La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 ottobre 2015

Polonia, Kaczynski non farà prigionieri

di Daniele Stasi
“Jaroslaw Kaczynski ha sempre ragione”, con questa battuta Beata Szydlo, prossimo premier del governo polacco, aveva risposto nel corso di un’intervista di qualche tempo fa a una domanda di un giornalista circa le dichiarazioni del presidente del suo partito, “Diritto e Giustizia” (PIS). Il vero vincitore di questa campagna elettorale è in effetti proprio lui: Kaczynski, artefice di un’impresa politica che nel 2007, dopo il fallimento del governo di estrema destra che lo vedeva primo ministro e la sconfitta alle elezioni, pochi sarebbero stati in grado di pronosticare. 
Da allora, molte cose sono successe: la tragica morte del fratello nel 2010, di cui il prossimo governo ha in animo di indagare a fondo le cause; la nascita di partiti politici a destra del PIS ad opera di transfughi del partito contrari alla sua leadership; il suicidio del principale alleato nel governo di otto anni fa, Andrzej Lepper, coinvolto in numerosi scandali finanziari; l’affermarsi della stella politica di Donald Tusk, storico rivale, diventato l’anno scorso Presidente del Consiglio Europeo. 
In questi anni, nonostante le numerose sconfitte nelle elezioni politiche e amministrative e il graduale isolamento politico, Kaczysnki ha mantenuto il controllo del partito, rendendo ancor più stretto un rapporto già saldo con l’ala conservatrice della Chiesa cattolica, portando avanti un’opposizione senza sconti al governo PO-PSL, descritto come agente in nome e per conto dell’Europa contro la nazione polacca, chiedendo una commissione d’inchiesta sulla tragedia di Smolensk nella quale, oltre a suo fratello Lech, morirono diversi membri dell’allora classe dirigente polacca e che, nonostante l’avvenuto accertamento, per usare le parole dell’ex Presidente della repubblica Komorowski, di “un’arcidolorosa verità”, vale a dire che si trattò di un terribile incidente, continua a rappresentare nell’immaginario di alcuni settori dell’opinione pubblica la prova del tradimento di Tusk e della colpa dei russi nella catastrofe. 
In questi anni, mentre i leader di Piattaforma Civica finivano coinvolti in scandali e altri tagliavano nastri alle inaugurazioni delle numerose infrastrutture costruite grazie ai finanziamenti europei, Kaczysnki continuava a presentarsi agli appuntamenti pubblici con vestito e cravatta neri, in segno di lutto, e rafforzare, attraverso un linguaggio duro e sovente minaccioso, la connessione sentimentale, per molti versi paranoica, con la parte più arretrata della Polonia dalla quale nessun leader politico è mai riuscito a ottenerne il consenso come il capo di “Diritto e Giustizia”. 
Dallo scandalo delle registrazioni fino alla comparsa di una questione inedita in Polonia, quale quella degli immigrati e delle loro quote negoziate con l’UE, Kaczynski ha compreso che il momento era propizio. Per se stesso, a differenza delle campagne elettorali precedenti, ha pensato a un ruolo non di primo piano. Non si è candidato alla presidenza della Repubblica nella campagna elettorale dello scorso maggio e nemmeno alla carica di primo ministro nelle elezioni del 25 ottobre. Ha preferito mandare avanti due suoi fedelissimi, il giovane avvocato di Cracovia Andrzej Duda, scelta risultata vincente, e la già ricordata Beata Szydlo le cui uniche benemerenze, non avendo ricoperto finora incarichi di governo e nemmeno altri di particolare rilevanza all’interno del suo gruppo parlamentare, sono quelle di avere organizzato la campagna elettorale di Duda e, molto più importante, di essere stata pronta esecutrice degli ordini di Kaczynski il quale a questo punto, come titola il più diffuso tabloid sulla Vistola il giorno dopo le elezioni, si è “preso la Polonia”. 
Consapevole che una candidatura diretta avrebbe coinciso con un referendum sulla sua persona, Kaczynski ha ritagliato per sé il ruolo di padre nobile in disparte o regista dietro le quinte ed è riapparso sulla scena soltanto domenica, dopo la pubblicazione degli exit-poll, per commentare raggiante il dato elettorale e lasciar dire solo due battute a colei che dovrebbe diventare il capo del governo, il primo espressione della maggioranza parlamentare di un solo partito dopo la svolta dell’89. 
