La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 17 maggio 2016

Elezioni inglesi 2016. Ma ha davvero perso il Labour di Corbyn?

di Lorenzo Carchini
“Yes these were local government elections with local conditions but these are still going to be the electoral battlegrounds in the general elections”. In queste parole del leader laburista Jeremy Corbyn potrebbero trovarsi tutte le risposte che stiamo cercando sul voto britannico dello scorso fine settimana. I Labour sono riusciti a sfruttare una serie di segnali di cedimento da parte di Conservatori, espandendosi e conquistando diverse città dell’Inghilterra meridionale. Zone chiave come Southampton, Crawley e Hastings sono finiti tutti nelle mani dei laburisti, nonostante le crescenti preoccupazioni, almeno nel circuito mediatico, intorno alla leadership radicale di Corbyn ed al possibile allontanamento dei voti moderati, definendo un partito isolato al Nord Inghilterra ed in Galles.
Risultati locali, appunto, che come tali vanno giudicati, osservando le diverse serie storiche, le quali dimostrerebbero che il quadro dipinto media britannici (ed italiani a ruota) all’uscita dei risultati, non è così nefasto. Nondimeno, le intenzioni di voto potrebbero non essere state affatto influenzate dalla figura del leader radicale, bensì dallo sforzo che ogni membro del partito ha fatto sul territorio e da quali pratiche siano state portate avanti nel corso degli anni.
Guardiamo, ad esempio, il caso emblematico di Southampton, una delle più importanti città del Sud ed (ex) feudo conservatore.
Southampton City Council Election Result 2016
PartitoSeggiVintiPersiMedia V/PSeggi  %Voti %Comparison Election2015 %
Labout1222066.741.7+7.5
Conserv.512-127.831.3-2.8
Indip.11015.64.1+1.6
UKIP000007.9-4.5
Liberal000007.0-0.3
Green000006.1-2.4
TUSC000001.9+0.9

Questo non è esattamente quel “puntino rosso in un mare blu”, come è stato definito dal leader laburista locale. Anche in altre città meridionali i Labour hanno retto molto bene, senza considerare che in alcune realtà persiste una certa collaborazione fra i vari gruppi, permettendo talvolta governi di coalizione.


Proprio la performance nel Sud ha permesso al partito di non perdere quei 150 seggi che gli esperti avevano previsto nelle proiezioni.
La paura per un Corbyn pericoloso, inaffidabile ed utopistico sembra assai distante dal Regno Unito e molto Londra-centrica, priva di qualsivoglia prospettiva, preferibilmente spendibile da quotidiani come il Telegraph o da alcuni opinionisti della BBC.
Il segnale, che il mondo politico della capitale non ha colto, è che i “Labour die-hards” di Reading, Southampton, Norwich o Exeter altro non aspettavano che il partito tornasse ad adottare un indirizzo socialista. Non solo, lo spostamento a sinistra è stato attraente anche per parte della middle-class che altrimenti avrebbe arricchito i già buoni risultati dei Green.
La tornata elettorale, però, non riguardava soltanto il rinnovo delle amministrazioni locali; in ballo erano anche 4 poltrone da sindaco per le città di Bristol, Liverpool, Salford e Londra. Tutti conclusisi con una vittoria dei laburisti.
A Bristol, non solo hanno ottenuto il 36.5% dei voti nel consiglio (la maggioranza), ma hanno conquistato anche il municipio con l’elezione di Marvin Rees.
A Liverpool, è stato confermato Joe Anderson con il 53% dei consensi, mentre il consiglio cittadino ha visto ridurre il vantaggio rosso in favore dei Liberals.
A Salford, nel Greater Manchester, Paul Dennet ha ottenuto una vittorio convincente, a fronte di un complessivo dominio laburista a livello amministrativo.
A Londra, infine, è arrivata l’affermazione di Sadiq Khan, che ha sconfitto il conservatori Goldsmith di 13.6 punti percentuali ed è il primo sindaco di fede islamica della più grande metropoli europea.
Infine l’analisi regionale.
Le elezioni scozzesi hanno offerto molti piani di lettura.


