di Ilaria Fortunato
Quello che sta avvenendo in Francia, nel silenzio dei media, è qualcosa che al governo demagogico di Renzi si adatta ben poco: l’invito al non voto per il referendum sulle trivelle è l’ennesimo esempio che ci ha mostrato come Renzi, in verità, alla democrazia non ci è abituato. Il Job’s Act e la sua politica antisociale avevano già reso chiaro questo scenario.
Se vogliamo parlare in termini di terrorismo il Job’s Act non è stato poi così diverso da un attentato e non è stato diverso dalle innumerevoli manovre di austerità che l’Unione Europea continua a perpetrare al fine di promuovere la crescita economica rivelandosi poi, al contrario, fonte di disparità e di concentrazione sempre più ristretta delle ricchezze nelle mani di pochi. La Francia, con la Legge Lavoro del ministro El Khomri e del governo Hollande-Valls, un invito alla precarietà, al licenziamento abusivo e un affronto nei confronti del Codice del Lavoro francese, non è stata risparmiata dal potere oligarchico della UE e dal tentativo spudorato di amplificazione dei privilegi del patronato da parte di un Partito Socialista che, di socialista, ha ben poco.
La legge Macron, con l’estensione del tempo lavorativo domenicale, aveva già innescato la scintilla, ma chiedere ai giovani flessibilità e precarietà a vita costituisce una proposta indicibile, perversa, tutt’altro che dignitosa. Grazie all’iniziativa dei sindacati che hanno chiamato allo sciopero generale nella giornata del 9 marzo scorso, 300.000 manifestanti sono scesi in strada, seguiti da blocchi stradali, soppressione di voli, sciopero dei trasporti ferroviari. Altre giornate si sono susseguite: il 17, il 24, il 31 marzo, il 5 , il 9 e il 28 aprile. E non sono state solo le mobilitazioni e gli appelli dei sindacati a proliferare, ma anche le assemblee generali studentesche, le occupazioni, cortei di giovani contro il progetto El Khomri.
La legge Macron, con l’estensione del tempo lavorativo domenicale, aveva già innescato la scintilla, ma chiedere ai giovani flessibilità e precarietà a vita costituisce una proposta indicibile, perversa, tutt’altro che dignitosa. Grazie all’iniziativa dei sindacati che hanno chiamato allo sciopero generale nella giornata del 9 marzo scorso, 300.000 manifestanti sono scesi in strada, seguiti da blocchi stradali, soppressione di voli, sciopero dei trasporti ferroviari. Altre giornate si sono susseguite: il 17, il 24, il 31 marzo, il 5 , il 9 e il 28 aprile. E non sono state solo le mobilitazioni e gli appelli dei sindacati a proliferare, ma anche le assemblee generali studentesche, le occupazioni, cortei di giovani contro il progetto El Khomri.
Noi studenti di Poitiers, per due giorni, abbiamo occupato la Facoltà di Lettere affinché la comunità studentesca potesse convergere verso un comune spazio di organizzazione: abbiamo parlato, discusso, organizzato, stimolato una cultura militante con la proiezione di film politicamente impegnati e costruito angoli di dibattito.
Per una legge che indebolisce i salariati oggi e i giovani domani la convergenza è sorta come una necessità spontanea. La stessa necessità che il 31 marzo ha riunito un gruppo di giovani, in Piazza della Repubblica, a Parigi, con l’intento di organizzare una serata dal titolo “Fargli paura”. Non è stata fine a se stessa, questo è certo, perché è così che il movimento Nuit Debout è nato. L’iniziativa di pochi che hanno colto l’occasione per porre sulla scena una collera generale contro il governo, senza avere la benché minima consapevolezza che tutto ciò si sarebbe trasformato in un evento di enorme portata. Devo dire che un tale movimento non me lo sarei mai aspettato, perché l’unione è forse l’obiettivo più complesso da realizzare, perché la convergenza è il luogo nel quale gli interessi personali non hanno il diritto di esistere e la vita di lotta è una vita in comunità. La comunione nella diversità è già di per sé un atto rivoluzionario. Non vivo a Parigi, ma ho seguito il movimento attraverso la stampa ufficiale e la stampa alternativa e vivo l’esperienza della Nuit Debout a Poitiers, luogo nel quale attualmente abito e studio, partecipando alle sue attività come militante e membro della commissione femminista e della commissione artistica. Una grande occupazione delle piazze si è diffusa a macchia d’olio. Lo scambio di parola, di idee, di proposte è importante di questi tempi ed è proprio l’occupazione di luoghi pubblici che concede la possibilità a coloro che sono meno politicamente impegnati di prendere parte a questo grande tentativo di cambiamento sociale radicale. La Nuit Debout è l’occasione per la convergenza delle lotte, per comprendere il significato dell’autogestione, della solidarietà, del collettivismo. Gli spazi adibiti nei luoghi occupati non sono unicamente spazi di discussione, ma spazi di vita e crescita contro-culturale e umanitaria. Sono adibite biblioteche ambulanti e solidali, cinema gratuiti all’aria aperta, mense popolari a prezzo libero, animazione e musica per ricrearsi, la realizzazione di un giornale di stampa non-tradizionale, una radio ed una tv che diano voce