di Mauro Pompili
Raqqa, capitale del Califfato nel deserto siriano, si trova sotto una pioggia di bombe (guarda le foto).
La risposta di Parigi ai drammatici attacchi del 14 novembre non si è fatta attendere. E la città, già colpita nei giorni scorsi da decine di aerei russi, è finita ora nel mirino dell’aviazione francese.
Non solo. Dopo la conferma della matrice terrorista dietro la caduta dell’aereo Metrojet sul Sinai, Vladimir Putin ha dato ordine ai suoi generali di intensificare i raid su Raqqa, che per la prima volta è stata colpita da missili da crociera lanciati da navi russe alla fonda nel Mediterraneo.
Ha messo in campo 25 bombardieri a lungo raggio, ordinato il coordinamento navale con Parigi e chiesto ai Paesi europei, del Nord America e del Medio Oriente di formare una coalizione anti-terrorismo «come quella anti Hitler».
I contatti con la città siriana non sono semplici, gli uomini del Califfo cercano di limitare al massimo le comunicazioni dei civili con l’esterno.
Ma grazie a un rifugiato siriano, che da pochi mesi vive in Libano, riusciamo a parlare con Hana, una sua parente che vive ancora a Raqqa: «Non ci sono solo uomini dell'Isis e loro familiari qui», racconta al telefono. «Il cielo ieri era pieno di aerei, jet francesi, russi ed elicotteri di Assad ci hanno lanciato addosso bombe di ogni tipo. Sembra di vivere in un macello, in una piazza sono morti cinque concittadini tra cui un bambino. Non so da quale nazione occidentale arrivasse l’aereo che ha buttato quella bomba».
«PAGHIAMO NOI PER I CRIMINI DELL'ISIS». Stando ai dati forniti da fonti militari, vicino a quella piazza c’era un centro di arruolamento e addestramento dell’Isis, che è stato praticamente raso al suolo. Ma nel raid hanno perso la vita anche persone innocenti.
«Da quattro anni viviamo in guerra, da quasi due siamo prigionieri del Califfato e ora, da quando la Russia ha iniziato a bombardare la città insieme all’aviazione di Assad, abbiamo paura di essere noi a pagare il prezzo dei crimini dell'Isis», continua Hana. «Adesso sono arrivati anche i bombardieri francesi, chissà cosa altro ci aspetta».
Nel 2013 Raqqa è stata la prima città a cadere in mano ai ribelli che combattevano per rovesciare il governo di Bashar al-Assad. Da allora è stata controllata da diversi gruppi armati fino a diventare, nell’estate del 2014, la capitale dello Stato Islamico.
I miliziani dell'Isis, in maggioranza non siriani, e le loro famiglie oggi rappresentano una parte consistente della popolazione della città. Ma non sono i soli: «Tanti degli abitanti originari di Raqqa sono scappati in questi anni, ma tanti siamo rimasti, per scelta o meno. Mio padre, per esempio, non si può muovere ed io non ho mai voluto abbandonarlo».
«IL CALIFFATO HA PORTATO DISCIPLINA». I jihadisti a Raqqa non si limitano ad applicare rigidamente la Sharia, decapitando e fustigando pubblicamente chi viola la loro interpretazione della legge islamica. In città, a modo loro, garantiscono i servizi di base, come la scuola e la sanità, pagano gli stipendi dei dipendenti pubblici e si occupano di gestire la giustizia anche nelle dispute di diritto civile.
Tutto questo ha permesso loro di guadagnare, almeno in parte, il supporto della popolazione locale: «Può sembrare strano», dice Hana, «ma ci sono molti miei concittadini attratti da questa sensazione di ordine e disciplina che l'Isis ha portato qui».
«SOLO LE BOMBE CI FANNO PAURA». Secondo le poche voci che arrivano da Raqqa, gli uomini del Califfato si stanno preparando anche ad attacchi da terra, Stanno scavando trincee lungo le vie di accesso della città, disseminando molte aree di mine antiuomo e distribuendo munizioni a tutti i jihadisti.
Il “Fronte Rivoluzionario di Raqqa”, un gruppo ribelle siriano che fa parte di una nuova alleanza sostenuta dagli Stati Uniti nel Nord della Siria, ha annunciato a breve un'offensiva.
«Dirlo è atroce», conclude Hana, «ma siamo talmente abituati a questa situazione che solo quando ci sono i bombardamenti abbiamo paura. Per il resto del tempo la vita scorre normale, sotto le regole del Califfo».
Fonte: Lettera43
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