di Vladimir Safatle
L’11 maggio i senatori brasiliani hanno votato in numero schiacciante a favore dell’avvio della procedura di incriminazione della presidente Dilma Rousseff del Partito dei Lavoratori (PT), rimuovendola temporaneamente dalla carica sino a sei mesi. L’ex vicepresidente, Michel Temer, del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB) ha assunto ora la presidenza. Questo colpo di stato parlamentare antidemocratico, basato su accuse inconsistenti di irresponsabilità di bilancio, è stato incoraggiato da una diffusa campagna dei media dell’industria e di settori chiave della classe dominante, scontenti delle modeste riforme e del tiepido neoliberismo di sinistra del PT.
Nei suoi primi giorni in carica, Temer e i suoi ventitré ministri, tutti maschi e tutti bianchi, con una significativa rappresentanza dei settori cristiani evangelicali e dell’industria agroalimentare, hanno annunciato piani per altre privatizzazioni di beni statali, tagli a programmi sociali e ai diritti dei lavoratori e per l’introduzione di un rigoroso regime di legge e ordine.
Alla luce della gravità della situazione nazionale e della scarsità delle alternative che si presentano:
Noi accusiamo il governo interinale attualmente in corso di avvio di essere già nato morto. Mai nella storia della Repubblica Brasiliana un governo è iniziato con tale illegittimità e contrasto sociale. Se nel caso diFernando Collor la procedura di incriminazione fu un momento di riunificazione nazionale contro un presidente che era rifiutato da tutti, nel caso dell’incriminazione di Dilma si è trattato di un momento in cui c’è stato bisogno di costruire un muro per dividere in due l’Esplanade dei Ministeri (nella capitale brasiliana).
Questo muro non cadrà; diverrà sempre più radicato. Quelli che hanno sostenuto Dilma e quelli che, pur non sostenendola, hanno compreso appieno l’opportunismo di una classe politica che cerca di strumentalizzare ai fini della propria sopravvivenza la rivolta popolare contro la corruzione non torneranno a casa. Questo sarà il governo della crisi permanente.
Accusiamo i rappresentanti di questo governo di essere personaggi di un altro tempo, zombie di un passato che insiste a non voler mai morire. Non sono la soluzione alla crisi politica bensì la crisi politica stessa al potere. Le loro pratiche politiche oligarchiche e di palazzo hanno potuto finire soltanto in un colpo di stato parlamentare denunciato in tutto il mondo.
E’ per questo che temono qualsiasi possibilità di elezioni generali. Governeranno con la violenza poliziesca da un lato e con il fallito programma di politiche d’austerità dall’altro; politiche che non sono mai state ratificate da un voto. Con queste figure al potere, non c’è più alcun motivo per chiamare democrazia ciò che abbiamo in questo paese.
Accusiamo il governo Rousseff di aver condotto il Brasile nella più grande crisi politica della sua storia. La serie di scandali di corruzione non è stata un’invenzione dei media, bensì una normale pratica di governo.
Non serve a nulla affermare che questa pratica è sempre stata normale, poiché l’esistenza stessa della sinistra brasiliana era legata alla possibilità di espellere gli interessi privati dalla sfera del bene comune, rendendo più etiche le istituzioni pubbliche.
Possano i settori della sinistra brasiliana filogovernativa attuare una rigorosa autocritica. Nel frattempo la ricerca di creare un’impossibile riconciliazione ha condotto il governo a perdere completamente il suo carattere, ad abbracciare ciò che aveva sempre denunciato, a prendere le distanze dai propri elettori. Il carattere incostante di questo governo è stato il braccio che ha scavato la sua stessa fossa. Possa questa mancanza di direzione servire da lezione alla sinistra nel suo complesso.
Accusiamo quelli che non hanno mai voluto affrontare la necessità di sistemare i conti con il passato dittatoriale del Brasile e di allontanare dalla vita pubblica quelli che avevano appoggiato la dittatura, di essere direttamente responsabili di aver determinato questa crisi. La crisi attuale è la prova più grande del fallimento della Nuova Repubblica.
Il fatto che un candidato fascista (e qui il termine è del tutto appropriato) come Jair Bolsonaro abbia oggi il 20 per cento delle intenzioni di voto tra gli elettori che guadagnano più di dieci volte il salario minimo dimostra quanto sia stata illusoria la nostra “riconciliazione nazionale” dopo la dittatura.
Quell’episodio è servito soltanto a proteggere i settori della popolazione che oggi stanno abbracciando un fascista da fumetti e stanno scendendo in piazza con slogan degli anni della Guerra Fredda. In conseguenza ogni giorno che passa vediamo come questa parte della popolazione si senta autorizzata a commettere nuove violazioni di ogni genere. Questo è solo l’inizio.
Accusiamo i settori egemoni della stampa di tornare indietro a una fase di parzialità che non si vedeva da molto tempo in questo paese. Di fronte a una situazione di divisione nazionale è inappropriato che la stampa inciti le dimostrazioni di uno schieramento e celi le dimostrazioni dell’altro, che si trasformi in un tribunale mediatico prevenuto che giudica e distrugge moralmente alcuni accusati e ne protegge altri, perdendo completamente interesse ai vari scandali quando non hanno coinvolto direttamente il governo.
Questa posizione servirà soltanto a far esplodere ancor di più gli antagonismi e a ridurre la stampa alla condizione di partito politico.
In questo momento in cui alcuni sono inclini a provare tristezza, di fronte al malgoverno del paese, va ricordato che noi possiamo sempre parlare usando la prima persona plurale, e questa sarà la nostra più grande forza.
Fa parte della logica del potere produrre tristezza, farci credere alla nostra debolezza e isolamento. Ma ci sono molti che sono stati, sono e saranno come noi. A quelli che hanno pianto per i momenti di miseria politica che questo paese ha attraversato recentemente possa essere ricordato che il Brasile ha sempre sorpreso e sorprenderà. Questo non è il paese di Temer, Bolsonaro, Cunha, Renan, Malafaia, Alckmin.
Questo è il paese di Zumbi, Prestes, Pagu, Lamarca, Francisco Juliao, Darcy Ribeiro, Celso Furtado e, soprattutto, è il nostro. C’è un nuovo corpo politico che emergerà quando gli oligarchi e i loro lacchè meno se lo aspetteranno.
Pubblicato in origine su Folha de Sao Paulo. Tradotto [in inglese] da Dylan Stillwood.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Jacobin Magazine
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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