Come possiamo vedere dagli ultimi sondaggi rilasciati da YouGov (con un errore percentuale appena dell’1%), da un lato dobbiamo registrare una certa crescita nel tempo da parte dei Conservatori; i Labour non sembrano stati in grado di recuperare sufficiente terreno dalla nomina di Corbyn, pur mostrando ipotetici segnali di crescita rispetto a qualche mese fa; infine lo Scottish National Party (SNP) ha saputo “surfare” l’ondata indipendentista soffocata dalla sconfitta al referendum 2014, ma non abbastanza da guadagnarsi la maggioranza assoluta nel parlamento scozzese.
In generale, l’impressione è che il partito laburista si sia trovato schiacciato fra due forze. Considerato che il calo nei consensi è stato collegato anche al momentaneo allontanamento del partito da una piattaforma di sinistra, Corbyn ed i candidati hanno dovuto anzitutto rimettere “la chiesa al centro del villaggio”.
Una mossa che non potrà essere valutata nel breve periodo, ma in una futura serie storica.
SNP, dal canto suo, non è riuscito a conquistare la maggioranza assoluta del parlamento; cosicché i Labour potranno ancora giocare un ruolo come possibile alleato.
Questo soprattutto a causa dell’ascesa dei Tories, che ha portato in dote ben 31 seggi, rendendolo il principale partito d’opposizione a nord del confine.
Per quanto riguarda il Galles, l’analisi del voto si accompagna ad una serie di considerazioni di tipo politico.
I Labour si sono affermati come primo partito della Welsh Assembly, ma con dati in calo e dunque non sufficienti a sostenere da soli una maggioranza (fatto peraltro mai avvenuto), perdendo seggi in favore dei nazionalisti di Plaid Cymrue dell’UKIP.


Come dimostrano i dati, il supporto laburista dall’aprile 2012 è calato del 15%, mentre nazionalisti e radicali di destra sono riusciti a guadagnare influenza e visibilità politica, talvolta anche attraverso l’appoggio dei Conservatori.
Alleanze complesse, che sfruttano in profondità il sistema elettorale gallese, ma non hanno significato effettivi spostamenti nelle forze, ma che stanno bloccando la rielezione del Primo Ministro Carwyn Jones, tenendo il parlamento locale in una situazione di stallo.
Alla luce di questi dati, certo frammentari guardando all’Inghilterra, una domanda sorge spontanea: e se i veri sconfitti fossero i Conservatori?
Non è una provocazione. Nonostante i risultati scozzesi e l’attenzione massiccia dedicata alla performance laburista, a perdere più seggi sono stati proprio loro, dati alla mano più del doppio rispetto al partito di Corbyn: il confronto è di 47 a 18. A livello nazionale, i Tories hanno portato a casa 828 seggi, mentre i Labour 1.289.
Certo è più facile perdere consensi quando si è al governo, ma la storia recente del partito laburista è strettamente legata agli ultimi, disastrosi, risultati elettorali.
Lo stesso risultato scozzese è figlio di un complessivo scioglimento del partito nel corso dell’elezione dell’anno scorso. Al 23%, il voto laburista è solo un punto percentuale in meno rispetto allo scorso anno, mentre del 9% se comparato con le ultime elezioni del Parlamento Scozzese, nel 2011.
Senza di essi, difficilmente Corbyn avrebbe ottenuto la leadership, tantomeno si sarebbe tornati a parlare di una piattaforma “di sinistra”, capace di mettere (forse definitivamente) in soffitta l’esperienza blairiana.
Come ha affermato il deputato Tom Watson: “The truth is Labour still has a mountain to climb if we are to return to Government in 2020”.
Un risultato dunque sorprendentemente sottovalutato da parte del principale broadcast inglese, la BBC. Tanto da portare all’intervento di Sir Michael Lyons, l’ex capo della BBC Trust, accusando i giornalisti di “quite extraordinary attacks” sul leader laburista e sottolineando i rischi della principale rete nazionale (e di fama mondiale) nel caso in cui la battaglia politica dovesse coinvolgere anche il personale preposto ad un’informazione imparziale per definizione: “That’s not the journalism I know or the journalists in this organisation I know” ha continuato “I think the journalism of the BBC is impartial. We test all sides. The journalists in the BBC do a really hard job in the midst of controversy bringing a light and calm judgements to what’s going on”.
La cartina sottostante, mostra la situazione elettorale del Regno Unito nelle ultime elezioni generali. Corbyn dovrà davvero scalare una montagna entro il 2020. Queste elezioni sono state un primo test sulla sua capacità del leader laburista, ma non poteva essere del tutto positivo. Troppo ristretti i tempi: a otto mesi dalla nomina non era possibile aspettarsi miracolosi stravolgimenti, tanto più in una gara elettorale frammentaria e locale. Inutile anche rincorrere paragoni propagandistici con Michael Foot e Neil Kinnock, precedenti sfortunati di leader laburisti d’opposizione costretti a registrare dati negativi.
Nel caso di Corbyn sarebbe analiticamente sbagliato parlare di fallimento: non ne abbiamo i dati oggettivi, né i segnali all’interno dei sondaggi.

Fonte: Sinistra in Europa

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.