di Carmine Gazzanni
«Quando gli uccelli sentono il rumore della guerra, se ne vanno per evitare di essere feriti». Comincia con queste parole il racconto di Noor, nata 13 anni fa in Siria, ma ora in Libano. È dovuta scappare perché, racconta nel video, «sia la nostra casa sia la nostra scuola sono state distrutte» e «i bambini venivano uccisi mentre giocavano per le strade». Tanti suoi compagni sono morti, vittime innocenti di una guerra, quella in Siria, cha lascia dietro di sé enormi scie di sangue. Come quello della sorella di Noor, morta a 6 anni perché uccisa da un frammento di bomba. Noor è una «indifesa», come le tante di cui si è occupata Terre des hommes per informare, sensibilizzare e provare a immaginare un mondo più a misura di bambina. Perché sono loro le prime vittime delle guerre. Specie dopo l’avvento dell’Isis: stuprate, violentate, schiavizzate. Oppure vendute come prigioniere di guerra al migliore offerente.
Un mercato organizzato col prezzario
Sebbene poco se ne parli, è un mercato enorme quello messo in piedi dal califfato di Abu Bakr al-Baghdadi che rimpolpa, e non poco, le voci «note» di bilancio. Già, perché sedicente che sia, il Daesh ci tiene, e tanto, ad apparire come uno Stato a tutti gli effetti. Non è un caso che nello scorso gennaio sia stato pubblicato un vero e proprio bilancio, con tanto di entrate – tra petrolio e confische dei beni di rivali e prigionieri – e uscite, quasi totalmente assorbite dalle spese militari. Accanto alle voci pubbliche, però, ci sono altre entrate su cui l’Isis può contare. Entrate che si tengono nascoste. Come appunto il mercato di donne e bambine. Un mercato enorme: secondo un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) parliamo di oltre 25 mila donne e bambini rapiti, stuprati e poi venduti come schiavi. Con un vero e proprio prezzario.
A raccontarlo per la prima volta è stata Zainab Hawa Bangura, rappresentante Onu per le violenze sessuali nei conflitti. Solitamente i jihadisti dividono donne e ragazze in tre categorie. La prima è quella delle donne sposate con bambini e delle anziane; la seconda sono le donne e le ragazze sposate senza figli; la terza è quella delle ragazze più giovani. Tutte «vengono spogliate, pulite e fatte sfilare come se fossero bestiame», racconta il rappresentante Onu. Ma ecco che arriva il momento della compravendita. Con un vero e proprio listino prezzi: i bambini (femmine e maschi, dai nove anni in giù) valgono 200 mila dinari, l’equivalente di circa 150 dollari. Le bambine e le ragazze dai 10 ai 20 anni vengono vendute per 150 mila dinari (circa 120 dollari), mentre le donne tra i 20 e i 30 anni costano sui 100 mila dinari (80 dollari). E se qualcuno dovesse ribellarsi? Il racconto è agghiacciante: «Mi hanno raccontato di ragazze “ripulite” con un getto di petrolio, a cui veniva appiccato il fuoco se si rifiutavano di fare ciò che ordinavano i loro cosiddetti padroni».
Da Mosul a Fallujah, insomma, il mercato dell’orrore è piuttosto florido, con un’organizzazione tutt’altro che improvvisata. Secondo quanto riferito dall’Unami (United Nations Iraq) l’Isis avrebbe aperto un ufficio a Mosul, un vero e proprio mercato centrale dove «le donne e le ragazze vengono esposte con cartellini dei prezzi, in modo che gli acquirenti possano scegliere e negoziare la vendita». Altre situazioni simili sono state segnalate a Ramadi e a Fallujah, ma anche nelle città siriane di Raqqa e al-Hasakhan. Solo pochi mesi fa, d’altronde, era stato il ministero iracheno dei diritti umani a lanciare l’allarme parlando di vere e proprie «aste» condotte sulla pelle di donne e bambine. «Nel nome della jihad del sesso, le donne sono state messe in vendita a prezzi che oscillano tra 500 e 2.000 dollari». Non solo. Perché, spesso, le donne vengono anche regalate dopo alcune competizioni organizzate ad hoc, come fossero premi: «I criminali dell'Isis – si leggeva ancora nel comunicato del ministero iracheno - hanno inventato anche un concorso per la lettura del Corano. Ai primi tre classificati, in premio una donna».
Lo stupro come rito religioso
Tutto lecito per gli uomini del califfato. Crimini folli ammantati non si sa di quale principio religioso che possa, in un modo o nell’altro, giustificare tali efferatezze. Perché è così che funziona nel Daesh: tutto è ammesso a patto che lo voglia «Dio». Non a caso il «Dipartimento della Ricerca e della Fatwa» dell’Isis tempo fa ha stilatoun vero e proprio manuale, 34 pagine sulle regole per gestire al meglio le schiave. Per dirne una: sono ammessi rapporti sessuali con le «inferiori» (anche se bambine), ma non prima che abbiano avuto il primo ciclo mestruale. È la triste sorte delle «Sabaya». Questo il termine utilizzato per indicare le schiave. Con le quali il folle credo fondamentalista riconosce anche lo stupro, non solo come diritto ma anche come dovere, in quanto miscredenti. Le peggiori torture, però, spettano alle «yazide», ritenute vere e proprie figlie del Diavolo. E allora lì le barbarie sono ancora più «sante». Non è un caso che dai tanti racconti delle organizzazioni internazionali emerga come lo stupro stesso sia intervallato da continue preghiere, in una sorta di aberrante rito religioso.
