di Andrea Fumagalli
Oggi la differenza tra vita e morte, tra essere liberi e essere schiavi, è sempre più sfumata, perché è più difficile essere coscienti della propria condizione. Appena nasciamo riceviamo dal passato un imprinting, un marchio che a fatica riusciamo a scrollarci per riuscire a definire un futuro che sia diverso (e migliore) dai futuri precedenti. Viviamo in un limbo di continua sussunzione vitale. Ovvero, siamo fagocitati all’interno di un lavoro morto. Parlare quindi di opera viva è una chimera in questi tempi. In primo luogo, perché oggi anche l’opus (come l’otium) si è trasformato e continua a trasformarsi in labor, cioè in dolore, fatica, tortura, mercificazione materiale e immateriale. In secondo luogo, perché i processi di sgretolamento/sussunzione di una vita activa (non nel senso della Arendt, ma nel senso di vita autodeterminata, alias diritto alla scelta), tra precarizzazione, austerity e subalternità, sono sempre più pervasivi, sino a costituire un’aura di morte.
Un lavoro morto, dunque: il più delle volte accettato, da alcuni con rassegnazione, da altri con partecipazione, da pochi contestato. E se la vita è messa completamente al lavoro, il lavoro morto corrisponde alla morte della vita.
Un lavoro morto, dunque: il più delle volte accettato, da alcuni con rassegnazione, da altri con partecipazione, da pochi contestato. E se la vita è messa completamente al lavoro, il lavoro morto corrisponde alla morte della vita.
È necessaria, quindi, una risurrezione. Non tramite l’illusione che si possa in qualche modo modificare i gangli di potere (finanziario, tecnologico, burocratico) tramite una lunga marcia in grado di creare consenso e azione politica, istituzionalmente (e legalmente) riconosciuta. Neanche tramite l’illusione che si possa abbattere il palazzo d’inverno che oggi si è fatto immateriale, nomade e imprendibile.
È necessaria una risurrezione. Non solo culturale ma anche politica. A partire dal sé, non individualmente, ma collettivamente, con una continua contaminazione e sperimentazione. Se oggi vogliamo parlare di opera viva, è necessario compiere due passaggi:
1. trasformare il lavoro morto in lavoro vivo
2. trasformare il lavoro vivo in opera viva
Il primo passaggio richiede la liberazione dal ricatto del bisogno, ovvero disporre di un reddito di base incondizionato. Il che è possibile se siamo in grado di creare un circuito monetario in grado di finanziarlo, perché, anche nel caso vengano presi provvedimenti in tal senso, il sostegno al reddito che l’attuale processo di accumulazione si può permettere, non è un reddito di libertà (incondizionato) ma un reddito di miseria e di morte, selettivo e condizionante.
Il secondo passaggio ci porta a immaginare modelli alternativi di produzione antropogenetica, dell’essere umano per l’essere umano, finalizzati al valore d’uso e non al valore di scambio, in grado di consentire la riappropriazione di quel comune (al singolare) che è già in noi. Per me opera viva significa creare autonomia costituente: autonomia per autodeterminare le nostre esistenze, costituente per produrre alterità, qui ed ora.
Fonte: operaviva.info
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