di Alessandro Zabban
Nello scenario di un continente latinoamericano che rischia mese dopo mese di scivolare sempre più a destra e riallinearsi al Washington Consensus, la battaglia politica in Venezuela ha un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico della regione. Dopo la vittoria elettorale delle destre in Argentina, preambolo a una serie di misure liberiste atte a smantellare il sistema assistenziale statale e dopo che il senato brasiliano ha approvato un controverso impeachment alla presidente Dilma Rousseff, anche il Venezuela sta facendo i conti con i tentativi sempre più spregiudicati delle opposizioni liberal-conservatrici e delle elite economiche di destabilizzare il governo bolivariano e socialista di Nicolás Maduro.
Le destre venezuelane, unite sotto il cartello della Mesa da Unidad Popular (MUD), rafforzatesi dopo una vittoria netta alle elezioni parlamentari dello scorso dicembre, stanno ora muovendo l'assalto finale al Presidente, fortemente indebolito nel consenso popolare dalla situazione di drammatica recessione economica che il paese sta vivendo già da molti mesi, fra carenze alimentari, crollo del PIL e crisi energetica che ha costretto l'esecutivo a limitare a lunedì e martedì le giornate di lavoro dei dipendenti statali.
È in questo contesto burrascoso, legato al crollo del prezzo del petrolio, asset chiave dell'economia venezuelana, reso ancor più grave dai boicottaggi e dalla "Guerra Economica" portata avanti dalle elite imprenditoriali locali, desiderose di sbarazzarsi di un esecutivo socialista che non fa del business la sua ragion d'essere, che lo scontro fra l'esecutivo guidato da Maduro e il parlamento, ormai stabilmente in mano alle destre, si è acuito enormemente.
Coltivata già da diversi mesi, l'idea delle destre di presentare un referendum per revocare la carica di Presidente della Repubblica a Maduro, ha cominciato a tradursi in realtà dopo una buona raccolta firme (circa 1 milione e ottocentocinquantamila in pochi giorni), un numero più che sufficiente per iniziare un percorso burocratico che potrebbe portare a un referendum revocatorio a fine anno o a inizio dell'anno prossimo (leggi qui).
Ed è proprio sulle date e sulla tempistica che la battaglia si sta inasprendo. Le opposizioni liberiste sono perfettamente consapevoli che i tempi a loro disposizione sono estremamente stretti. La costituzione venezuelana infatti prevede che dopo una prima raccolta firme pari all'1% dell'elettorato, già raccolte dalle opposizioni, si arrivi a una seconda fase in cui devono essere raccolte molte altre firme, pari al 20% dei cittadini iscritti alle liste elettorali (dunque ne servono quasi 4 milioni). Solo dopo questo secondo passaggio, il referendum può essere attivato previa autorizzazione del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) incaricato di effettuare tutti i controlli necessari di costituzionalità e di validità delle firme raccolte.
Il problema delle forze radunate attorno al MUD, non è tanto quello di reperire le firme (in questa fase le opposizioni godono di un ampio consenso oltre che a potenti mezzi economici e mediatici) quando quello di rientrare nei tempi. Se infatti le forze antagoniste a Maduro riusciranno a far celebrare il referendum entro il 10 gennaio 2017, si potrà andare a nuove elezioni presidenziali, con una alta possibilità di trionfo delle destre, altrimenti, se i tempi istituzionali dovessero dilatarsi oltre quella data, che corrisponde alla fine del quarto anno di presidenza Maduro, allora, secondo la Costituzione, in caso di revoca del suo mandato, prenderebbe il suo posto il Vicepresidente, il fedelissimo chavista Aristobulo Isturiz, fino al termine del mandato (2019)1. Eventualità quest'ultima che le opposizioni vogliono evitare a tutti i costi.
I tempi sono dunque stretti e anche se il processo istituzionale dovesse procedere speditamente è difficile pensare che il referendum possa essere convocato entro l'inizio del 2017. Il rischio per Maduro è comunque alto e c'è da aspettarsi che l'apparato statale, per lo più fedele al Presidente, faccia di tutto per rallentare l'iter pur rimanendo all'interno delle regole costituzionali. Lo stesso Maduro in uno dei suoi ultimi discorsi alla nazione, ha affermato che le firme presentate saranno tutte adeguatamente controllate una per una nella loro validità e ha aggiunto che il referendum "non vuole revocare Maduro, bensì vuole revocare la storia, vuole revocare Hugo Chavez". D'altra parte le opposizioni, scese la scorsa settimana in piazza, già lamentano ritardi nella conta e nel controllo delle firme da parte del Consiglio Elettorale.
Al di là delle tempistiche del referendum però, appare evidente che allungare il brodo non possa bastare. Il movimento bolivariano in Venezuela è al collasso. La crisi economica ha tolto ulteriore consenso popolare a un Maduro in evidente difficoltà. Il forte deficit di legittimità e fiducia che tutto l'apparato dirigente socialista ha subito, è cronico. In questo contesto, temporeggiare significa semplicemente prolungare l'agonia, ritardare una fine certa. Se non ci saranno risposte politiche concrete e un ritorno a una situazione economica accettabile, le opposizioni liberiste avranno gioco facile nel convincere gli elettori a tornare a votare chi li aveva oppressi fino a pochi anni prima.
1 L'articolo 233 della Costituzione venezuelana afferma che se il capo dello Stato è stato revocato nel corso dei primi quattro anni della legislatura, vengono indette nuove elezioni. Altrimenti, se il referendum viene convocato successivamente, nel corso degli ultimi due anni della legislatura, assume la carica di Presidente fino al termine del mandato il Vice Presidente (leggi qui)
Fonte: Il Becco
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