La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 12 maggio 2016

Economia, il governo naviga a vista

di Roberto Romano
In ordine di tempo sono apparse tre notizie che meritano un minimo di attenzione: l’Ocse che rivede al ribasso la crescita dell’Italia; la probabile concessione delle così dette flessibilità di bilancio da parte della Commissione Europea all’Italia; la riduzione delle «clausole di salvaguardia» adottate per evitare l’aumento delle tasse o tagli di spesa pubblica. Quest’ultima non è esplicitamente detta dal ministro Padoan ma il senso è questo.
1) Le stime economiche di FMI, OCSE e Commissione Europea apparse in questi mesi sono in linea con il solito e continuo ribasso delle previsioni fatte solo qualche mese addietro. Da questo punto di vista si conferma l’inadeguatezza degli strumenti econometrici per indagare il futuro e, in particolare, l’inadeguatezza degli stessi se applicati a dei sistemi economici come l’Italia che hanno subito una decelerazione quali-quantitativa senza precedenti.
Non bisogna mai dimenticare che la recessione subita dall’Italia è più lunga e profonda di quella del ’29.
La distanza di crescita di PIL cumulata dall’Italia rispetto alla Germania tra il 1995 e il 2015 è superiore di 15 punti di PIL.
Non devono sorprenderci tassi di crescita rivisti sempre al ribasso.
Come un ascensore, la fermata dell’indice «leading indicator» dell’Ocse di ieri, che anticipa i cambiamenti dell’attività economica rispetto ai trend, segnala che le prospettive di crescita dell’Italia si sono ulteriormente assottigliate, unitamente a quelle di altri Paesi europei e dei non più evergreen G7. Nel dettaglio, a marzo l’indice relativo all’Italia passa a 100,7 da 100,8 di febbraio.
Di questo passo la crescita dell’Italia potrebbe di collocarsi poco sopra lo zero.
2) L’altra notizia è relativa alla risposta che la Commissione europea deve dare in merito alle clausole di flessibilità di bilancio utilizzate dal governo per la Legge di Stabilità 2016, e all’ulteriore richiesta per il 2017.
Resta lo scoglio del debito pubblico, che doveva ridursi già nel 2015, ma la perdurante incertezza relativa alla deflazione, ai tassi di crescita internazionale ed europea in particolare, per non parlare del rischio Brexit, suggeriscono moderazione.
Padoan ha inviato una lettera alla Commissione a sostegno delle politiche adottate, nella quale si spiegano i fattori rilevanti alla base dell’andamento del debito, in particolare le difficoltà relative alla dinamica dei prezzi e l’impatto negativo che avrebbe una politica di consolidamento di bilancio più marcata, così come l’associazione (inedita) tra le riforme strutturali adottate che migliorano il potenziale di crescita ma che nella fase iniziale di attuazione comportano dei costi.
3) Le politiche di bilancio dell’Italia navigano a vista. Il ministro Padoan non lo dice esplicitamente ma le clausole di salvaguardia usate a copertura dei scellerati provvedimenti del governo, inibiscono qualsiasi azione di politica economica.
Il sospetto, più che fondato, nasce dalle clausole di salvaguardia che impegnano il governo per importanti importi nei prossimi anni.
Si tratta di 15 miliardi per il 2017 (circa lo 0,9% del PIL), 19,6 miliardi per il 2018 e il 2019.
Il governo aveva scommesso tutto o quasi sugli 80 euro, la decontribuzione dei nuovi assunti, il Jobs Act e la riduzione delle tasse (ex ICI). Queste riforme sono state realizzate con l’impegno – clausole di salvaguardia – di ridurre le spese e/o un aumento delle tasse (IVA e accise).
Dopo aver raggiunto nel 2015 l’obiettivo prefissato di riduzione dell’indebitamento netto al 2,6% del PIL, nel 2016 il disavanzo dovrebbe scendere al 2,3%, ma il DEF posticipa al 2019 il pareggio di bilancio, un obbiettivo legittimo e auspicabile, ritagliandosi uno spazio finanziario pari a circa 1,1 punti percentuali di PIL (2017-2019), sufficiente per disinnescare, almeno in parte, le clausole di salvaguardia.
Infatti, l’indebitamento programmatico del 2017 (1,8% del PIL) è più alto di quello tendenziale (1,4%) di 0,4 punti di PIL e lo stesso accade per gli anni successivi.
Lo slittamento del pareggio di bilancio al 2019 permette di finanziare queste misure rallentando la riduzione dell’indebitamento e la crescita dell’avanzo primario ma quello che rimane è un pugno di mosche e forse nemmeno di questo possiamo parlare.

Fonte: il manifesto 

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