al movimento e che rivolga la sua attenzione a tutte le problematiche sociali attualmente esistenti. La formazione di commissioni organizzative non impedisce, in ogni caso, la presa di decisione che è affidata esclusivamente all’Assemblea generale, al cospetto di tutti, affinché ogni scelta possa essere la più democratica possibile. Reagire ed esigere il ritiro totale della Loi Travail è il primo passo, ma si parla già di altro. Di blocco economico, autogestione, risoluzione della problematica dei migranti, abolizione dello stato d’urgenza. Ci si schiera contro la violenza arbitraria che la polizia, al servizio dello Stato, mette in atto contro i manifestanti. Gas lacrimogeni, flashball, manganelli: queste sono le armi che colpiscono il movimento e la cui brutalità è giustificata dallo stato d’urgenza vigente contro il terrorismo (o forse è meglio dire contro i diritti umani). La repressione è il mezzo anti-democratico per eccellenza di un governo che ha paura della democrazia, che ha paura di un popolo che si schiera contro una politica antisociale al servizio del profitto personale.
I recenti avvenimenti dello scandalo dei Panama Papers ci hanno dimostrato come in Islanda sia proprio il popolo ad aver vinto contro il primo ministro Johannsson, costretto alle dimissioni. Un’altra vittoria è vedere come il movimento Nuit Debout a Parigi abbia sostenuto l’occupazione di un liceo inoccupato dando una dimora ai rifugiati o come a Poitiers abbia sostenuto una famiglia rumena alla quale il comune aveva tolto la casa, organizzando collette di abiti e cibo. Si parla inoltre di allestire tende in piazza per i senzatetto, di distribuire la merce non vendibile dei supermercati ai più poveri. A Parigi precari ed intermittenti dello spettacolo hanno occupato per giorni il teatro dell’Odéon e gli spazi della Comédie Française con l’aiuto e il sostegno di Nuit Debout. Questa è una lotta comune, una lotta che riunisce tutte le genti. Una lotta che è anticapitalista, antifascista, ecologista, femminista. Come commissione femminista poitevina di Nuit Debout, ad esempio, abbiamo portato avanti delle azioni contro le molestie di strada, così come contro il noto collettivo studentesco locale e secolare dei Bitards, di ordine gerarchico e dichiaratamente sessista, sovvenzionato in linea diretta dal comune di Poitiers.
Per quanto riguarda la struttura del gruppo è importante dire che, così come a Parigi, è stato deciso di svolgere dei raduni misti e non misti a giorni alterni, affinché si possa discutere liberamente tra donne di questioni non necessariamente accessibili agli uomini, senza tuttavia negare loro l’accesso al dibattito femminista. Una scelta simile è stata adoperata per le prese di parola durante le assemblee generali che a Parigi prevedono un rapporto equo tra il numero di donne e uomini che desiderano apportare i loro interventi. Ma non è solo il femminismo che funge come colonna portante del movimento. Una commissione LGBT contro le discriminazioni sessuali è stata allestita, una commissione per l’agricoltura biologica, per il diritto all’alloggio e tante altre. Il movimento cerca dunque di toccare tutti, abbraccia tutti coloro che hanno qualcosa da dire contro il sistema, che subiscono disuguaglianze e violenze sociali. Ognuno contribuisce al dibattito nella sua diversità individuale e senza alcuna logica di competitività al contrario stimolata dal nostro sistema neoliberista. Nuit Debout è per tutti, è la convergenza delle lotte: è una lotta per gli zadisti di Notre-Dame-des-Landes che si schierano contro la costruzione dell’aeroporto e per la difesa del territorio e durante le cui mobilitazioni un giovane di 21 anni, Rémi Fraisse, ha perso la vita in seguito al lancio di una granata da parte della polizia. È una lotta per i No Tav, una lotta contro il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (anche detto TTIP) a favore dell’agricoltura locale e contro il capitalismo delle grandi multinazionali, per la salvaguardia del pianeta e contro il nucleare, per l’abbattimento delle frontiere, l’accoglienza dei migranti e contro l’austerità, per una una ridefinizione del concetto di lavoro e contro il suo sfruttamento, una lotta per la democrazia, per la requisizione e la socializzazione delle banche, per una società libertaria e contro il fascismo. Quest’ultima penso sia la caratteristica che ha condotto il movimento a negare l’accesso alle Nuit Debout a negazionisti, rappresentati di estrema destra (come il Fronte Nazionale di Marine Le Pen), islamofobi o neo-fascisti, com’è accaduto a Parigi con il caso del filosofo Alain Finkielkraut. Non si tratta di negazione della libertà di parola, ma dell’impossibilità di conciliazione con un’ideologia che negherebbe il movimento stesso, che si muoverebbe sul versante opposto, che rappresenterebbe per noi un potere morale da demolire e agirebbe con un intento divisorio. Un esponente di estrema destra del Front National di Poitiers ha dichiarato di volere la fine del movimento Nuit Debout, esigendo lo sgombero delle piazze contro una gioventù da lui definita “violenta ed intransigente”.
