli algoritmi, dei dati e dei nuovi strumenti di opinione, organizzazione e mobilitazione, sia rispetto alla prospettiva programmatica. E in un contesto come quello francese, dove il regime presidenzialista sta mostrando il suo volto autoritario, ci è sembrato importante l’attenzione manifestata per il tema dell’autogoverno e della possibilità di fare rete tra città ribelli. Fondamentale nell'atelierAlternative è stato lo scambio tra le esperienze spagnole, italiane e le Nuit Debout di molte città della Francia. Che in un Paese tradizionalmente centralista – vero luogo di nascita dello Stato-nazione – si ponga all’ordine del giorno il tema dell’autogoverno e della federazione tra istituzioni di autogoverno, ci sembra fatto di primaria importanza e segnale che la costruzione di una rete di città ribelli è solo in mo(vi)menti come questi che può realizzarsi. Non è certo un processo che si può scrivere a tavolino, o tramite operazione di marketing politico del tutto prive di connessioni con i conflitti che percorrono lo spazio europeo.
Anche l'atelier Resistance ha mostrato vari elementi di interesse: la capacità di vari collettivi europei di incontrarsi per fare fronte comune contro le politiche di austerity, dei flussi migratori e infine di governo neoliberale del lavoro. Quasi subito, è stata trovata una sintonia nell'esigenza di costruire nuove pratiche di sciopero che sappiano porsi su un livello transnazionale e che abbiano la capacità di interpretare da un lato le trasformazioni del mondo del lavoro e dall'altro l'emergenza di nuove figure produttive (migranti, precari, intermittenti).
Sempre rispetto al contesto francese, questa grande ondata di politicizzazione va inserita nel quadro dell'Etat d'Urgence e degli attentati terroristici. Ha detto bene Rancière: una generazione in lutto si è trasformata improvvisamente in una generazione in lotta. Nel contesto politico attuale, segnato dal divenire autoritario dei principali partiti politici – il governo socialista ha prolungato di altri 6 mesi lo stato d'emergenza e utilizzato l'articolo 49.3 della Costituzione per approvare la Loi Travail scavalcando completamente la discussione e il voto parlamentare – e dalla crescita continua del Front National di Marine Le Pen, il movimento può costituire l'unico elemento di rottura di tendenze regressive, che si stanno ormai stratificando pericolosamente. Impossibile prevedere verso quali territori questa rottura porterà, quali effetti potrà produrre. Sicuramente dovrà misurarsi, al di là della vittoria o sconfitta rispetto alla Loi Travail (alternative non da poco), sulla questione della continuità organizzativa, della “persistenza”, della “potenza di persistere”, della disseminazione geografica e tematica, della costruzione di infrastrutture capaci di tutelare e moltiplicare i processi organizzativi e decisionali di base.
Altro banco di prova saranno le ricadute europee e transnazionali che la Nuit Deboutprodurrà nei prossimi mesi. Il 15 maggio è un’importante appuntamento di verifica della potenza della Nuit Debout di diffondere anche solo piccoli spazi di risonanza e di diffusione del movimento francese, che per la prima volta assume come priorità quella dell’abbattimento dei confini nazionali della lotta. Sarebbe illusorio pensare a uno sviluppo lineare del movimento, dalla Nuit Debout al Global Debout in un colpo solo. Eppure, in questi ultimi anni abbiamo visto una circolazione inaspettata di quelle insurrezioni democratiche che hanno trasportato il vento di rivolta dal Nord Africa alle piazze spagnole e greche, fino agli Stati Uniti.
République, in questo senso, potrebbe essere il primo segno di un nuovo ciclo di lotte, di nuovi movimenti delle piazze. E, insieme, dell’assunzione della pratica tecnopolitica come immediatamente organizzativa dello spazio transnazionale delle lotte.
Fonte: dinamopress.it
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