di Giorgio Cremaschi
I veri disonesti – cioè coloro che mettono il proprio interesse personale davanti a tutto – non possono comprendere i veri onesti, cioè coloro che sono disposti a sacrificare quell’interesse di fronte a principi e valori. Per i disonesti gli onesti devono avere per forza un secondo fine, inconfessabile e nascosto dal rigore dei comportamenti. Per i disonesti è impossibile che questo secondo fine non ci sia, perché essi misurano gli altri secondo sé stessi. Ma anche gli onesti non riescono a capire i loro opposti. Perché essi non riescono a credere che si possa agire per puro interesse personale, hanno in mente sé stessi e perciò attribuiscono ai disonesti fini buoni reconditi, che magari si lamentano di non riuscire a capire.
Questa dialettica dell’animo umano, tra persone e nelle persone, diventa patologica quando vien assorbita dal potere. Se il potere economico e politico mette l’interesse personale davanti a tutto, la disonestà diventa sistema. E l’ipocrisia di cui i disonesti accusano gli onesti diviene la facciata ufficiale delle relazioni umane, facciata dietro alla quale i disonesti per primi si rifugiano. Se il sistema economico e politico mette il successo personale davanti a tutto e premia i vincenti e irride i perdenti – perdente, looser, è l’insulto dilagante oggi negli USA – non possono che essere i disonesti a comandare. E gli onesti, anche quando si ribellano, possono solo affidarsi al miglior disonesto, a colui che meglio li inganna giocando sulla loro naturale disposizione a credere che ci sia sempre un fine buono anche nelle peggiori porcherie.
Per questo la pura onestà non può essere programma politico. Quando è legalmente onesto l’amministratore delegato che guadagna milioni e milioni di euro licenziando e schiavizzando i dipendenti della grande impresa che dirige; e tanto più è feroce, tanto più il mercato lo premia. Quando invece è legalmente disonesto chi lotta per i propri elementari diritti, casa, lavoro, salute, istruzione anche ricorrendo a metodi non ammessi dalla legge. Quando il politico cinico, che persegue una pura strategia di potere, guadagna successo contro chi mette i fini davanti alla carriera e magari irride il perdente, presentandolo come anticaglia di un passato scomparso.
Quando tutto questo diviene la normalità di un sistema, non si può separare la questione dell’onestà da quella del potere. Se non si ha l’obiettivo di rovesciare un potere economicamente e politicamente disonesto, l’onestà non ha dimensione politica. Per me un mondo dove cento persone detengono la stessa ricchezza dei tre miliardi di persone più povere, è un mondo totalmente disonesto. E non credo neppure che siano davvero onesti personalmente i possessori di tanti beni, no per me chi è sfacciatamente ricco non lo è mai innocentemente.
L’onestà è un elemento fondamentale dell’animo umano, aspirare ad essa ci rende migliori. Ma non può diventare regola delle relazioni sociali e politiche se domina il capitalismo, un sistema che premia la disonestà tanto più è grande, efficiente e meglio capace di celarsi dietro l’ipocrisia.
Queste riflessioni terra terra, che qualcuno giudicherà moraliste e qualcun altro un poco ciniche, mi sono ispirate da fatti e fatterelli di questi giorni.
Fonte: Contropiano
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