di Roberto Romano
La discussione sulle ragioni della mancata crescita dell’Italia, dopo la presentazione del rapporto dell’Istat sulle «prospettive per l’economia italiana», è caduta sulla dinamica degli investimenti. L’effetto cumulato nel tempo è quello di una mancata crescita rispetto alla media dei paesi europei di 0,5 punti percentuali. L’Istat, sostanzialmente, attribuisce alla dinamica degli investimenti intervenuta tra il 2009 e il 2015 la mancata crescita e la riduzione della produttività dell’Italia. Più in particolare, l’Istat osserva che il rapporto investimenti-Pil si è ridotto di 3,5 punti percentuali nel periodo considerato, diversamente dalla media europea che è calato di 1,3 punti percentuali. Sebbene la contrazione degli investimenti sia direttamente proporzionale alla perdita di base produttiva, aspetto non trascurabile, l’informazione non spiega se l’investimento delle imprese sia o meno una opportunità di crescita.
Infatti, l’investimento è allo stesso tempo domanda e offerta, e tanto più l’offerta soddisfa la domanda, tanto più è possibile assegnare agli investimenti il particolare ruolo di stimolo alla crescita del Pil.
Infatti, l’investimento è allo stesso tempo domanda e offerta, e tanto più l’offerta soddisfa la domanda, tanto più è possibile assegnare agli investimenti il particolare ruolo di stimolo alla crescita del Pil.
Ma cosa si nasconde dentro la scatola nera degli investimenti? Se guardiamo i dati statistici e li combiniamo con la produzione di beni strumentali, per vedere se la domanda è soddisfatta dall’offerta nazionale, l’analisi dell’Istat si ribalta nel suo esatto contrario. Più precisamente: tanto più il Paese e le imprese in particolare investono, tanto più la domanda delle imprese è soddisfatta dalle importazioni. Non proprio un viatico per la crescita. Con un paradosso: se la domanda di investimento si riduce, allora l’offerta soddisfa o incrocia la domanda nazionale. Per queste ragioni gli investimenti delle imprese nazionali non si traducono in nuova occupazione, aumentando la divergenza nei tassi di crescita del Pil dell’Italia dall’Europa. L’informazione non è banale e chiama in causa la politica industriale nazionale, che si accontenta di dare dei meri incentivi agli investimenti.
Per valutare la positività o meno degli investimenti di creare reddito, ho considerato il tasso di variazione degli investimenti in macchinari ed equipaggiamenti, assieme alla produzione di beni strumentali. La differenza tra la produzione industriale in beni strumentali e la domanda di beni capitali permette di vedere se gli investimenti sono o meno un’opportunità. Ho fatto questo esercizio per Francia, Germania, Italia ed Europa a 19. Il risultato è molto preoccupante. Restando all’Italia, tra il 2000 e il 2008 la domanda di investimenti per machinary è sempre più alta dell’offerta. In altri termini, una parte non banale della domanda era soddisfatta da importazioni!
Una tendenza che si manifesta anche nel periodo più buio della crisi, tra il 2009-2012. Dopo il 2012 la situazione cambia radicalmente. La domanda di investimenti crolla verticalmente e la produzione industriale di capital goodsnon solo soddisfa la domanda nazionale, ma matura una differenza positiva. In altri termini, quando la domanda di investimenti delle imprese si riduce il paese riesce a maturare un saldo positivo. Almeno è quello che accade tra il 2012 e 2014. Nel 2015 cresce nuovamente la domanda di investimenti in macchinari. Cosa accade all’offerta? Quello che è sempre successo: non riesce a soddisfare la domanda.
Non discuto del ruolo degli investimenti, ma come e chi li realizza diventa cruciale per la crescita italiana.
Fonte: il manifesto
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