di Gianna Urizio
Oggi, proprio mentre sto scrivendo, stanno arrivando in Italia in aereo 101 profughi siriani, grazie al progetto dei “corridoi umanitari”. Un progetto frutto di un accordo tra, da un lato, la Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle chiese Evangeliche in Italia, e dall’altro lo Stato italiano (attraverso i Ministeri degli Esteri e dell’Interno). L’accordo raggiunto a metà dicembre prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni, non solo dal Libano, ma anche dal Marocco e dall’Etiopia. L’intero progetto è sostenuto in buona parte dall’8x1000 valdese ma anche da una solidarietà di persone e comunità locali, evangeliche e cattoliche. I gruppi di profughi arrivati da febbraio, in sicurezza e legalmente, contavano rispettivamente 5, 43 e 93 persone, alle quali oggi se ne aggiungono altre 101, per un totale quindi di 242. Sono persone in fuga dalla guerra, e quindi in “condizioni di vulnerabilità” (vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità) che non rischiano la propria vita nel Mediterraneo.
A queste persone verrà riconosciuto un percorso privilegiato per il riconoscimento della loro condizione di profughi e l’impegno al mantenimento “per un periodo ragionevole di tempo” (dice l’accordo con lo Stato italiano) con, di fatto, l’obbligo di permanenza in Italia per lo meno di un anno.
A queste persone verrà riconosciuto un percorso privilegiato per il riconoscimento della loro condizione di profughi e l’impegno al mantenimento “per un periodo ragionevole di tempo” (dice l’accordo con lo Stato italiano) con, di fatto, l’obbligo di permanenza in Italia per lo meno di un anno.
Per il momento tutte le persone arrivate o in arrivo provengono da un “campo indipendente” che si erano creati affittando un terreno in Libano dove avevano cercato di sopravvivere in tende e baracche messe su nella precarietà, non riconosciuti dal governo libanese né da altre organizzazioni internazionali dell’ONU. La scelta dei profughi è sostanzialmente casuale e basata su contatti in Libano.
L’idea base è quella di dimostrare che si possono contrastare le troppe morti in mare (in questi anni i numero parlano di 20mila morti) e lavorare per un’immigrazione ordinata e pianificata. Ma i numeri stridono. Ovviamente non si può essere che felici per questi 250 migranti e anche per gli altri 1750 attesi fino allo scadere dei due anni.
Ma gli altri? Che dire di fronte al flusso di migrazione che è “scoppiato” nel 2015? Si tratta solo di flussi “indipendenti”o c’è qualcuno che gioca su queste immigrazioni fino a provocarle (ricordiamo i profughi kosovari in Albania?). Senza nulla togliere al diritto alla sicurezza (alla vita) di popolazioni inermi. Infatti è logico che una popolazione inerme fugga da un guerra che non gli appartiene e che avviene fisicamente e idealmente sopra le loro teste. Ma non bisogna fermarsi qui. Per esempio si potrebbe notare che l’esodo è iniziato con l’intensificarsi del bombardamento aereo. Chi lo sta facendo? Prima il dittatore Assad non bombardava? Ovvero il flusso di profughi siriani (e iracheni) in Libano, Giordania e Turchia è arrivato a saturare le possibilità di accoglienza? È forse entrata in crisi la politica dell’UNRWA che vanta dei passivi strepitosi?
O è vero, come sostiene Thierry Meyssan, che «la crisi dei profughi che ha colpito l’Unione europea durante il secondo semestre 2015 è stata orchestrata artificialmente. Tuttavia, parecchi gruppi hanno tentato di strumentalizzarla, sia per distruggere le culture nazionali, sia per reclutare lavoratori a basso prezzo o ancora per giustificare il finanziamento della guerra contro la Siria» [1]
Quando ci fu la pubblicazione “coordinata” della fotografia di un piccolo bambino curdo, Aylan Kurdi, annegato su una spiaggia turca, il 3 settembre 2015, l’opinione pubblica europea si mobilitò attraverso diverse manifestazioni in favore dei profughi. Ma questo è stato solo il primo movimento. E il progetto dei corridoi umanitari trova la sua profonda spinta umana in questo evento divenuto simbolo. In questa fase ci furono le dichiarazioni del presidente francese François Hollande e della cancelliera tedesca Angela Merkel che si pronunciarono a favore di un «meccanismo europeo di accoglienza permanente e obbligatoria», mentre una folla immensa, spuntata da non si sa dove, cominciava a piedi la sua progressione attraverso i Balcani. Solo il Primo ministro ungherese, Viktor Orbán, si oppose contro questa improvvisa migrazione di massa.
Ma oggi ci troviamo a confrontarci con un movimento contrario dell’“opinione pubblica”: la paura dell’invasione, ovvero dei numeri di questa invasione. E le elezioni della Baviera e dell’Austria di questi giorni ne sono il frutto. E le politiche europee improvvisamente sono cambiate.
I corridoi umanitari, sono un contrasto o per lo meno una testimonianza di possibilità diverse da queste politiche, da questi muri, reticolati e fili spinati? Da un lato sì. Rivendichiamo di conservare la nostra umanità di fronte al disastro. Dall’altro i numeri a confronto annullano questa affermazione.
Per ragionare serve anzitutto non farsi muovere (e commuovere) solo dai movimenti dei media che fanno fluttuare l’opinione pubblica, ma partire dai complessi fattori economici e dalle conseguenti politiche messe in atto. Senza scordare le riflessioni di Kelly Greenhill, formulate nel passato conflitto dei Balcani, sulla «gestione strategica delle migrazioni come arma di guerra» [2]. Chi ha praticato i Balcani durante il loro conflitto (a me è capitato) lo capisce rapidamente. L’Europa serve che vada a destra? Cos’è meglio per spingerla che l’invasione “dei barbari”?
Per questo i corridoi umanitari sicuramente ci aiutano a dire “non ci sto”, “un’altra politica è possibile”, e inoltre possono darci la sensazione di agire, di partecipare al bene di queste popolazioni, o per lo meno di alleviare le loro immani sofferenze e perdita di tutto, anche delle vite dei propri parenti, ma in realtà le politiche vengono fatte sopra le nostre teste e forse solo i nostri corpi potranno fermarle.
[1] Come l’Unione europea manipola i profughi siriani, di Thierry Meyssan
[2] "Strategic Engineered Migration as a Weapon of War”, Kelly M. Greenhill, Civil War Journal, Volume 10, Issue 1, July 2008.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 24 di Marzo-Aprile 2016 "Il Grande Esodo"
Fonte: Attac Italia
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