di Anna Maria Merlo
La sinistra dissidente non è riuscita a mettere assieme le 58 firme di deputati necessarie per presentare la propria «mozione di censura» contro il governo Valls (è arrivata a quota 56). Oggi pomeriggio, all’Assemblea nazionale sarà così sottoposta al voto solo la «censura» presentata dalla destra, contro il ricorso all’articolo 49.3, modalità scelta dal governo per far passare senza votazione la legge di riforma del lavoro. Che continuerà ad essere contestata in piazza: oggi ci saranno manifestazioni in Francia e i sindacati ne stanno organizzando altre per il 17 e 19 maggio. La «censura» – una sorta di sfiducia – non dovrebbe ottenere la maggioranza richiesta per far cadere il governo, che è di 288 voti su 574 deputati (3 seggi sono vacanti). Però potrebbe raccogliere i consensi non solo dei deputati di destra e di centro-destra, ma anche quelli del Front de Gauche, arrivando a 236 voti, a cui potrebbe aggiungersi qualche socialista o ex socialista della «fronda» e qualche verde.
L’eurodeputato Jean-Luc Mélenchon ha invitato la sinistra critica ad unirsi alla destra nel voto della «censura», un calcolo elettoralista in vista delle presidenziali del 2017, dove intende battere il candidato socialista al primo turno e incarnare la forza politica più potente in quello che resterà della sinistra.
Il capogruppo Ps, Bruno Le Roux, ha minacciato: i deputati socialisti che voteranno la censura «saranno esclusi» (prospettiva che dovrebbe raffreddare molte velleità, visto che si stanno già preparando le liste per le legislative del 2017).
La riforma del lavoro, mal gestita, senza una vera concertazione, sancisce così il suicidio della sinistra al governo. La legge sarà adottata senza voto, con alcune modifiche rispetto al testo originale: un testo ibrido, che flessibilizza il lavoro e facilita i licenziamenti ma al tempo stesso propone alcuni diritti per lenire la svolta liberista.
Il voto del Front de Gauche con la destra, la quale rimprovera alla legge El Khomri di non essere abbastanza liberista, lascerà forti tracce.
In questi giorni si stanno moltiplicando le prese di posizione dei candidati alle primarie della destra, nel prossimo novembre. È una gara a chi promette più lacrime e sangue.
Alain Juppé, per esempio, vuole abolire le 35 ore, far lavorare 39 ore pagate 35, portare la pensione a 65 anni e tagliare pesantemente tra i dipendenti pubblici. Gli altri candidati, già dichiarati (come François Fillon o Bruno Le Maire) o in pectore (Nicolas Sarkozy) si spostano sempre più a destra.
In questo contesto, ha senso, per la sinistra critica, votare la «censura» della destra, che ha l’intenzione dichiarata di passare la ruspa sul diritto del lavoro? Molti della «fronda» del Ps si rifiutano di fare questo passo. «Posso essere molto scontento di questo progetto di legge – ha commentato il deputato François Lamy (vicino a Martine Aubry) – ma so ancora conservare la coerenza e non votare con la destra». Anche la deputata Ps Karine Berger, economista, è su questa linea: «Il 49.3 è un errore politico, ma non voterò la censura».
La ministra del Lavoro, Myriam El Khomri, si è scagliata contro l’eventualità di voti di sinistra con la destra: «È inconcepibile, dov’è la coerenza democratica da parte di deputati che ci fanno la lezione sulla democrazia? Votare con la destra è essere di destra». El Khomri difende la legge che porta il suo nome, «giusta e democratica», che «dà più mezzi ai sindacati», introduce «una maggiore democrazia sociale» e «nuovi diritti». Il ricorso al 49.3 è giustificato accusando la «fronda», una «minoranza» che avrebbe bloccato la discussione.
Per Laurent Berger, segretario della Cfdt, sindacato che non contesta la legge e che ha contribuito a modificarne il testo, il ricorso al 49.3 «non è un buon metodo» ma nel «contenuto» la Cfdt ha «contribuito a togliere le misure liberiste» della prima versione.
Fonte: il manifesto
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