di Mario Pierro
Non sono un «bancomat del governo» i 60 mila pensionati che Cgil, Cisl e Uil hanno portato ieri a piazza del Popolo a Roma. Sul palco della manifestazione «A testa alta», questo lo slogan e uno striscione che chiedeva «verità per Giulio Regeni» i confederali hanno chiesto al governo la rivalutazione delle pensioni, la parificazione fiscale con i dipendenti e l’estensione del bonus Irpef degli 80 euro. Sul tavolo della trattativa con l’esecutivo c’è anche la flessibilità in uscita e le pesanti penalizzazioni a cui saranno soggette le lavoratrici e i lavoratori che intendono ritirarsi anticipatamente dall’attività e la «staffetta generazionale», uno strumento con il quale si auspica di rendere possibile il turn-over dei «giovani» sul mercato del lavoro e rafforzare le flebili speranze di una pensione dignitosa a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, l’anno in cui è entrato in vigore il sistema previdenziale contributivo.
Senza risposte univoche da parte del governo, che incontreranno il prossimo 24 maggio, Cgil e Uil stanno valutando uno sciopero generale. La Cisl, invece, è più prudente: «Prima di scioperare bisogna parlare dei contenuti» ha detto il segretario generale Anna Maria Furlan. «Leggo ogni giorno cose differenti, ma al momento non mi sembra che ci sia da parte del governo la volontà di cambiare strutturalmente le norme e soprattutto non capisco perché, quando si parla di pensioni, debbano esserci di mezzo le assicurazioni – afferma il segretario generale Cgil Susanna Camusso – Speriamo che il governo apra il confronto e modifichi la legge Fornero che è profondamente ingiusta. Senza risposte è ragionevole pensare ad uno sciopero generale».
Sulla stessa lunghezza d’onda Carmelo Barbagallo della Uil: «Serve un recupero del potere d’acquisto delle pensioni, un taglio delle tasse sugli assegni previdenziali e un adeguamento dei trattamenti come prescritto dalla Corte Costituzionale». Nonostante la sentenza che ha bocciato il blocco disposto dal governo Monti, fino ad oggi i pensionati non hanno percepito gli arretrati e gli assegni rivalutati. Il governo Renzi non ha ripristinato il diritto, come disposto dalla Corte,e ha restituito solo una parte di quanto indebitamente sottratto a milioni di pensionati, la stragrande maggioranza dei quali vive con meno di mille euro al mese e costituisce l’ammortizzatore sociale di ultima istanza per almeno due generazioni di precari o disoccupati.
La proposta del governo per sciogliere uno dei complicati pasticci creati dalla legge Fornero è l’Ape-pensione. L’acronimo, annunciato dal presidente del Consiglio Renzi in uno dei suoi monologhi che vanno sotto l’hashtag #matteorisponde, significa «Anticipo pensionistico». Consiste nel determinare un altro segmento di pensionati a cui concedere un prestito attraverso il sistema bancario. In pratica, si chiede ai lavoratori di indebitarsi con le banche. Queste ultime anticiperebbero i soldi per i primi anni, evitando allo Stato un esborso pari a 5-7 miliardi. Le somme verrebbero rimborsate una volta percepita la pensione. Per rimediare alla legge Fornero, che ha allungato l’età di lavoro, si ricorre dunque alla finanza.
Con la prossima legge di stabilità la flessibilità in uscita arriverà «nella forma del prestito pensionistico o come anticipo della pensione con penalizzazioni» ha sostenuto il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. Al momento è stato escluso che le risorse necessarie deriveranno dal ricalcolo degli assegni pensionistici più elevati.
Per la Uil l’Ape-pensione annunciata da Renzi comporterebbe una perdita netta per ciascun lavoratore coinvolto di 898 euro netti al mese. L’onere crescerebbe aumentando il numero degli anni di anticipo della pensione scelta dal lavoratore. «Abbiamo diverse previsioni, dipende da come struttureremo l’intervento – sostiene il ministro del Lavoro Giuliano Poletti – L’Ape è prevista fino a tre anni il suo meccanismo sarà ripetuto per più anni per lasciare spazio alla classe di età successiva».
Fonte: il manifesto
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