Il governo a base parlamentare monopartitica non costituisce l’unica novità uscita dalle urne. Fra le più clamorose vi è la scomparsa della sinistra dal prossimo Parlamento, non essendosi raggiunto il quorum di coalizione fissato all’8%. L’idea del vecchio leader postcomunista Miller di candidare una donna premier dopo il fiasco alle elezioni presidenziali del maggio scorso è sembrata, nonostante lo scarso appeal della candidata nei confronti degli elettori di sinistra, più che altro una mossa di marketing politico cui si aggiunge il clamoroso errore di correre divisi con l’altra forza di sinistra, “Razem” (Insieme) presentatasi per la prima volta alle elezioni politiche e in grado di raggiungere il 3%. L’altra novità, ma si tratta in realtà di una conferma, è l’affermazione del partito nazionalista e antisistema del cantante Kukiz quale terza forza dietro PIS e PO. Il quarto partito a entrare nel Sejm, insieme al Partito Popolare (PSL) o dei contadini, è “Nowoczesna” di Ryszard Petru, un neoliberista allievo di Balcerowicz, ministro dell’Economia e vero architetto della trasformazione degli anni Novanta, che ha saputo intercettare gli umori di quella quota di elettorato conservatore che la svolta liberal di Piattaforma Civica aveva lasciato in parte priva di rappresentanza. 
Grazie ai toni moderati delle sue maggiori protagoniste, Ewa Kopacz (PO) e Beata Szydlo (PIS), la campagna elettorale non è stata caratterizzata come in passato da scontri verbali senza esclusione di colpi. Tra i temi al centro del dibattito le proposte di tipo populistico di Szydlo relative all’abbassamento dell’età pensionabile e il finanziamento di assegni per le madri in stato di bisogno. Proposte che Kopacz ha definito irricevibili giacché i numeri del bilancio statale non lo consentono se non attraverso un innalzamento delle tasse che provocherebbe una crisi degli investimenti e implicherebbe la contravvenzione dei vincoli imposti dall’UE. La rappresentante di PIS ha attaccato il governo uscente per il mancato ritorno di molti connazionali, promesso otto anni prima da Piattaforma Civica, emigrati soprattutto verso la Gran Bretagna per motivi di lavoro; dalla sua, Kopacz ha illustrato le statistiche che indicano una Polonia in crescita, diventata partner affidabile degli investitori stranieri e in grado nel giro di qualche anno di aumentare i bassissimi salari e costruire le condizioni per far fronte all’emigrazione. 
Non sono mancati temi a cui la destra polacca è sensibile: quelli di carattere bioetico. “Diritto e Giustizia” vorrebbe introdurre una legge sull’interruzione di gravidanza ancor più restrittiva dell’attuale che esclude il ricorso all’aborto anche nei casi di malformazione del feto e per le donne vittime di stupro. Kopacz non ha mancato di sottolineare che simili provvedimenti porterebbero all’instaurazione di una repubblica confessionale sotto l’egida delle gerarchie ecclesiastiche in cui la libertà personale, soprattutto quella delle donne, è drasticamente ridotta a beneficio di un’espansione abnorme dei poteri dello Stato sulla società civile. Una società civile priva, per parafrasare Gramsci, di casematte o anticorpi di tipo liberale in grado di impedire un sovvertimento radicale dell’ordine politico. 
Una menzione a parte merita il già ricordato scandalo delle registrazioni, sfiorato ripetutamente ma non affrontato nello specifico nel corso della campagna elettorale. Le registrazioni, pubblicate mesi addietro a puntate da alcuni settimanali, hanno segnato il punto più basso nella storia dei rapporti tra Piattaforma Civica e quella parte di elettori che considerano la politica europeista di Tusk, Kopacz e compagni l’occasione storica per eliminare le cause dell’arretratezza nazionale e modernizzare il Paese. Nello scandalo sono rimasti coinvolti diversi personaggi legati al governo, tra cui l’atro nascente di Piattaforma Civica, l’ex ministro degli Esteri, compagno di studi di David Cameron a Oxford, Radoslaw Sikorski. Nel materiale registrato all’interno di uno dei locali più alla moda di Varsavia, abitualmente frequentato da diversi membri dell’éliteal potere, si possono ascoltare conversazioni nelle quali vengono fuori piccoli e grandi affari di corruzione, sconcezze condite da imprecazioni e volgarità proferite per lo più sotto l’effetto dell’alcol. 