Donne e bambine senza vita
In questo modo, con torture e sevizie ammantate di follia pseudo-religiosa, lo Stato Islamico è diventato «il principale attore nella gestione della tratta di esseri umani nella regione», come denunciato da Terre des Hommes. Questo perché l’Isis «ha introdotto e legittimato la pratica della schiavitù sessuale a un livello senza precedenti». Solo nel corso del 2014, d’altronde, i guerriglieri avrebbero rapito circa 3 mila donne e ragazze, in larga parte appartenenti a minoranze etniche e religiose (yazidi, turkmeni e cristiani). Le giovani vittime che sono riuscite a fuggire dai miliziani raccontano storie drammatiche e tra loro molto simili.
Arwa, 15 anni, era stata rapita nell’agosto 2014 da un villaggio sul monte Sinjar ed è stata tenuta prigioniera per mesi in varie località della Siria e del nord dell’Iraq prima di riuscire a scappare. «A Rambussi – racconta - mi hanno tenuta prigioniera con altre cinque ragazze. Loro (i miliziani dell’Isis, ndr) mi hanno fatto quello che hanno fatto ad altre ragazze. Sono stata stuprata». Nemmeno il suicidio è concesso alle ragazze schiave: «Ci hanno detto che se ci fossimo tolte la vita, avrebbero ucciso i nostri parenti». Anche Randa, 16 anni, è di origine yazida. Dopo la cattura è stata venduta a un uomo con il doppio dei suoi anni che ha abusato di lei. «Mi hanno portata a Mosul, eravamo circa 150 ragazze e cinque donne. Un uomo di nome Salwan mi ha preso per moglie con la forza. Gli ho detto che non volevo e lui mi ha picchiato. Il mio naso sanguinava, non potevo fare nulla», racconta la ragazza. Randa è riuscita a scappare, ma non i suoi fratelli né sua madre che ha partorito proprio mentre era detenuta dai guerriglieri. «Che ne sarà di loro – si chiede – Non so se riuscirò mai a vederli di nuovo».
Ma non basta. Per l’Isis, infatti, le ragazze non musulmane catturate vengono considerate anche «trofeo di guerra». Schiave che possono essere abusate, picchiate, comprate e vendute senza alcun rimorso. «È permesso comprare, vendere o portare in dono prigioniere di sesso femminile e schiave. Perché sono semplici proprietà», si legge in un rapporto di Human Rights Watch. A raccontare cosa accade quando i miliziani prendono i prigionieri, ci hanno pensato coloro che sono riusciti a scappare o sono stati liberati dai peshmerga curdi. Per prima cosa dividono le donne dagli uomini. Ai ragazzi adolescenti è chiesto di alzare la maglietta: se hanno peli sul petto finiscono nel gruppo degli uomini, se non li hanno in quello delle donne. Vengono allora fatti sdraiare, con la faccia a terra, prima di essere uccisi. Per le donne, invece, comincia una tragica odissea: caricate su dei camion o autobus di fortuna, vengono poi riunite anche a migliaia in grossi edifici e poi ritrasferite in altre città dell’Iraq e della Siria per essere vendute.
Dalla Libia alla Nigeria di Boko Haram
Ma l’Isis, come si sa, si estende anche in Libia. E anche qui il trattamento riservato a donne e bambine è lo stesso. Nella città di Derna - una delle roccaforti del Califfato - secondo quanto riferito da attivisti locali il numero dei matrimoni di ragazze minorenni avrebbe avuto un brusco aumento, «con ragazze di appena 12 anni costrette dalle famiglie a sposare gli jihadisti stranieri». Un fenomeno nuovo per la Libia dove, fino al 2012, solo il 2% delle donne tra i 20 e i 24 anni si era sposata prima dei 18 anni. Il motivo? Come riferito dalle associazioni umanitarie, in Libia molte famiglie acconsentono al matrimonio delle figlie ancora bambine con i miliziani dell’Is nella convinzione di proteggerle e assicurare loro una buona qualità di vita. Vana illusione, ovviamente. «Solo nelle cliniche che possiamo monitorare, vediamo dalle quattro alle cinque spose bambine a settimana - spiega un’attivista di Terre des Hommes - I medici si trovano spesso a dover curare bambine troppo giovani per avere rapporti sessuali e che arrivano in clinica sanguinanti per lacerazioni o aborti spontanei, quasi senza rendersene conto, ma con danni irreparabili al loro fisico e alla loro psiche».
Situazioni tragicamente analoghe anche in Nigeria, dove troviamo Boko Haram, con cui l’Isis ha creato una sorta di asse del terrore. Sebbene sia molto difficile avere dati esatti, Amnesty International ipotizza che siano più di 2 mila le donne e le ragazze rapite dai terroristi nigeriani. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne non sposate e adolescenti che vengono costrette a sposare i miliziani dell’organizzazione terroristica oppure ad imbracciare le armi. Come se non bastasse, Boko Haram utilizza sempre più spesso donne e bambini come kamikaze per portare a termine attentati suicidi in luoghi affollati come i mercati o nei pressi delle stazioni di polizia. Complessivamente, tra gennaio e maggio 2015, sono stati portati a termine 27 attacchi di questo tipo (erano stati 26 in tutto il 2014). Tre volte su quattro i kamikaze sono donne e bambini. In almeno nove casi si trattava di bambine di età compresa tra i 7 e i 17 anni. Vittime e assassine inconsapevoli. E innocenti.
Fonte: Linkiesta
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