Non dimentichiamo però, che in molteplici manifestazioni, poliziotti in borghese hanno assunto il ruolo di “casseurs”, di “manifestanti violenti” con il solo fine di dividere il movimento e favorirne la sua repressione. A Rennes un ragazzo ha perso un occhio a causa di un proiettile di gomma lanciato dalle CRS. L’applicazione di una simile strategia, che potremmo anche definirla “del terrore”, è un vero attentato contro l’unità del movimento. Un’unità che riscontra le sue difficoltà anche nelle divisioni che intercorrono tra alcuni sindacati, ma che tuttavia cerca e continua a cercare un punto di convergenza. Un accordo del 2014 che prevedeva l’aggravamento delle condizioni di lavoro per i ferrovieri a favore di una maggiore produttività ha fatto scendere in piazza una nuova fascia di lavoratori. E sebbene molti sindacati non vogliano riconoscere il legame con la legge lavoro, Nuit Debout non ha negato l’appoggio ai ferrovieri impegnati in questa rivendicazione. Non possiamo perdere la nostra unità, che costituisce il motore del movimento, spingendolo verso una prospettiva non soltanto nazionale, ma internazionale. Il movimento si dichiara apolitico e senza etichetta. Partecipare alle Nuit Debout sapendo di militare all’interno di un’organizzazione alle volte non è facile, perché i giovani hanno perso fiducia nella politica che fino ad oggi li ha sfruttati e li ha traditi, ma questo non nega di parteciparvi e di esprimersi, non in qualità di un partito, ma in qualità di individualità, di essere umano. Inoltre voglio ricordare che nel silenzio più totale dei media dall’altra parte del mondo, nel Mayotte, dove la povertà supera la soglia dell’80%, vi è stato uno sciopero generale che si è prolungato per più di 10 giorni contro una legge lavoro coloniale (che prevede un aumento delle tasse per i più poveri) e a favore dell’applicazione del Codice del Lavoro francese; ma sappiamo bene che il colonialismo non è mai uguaglianza tra le genti, se non sfruttamento economico di popoli ai quali non viene concessa né la libertà, né la dignità. Penso che Nuit Debout sia qui per questo: per dire no ai nostri governi, per la creazione di una società eco-sostenibile, egualitaria, che rispetti la differenza e sia solidale, per le energie rinnovabili, per impedire l’accumulo di ricchezze a favore dei grandi capitalisti, per definire un lavoro che sia equo, giusto, socialmente utile e non alienante. Penso sia la stessa lotta degli indignati spagnoli per la democrazia partecipativa o del movimento Occupy Wall Street contro il capitalismo finanziario negli Stati Uniti. È una lotta che unisce tutte le lotte e ci tengo a dire che lo sciopero generale è un’arma estremamente potente in nostro possesso, che il blocco dell’economia ha un potere estremante determinante per la rivendicazione e per la costruzione di un’alternativa. Credo che il ritiro della Loi Travail (così come di tutte le leggi che stanno inasprendo il mondo del lavoro) sia attualmente l’obiettivo che ora necessita più attenzioni, quello che ci permette di vedere giovani e salariati lottare insieme. E quando l’obiettivo sarà raggiunto spero che questa vittoria possa essere la scintilla che scatena la mobilitazione di una grande voce anticapitalista anche in Italia e in Europa. La Spagna, il Belgio, il Portogallo, i Paesi Bassi e la Germania hanno seguito l’iniziativa francese delle Nuit Debout e mi auguro che questa voce possa diffondersi anche in Italia; che l’Italia abbia le sue Nuit Debout, i suoi luoghi di incontro, le sue assemblee popolari e i suoi nuovi esempi di democrazia partecipativa.
Fonte: Popoff Quotidiano
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