di Anna Lombroso
Nomen omen? Tal Francesco Starace amministratore delegato di Enel ha tenuto una lectio magistralis di cultura di impresa all’università Luiss di Roma, fucina di stirpi di raccomandati, ateneo per dinastie di talenti del male in grisaglia, istituzione autorevole per la preparazione di giovani fannulloni ma ambiziosi, dotati quindi dei numeri per entrare a far parte della futura classe dirigente. Per imprimere una svolta benefica al governo di un’azienda, ha detto, “bisogna distruggere fisicamente i centri di potere che si vuole cambiare”, “creare malessere al loro interno”. E anche: “Colpire le persone che si oppongono, nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura”. perché spetta a “un manipolo dicambiatori distruggere fisicamente i gangli” che si oppongono al cambiamento, così che “in pochi mesi capiranno, perché alla gente non piace soffrire”.
Con quel cognome – lo stesso del “creativo” del regime, quell’Achille Starace cui si attribuisce l’invenzione dello stile e del look fascista, benché fosse un naturale gregario, più ginnasta che ideologo: dall’abolizione del lei, al sabato fascista, dalla premilitare alle evoluzioni ginniche, dai salti nei cerchi di fuoco, alle adunate oceaniche con dono della fede al duce, dall’orbace, ai capi-fabbricati spioni, e con quei messaggi, uno come l’Ad di Enel dovremmo prima di tutto denunciarlo per apologia di reato.
Ma non sarà così. Intanto perché è un reato molto frequentato in piazze e in casa (dove pare non possa essere considerato tale), autorizzato nelle aule parlamentari e nelle liste elettorali, pochissimo perseguito nei tribunali dove è successo che nazi noti e accertati abbiano avuto ragione di chi li aveva “infamati” osservando la non sorprendente coincidenza dei loro proclami, slogan e usi di mondo con quelli dei gerarchi, picchiatori e aedi del fascismo. Ma anche perché se di Starace, quello dei tempi di quando c’era Lui, si riconobbe il ruolo di “utile cretino” al servizio del regime, potremmo essere autorizzati ad attribuire un talento analogo ai dirigenti industriali del nostro sistema economico, tutti impegnati nel sostegno allo sviluppo secondo Matteo, che poi altro che non è che quello della cupola mondiale, fatto di sgretolamento degli stati, cancellazione del lavoro in favore di precaria servitù, espropriazione di conquiste e garanzie, condanna alla rinuncia a diritti e sicurezze, imposta dal ricatto come sistema di governo.
Sicché è probabile che anche lo Storace di oggi entri a buon diritto nel Gotha delle personalità di riferimento del bullo, qualche gradino sotto Marchionne, al livello del norcino di stato, omaggiato quanto Davide Serra, vezzeggiato come Carrai.
Meriti e vocazione ce l’ha, lo Starace grande cablatore, uomo giusto per contribuire al rovesciamento di quel processo che aveva dato speranza al riformismo italiano, perfetto per guidare con mano ferma la privatizzazione totale di quell’azienda che era stata nazionalizzata, diventando l’atto simbolico di una razionalizzazione dell’offerta di servizi ai cittadini, certo, ma anche della possibilità di incidere strutturalmente sul sistema, per favorire una gestione più democratica dell’economia, per recidere i legami opachi tra la Dc e l’imprenditoria più retriva e corrotta.
Ma c’è poco da stupirsi per la didattica dello Starace. In fondo le dispense della Luiss non saranno poi troppo differenti da quelle a cura della Fornero, di Monti, dei loro figli e delfini, promossi per naturale trasmissione dinastica oltre che baronale a ricoprire cattedre e incarichi influenti. E nemmeno sono poi diverse dalle circolari dei manager di Banca Etruria, Banca Marche, Monte dei Paschi, con le quali i dirigenti coach, come i vertici delle vendite piramidali stimolano i funzionari a imporre cravatte, patacche, nodi scorsoi, conditi da ricatti e intimidazioni, ai risparmiatori.
D’altra parte i metodi sono quelli dei clan mafiosi. O delle sette, se la religione degli stati è la teocrazia del mercato, dell’avidità, dello sfruttamento e se i sacerdoti sono criminali in doppiopetto sì, ma che nasconde l’orbace e la pistola.
Fonte: Il Simplicissimus
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