di Natascia Grbic e Mattia Galeotti
Lo avevano annunciato già da tempo: a Parigi le manifestazioni sarebbero state vietate a causa dello stato d’emergenza imposto dal governo Hollande in seguito agli attacchi che hanno scosso la città lo scorso 13 novembre. Di quello che sarebbe accaduto durante la prima manifestazione contro Cop21, si era già avuto un assaggio la scorsa domenica, quando le forze dell’ordine hanno provato a impedire la partenza di un corteo in sostegno con i migranti e i rifugiati e contro lo stato d’emergenza. Sin da subito, infatti, è emersa la contraddizione di un provvedimento che vieta tutte le manifestazioni politiche previste in nome della sicurezza, ma permette che i classici mercatini di Natale sugli Champs-Élysées (che raggruppano nello stesso luogo migliaia di persone) e che i grandi centri commerciali rimanessero aperti.
Nonostante il clima di paura e le disposizioni emergenziali, quindi, molte associazioni e collettivi hanno mantenuto l’appuntamento delle 12 in place de la République per manifestare contro l’apertura dei lavori della Cop21. Circa 5mila persone si sono presentate all’appuntamento, arrivando in una piazza completamente blindata – il numero di camionette e agenti presenti sembrava addirittura superiore a quelli in giro per Parigi la sera degli attacchi – tanto che è stata subito chiara la volontà di non far partire il corteo. Quando la manifestazione ha provato a uscire dalla piazza, è stata immediatamente caricata dalla polizia in assetto antisommossa che ha iniziato a lanciare anche i primi lacrimogeni. Il corteo ha provato a ricomporsi e a ripartire, ma da qui le cariche e i gas si sono fatti sempre più pesanti, fino a che la piazza non è stata divisa in due. A quel punto qualche centinaio di persone, riuscite a defluire da place de la République, si sono raggruppate per partire in corteo selvaggio verso il nord di Parigi: bloccato poco dopo, la polizia ha disperso il corteo e picchiato brutalmente chiunque trovasse sulla sua strada. Il bilancio della giornata sono state centinaia di persone malmenate e arrestate, molte delle quali messe in garde à vue.
Il bilancio è – inutile negarlo – pesantissimo dal punto di vista della repressione. Ci consegna però l’immagine di una città che non ha nessuna intenzione di chinare la testa sull’uso arbitrario e pretestuoso che si sta facendo dello stato d’emergenza. Di fronte al divieto di manifestare e all’uso di un apparato repressivo imponente, la gente si è ribellata e ha fatto di tutto per contrastare una situazione che vuol far diventare regola la sospensione dei diritti fondamentali delle persone. L’uso massiccio che si sta facendo in Francia in questi giorni dell’état d’urgence, non ha portato solo al divieto di manifestare: migliaia di perquisizioni arbitrarie e infondate hanno luogo in ogni momento della giornata. Il risultato è spesso la distruzione di sedi di associazioni, di luoghi di culto, di ristoranti e circoli ricreativi – la scorsa settimana, durante un’irruzione in una casa è rimasta ferita una bambina di sei anni – in un crescendo di violenza poliziesca che diventa di giorno in giorno più pericoloso.
Quello che è chiaro, fortunatamente, è che nessuno ha intenzione di stare a guardare. Hollande e Valls si riempiono la bocca di belle parole per giustificare la torsione autoritaria che stanno mettendo in campo, parlano di non cedere alla paura dei terroristi. La realtà è che provano a utilizzare la politica del terrore e dell'intimidazione contro sempre più larghe fasce della popolazione dell'esagono. Se lo Stato francese ha intenzione di continuare a imporre il suo folle divieto può star certo di una cosa: troverà, come domenica, migliaia di persone a contrastarlo.
Fonte: dinamopress.it
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