La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 8 novembre 2015

Podemos candida Rodriguez, l’ex capo di stato maggiore

di Luca Tancredi Barone e Giuseppe Grosso
Con l’avvicinarsi della data delle ele­zioni, i par­titi poli­tici spa­gnoli hanno ini­ziato la tra­di­zio­nale cam­pa­gna acqui­sti. Que­sta set­ti­mana è stato il turno di Pablo Igle­sias. Nono­stante il par­tito teo­ri­ca­mente dovrebbe pren­dere le deci­sioni con il mec­ca­ni­smo delle pri­ma­rie, Igle­sias ha fatto un annun­cio col botto: l’ex capo di stato mag­giore per il governo socia­li­sta, José Julio Ródri­guez, a un passo dalla pen­sione (con l’arrivo della quale può svin­co­larsi dell’obbligo alla neu­tra­lità) cor­rerà con Pode­mos a Sara­gozza. Non solo.
Igle­sias non ha avuto dubbi nell’affermare che il mili­tare, noto per le sue posi­zioni anti­con­for­mi­ste, sarebbe diven­tato il suo mini­stro della Difesa. In Spa­gna dall’avvento della demo­cra­zia a capo del mini­stero della Difesa c’è sem­pre stato un civile. Apriti cielo. Il governo ha rea­gito con iste­ria, addi­rit­tura annun­ciando nella con­fe­renza stampa dopo il Cdm di venerdì che l’avrebbe «sospeso» dai suoi inca­ri­chi — di fatto ormai solo la pre­senza in un orga­ni­smo di rap­pre­sen­tanza — e che aveva «perso la fidu­cia» nei suoi con­fronti. Da parte sua, il mili­tare ese­gue gli ordini della scu­de­ria viola con dili­genza. Riguardo al suo essere «anti­si­stema», la rispo­sta più poli­ti­ca­mente cor­retta: «se per anti­si­stema si intende uno che non crede che per uscire da una crisi eco­no­mica si debba farlo aumen­tando la disu­gua­glianza, i tagli in edu­ca­zione e sanità, ebbene sì, mi con­si­dero un antisistema».
Nel frat­tempo, stando ai son­daggi dell’agenzia Metro­sco­pia, pub­bli­cati dome­nica scorsa sul País, quat­tro par­titi sgo­mi­tano in un faz­zo­letto di sei punti. In testa il Pp con il 23,5% delle inten­zioni di voto, seguito da Ciu­da­da­nos a un solo punto di distanza; poi i socia­li­sti, con il 21%, e, in coda, Pode­mos con il 17. A Izquierda unida, le bri­ciole: il 6% circa. Ovvia­mente sono numeri che vanno presi con le pinze, tanto più in un periodo di tran­si­zione poli­tica, in cui, per ammis­sione della stessa Metro­sco­pia «gli spa­gnoli ten­dono a posti­ci­pare il più pos­si­bile la deci­sione di voto».
Tutto può cam­biare, e pro­ba­bil­mente, da qui a 50 giorni, molto cam­bierà, anche se la foto di gruppo, ha una sua uti­lità nell’evidenziare delle ten­denze incon­te­sta­bili e determinanti.
In primo luogo, la caduta di Pode­mos, che in meno di nove mesi ha perso circa 10 punti (anche se risulta in ripresa nell’ultimo tri­me­stre). Que­stione (anche) di tem­pi­stica: una rin­corsa ini­ziata subito a tutta velo­cità ha fiac­cato le ener­gie del par­tito viola pro­prio nel momento in cui più ser­vi­reb­bero. L’effetto novità è andato sce­mando e tra l’elettorato poten­ziale si è creata una sorta di assue­fa­zione all’iconoclastia di Pode­mos che non giova ai fini elet­to­rali. Ma il par­tito viola paga soprat­tutto il gesto di super­bia che ha sbar­rato le porte a un’intesa con Izquierda unida. Ne sarebbe nata una coa­li­zione di sini­stra radi­cale con con­crete pos­si­bi­lità di vit­to­ria, che la base avrebbe cer­ta­mente applaudito.
Un’occasione sto­rica spre­cata, che sta già inci­dendo sulla para­bola par­tito. Ciu­da­da­nos, da parte sua, rin­gra­zia sen­ti­ta­mente: gli aran­cioni (da 10 anni attivi in ambito cata­lano e da uno sulla ribalta nazio­nale), sono l’altro volto del cam­bia­mento. Un cam­bia­mento molto più «disci­pli­nato» che piace alle ban­che e ai mer­cati, che ha — a parole — nel mirino la casta (anche e su molte posi­zioni coin­cide con il Pp), ma pro­porne un pro­gramma eco­no­mico con­ser­va­tore, libe­ri­sta, e nella linea degli inte­ressi del capitale.
L’esodo verso Ciu­da­da­nos è quasi biblico: 5% di poten­ziali elet­tori ad ago­sto, un 7 a set­tem­bre, e un 11 il mese scorso, secondo i dati del País. Per non par­lare delle migra­zioni a sini­stra, che ingros­sano le fila di Pode­mos. Discorso a parte per il Pp, che non può che bat­tersi il petto e reci­tare un poli­fo­nico mea culpa: le poli­ti­che di auste­rità, la chiu­sura e l’inettitudine sulla spi­nosa que­stione cata­lana, e soprat­tutto i rei­te­rati, colos­sali, scan­dali di cor­ru­zione, pre­sen­tano ine­vi­ta­bil­mente un conto salato.
Basti dire che il par­tito di governo ha dila­pi­dato in quat­tro anni la metà dei con­sensi, pas­sando dal 44% con cui vinse le gene­rali del 2011, a meno del 25%. Pur così, il sistema elet­to­rale spa­gnolo è dise­gnato per favo­rire i grandi par­titi, mag­gior­mente radi­cati sul ter­ri­to­rio. Se i risul­tati elet­to­rali doves­sero avvi­ci­narsi alle stime, sui 350 seggi del par­la­mento, il Pp ne otter­rebbe un cen­ti­naio (con­tro i 186 attuali), il Psoe circa novanta, Ciu­da­da­nos un’ottantina, e Pode­mos meno di 50.

Fonte: il manifesto 

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