Dopo lo scandalo e le conseguenti dimissioni di Sikorski dalla seconda carica dello Stato, la presidenza del Sejm, alcuni commentatori hanno ipotizzato che le registrazioni, dalle quali risultano più che altro pagine di autentica miseria umana, rappresentano anche per le modalità in cui sembra essersi realizzata, una manovra in vecchio stile dei russi. La manovra mirerebbe a gettare un’ombra sull’unico governo lealmente europeista di quella parte del Vecchio Continente nella quale i vari Orban, Fico e Zeman guidano maggioranze euroscettiche e governi amici di Mosca. Sebbene sia nota, e giustificata da alcuni avvenimenti storici, la tradizionale idiosincrasia dei polacchi nei confronti dei russi, la sostituzione di un governo europeista con uno euroscettico, secondo il principio “il nemico del mio nemico è mio amico”, costituirebbe qualcosa di più di una spiegazione degna di spy fictions, molto popolari e presenti nel dibattito pubblico a queste latitudini, e farebbe diventare i polacchi, loro malgrado, parte di una strategia orchestrata da Putin. 
Lo scandalo delle registrazioni ha compromesso in parte l’immagine dell’équipe di governo è si venuta ad aggiungere a altre cause nel novero dei motivi della sconfitta, per certi versi inimmaginabile in percentuali tanto consistenti (39,1 PIS; 24,6 PO). Tra queste: la progressiva divaricazione tra Est e Ovest del Paese, l’aumento dell’emigrazione, l’innalzamento dell’età pensionabile e il crescere inarrestabile della popolazione sotto la soglia di povertà. 
Nonostante i toni moderati, nella campagna elettorale a contrapporsi ancora una volta sono state due visioni della Polonia, quella conservatrice e clericale che vede nell’Europa una minaccia nei confronti dell’identità nazionale e quella che, al contrario, ritiene che l’Europa costituisca, soprattutto in ragione dei numerosi finanziamenti ricevuti e di quelli che arriveranno, circa 180 miliardi di euro, nei prossimi cinque anni, il ponte verso l’Occidente e la modernità. 
Da una parte un progetto di tipo “occidentale” e liberaldemocratico, dall’altra uno conservatore e nazionalista che vuole difendere la sovranità culturale del popolo polacco limitando le libertà personali e instaurando un governo autoritario attraverso quello che costituisce da sempre il vero pallino di Kaczynski: la riforma della Costituzione del 1997. La riforma proposta da PIS mira in buona sostanza a cancellare la separazione dei poteri, sottoporre la polizia e la magistratura all’esecutivo, creare uno strumento istituzionale ad hoc: una specie disupercabinet sotto il controllo del partito al governo e del suo unico, vero leader. L’impressione, nonostante i toni concilianti di Kaczysnki all’indomani della vittoria, è che non si vogliano fare prigionieri e si voglia riportare il Paese a un clima di guerra santa contro il nemico, sia esso la Comunità Europea, lo straniero o qualche agente “al soldo dell’invasore” che il governo di Szydlo verosimilmente non mancherà di incolpare quando le promesse da campagna elettorale cadranno o non saranno realizzate. 
Con l’incarico di primo ministro a Ewa Kopacz un anno fa e l’elezione di Duda nel maggio scorso era parso che la generazione protagonista di Solidarnosc durante gli anni della dittatura comunista avesse passato la mano a una più giovane, non attraversata dalle tensioni, sovente di carattere personale, della precedente. Il dopo-elezioni del 25 ottobre ha svelato in realtà che il partito è sotto il controllo di quello che appare essere, per dirla con Schmitt, il vero “custode della Costituzione”: Jaroslaw Kaczynski, il nuovo Maresciallo Pilsudski cui spetta il compito di intervenire direttamente quando la situazione lo dovesse richiedere. Da Paese modello ed europeista dell’area orientale del Vecchio Continente, con l’elezione dell’attuale maggioranza, la Polonia si appresta a far crescere il numero delle nazioni europee orientali culla del populismo autoritario contrapposto al populismo dall’alto, cifra dell’Unione Europea di matrice neoliberista, che ha prodotto in questi anni sconcertanti disparità e tensioni nei rapporti tra gli Stati e al loro interno. La Polonia da nazione tra Parigi e Kiev rischia di diventare suo malgrado un Paese tra Strasburgo e Mosca, tra l’Occidente e la “demokratura” di Vladimir Putin nella cui orbita, nonostante il sentimento antirusso dei polacchi, la nazione sulla Vistola rischia di entrare. 

Fonte: MicroMega online 

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