La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 18 maggio 2016

La piazza precaria e il Palazzo del Lussemburgo. Ce n’est qu’un début...

di Joe Vannelli
Come era prevedibile il governo socialista francese si è piegato alle direttive della cabina europea di comando politico finanziario europeo, mettendo in atto un piccolo colpo di stato per imporre la riforma del lavoro contro la piazza. Lo strumento utilizzato (per la prima volta al fine di cancellare i diritti acquisiti dei lavoratori e per giunta ad opera di un esecutivo socialista) è stato quello dell’art. 49-3. Torna in mente il saggio satirico che il giovane Marx pubblicò nel 1845, La sacra famiglia. Questa volta la trinità che pretende di imporre una nuova etica della flessibilità e della produttività (ovviamente per il nostro bene, come già avevano spiegato a noi in occasione del Jobs Act) si chiamano San Francoise Hollande, San Manuel Valls e Santa Myriam El Khomri (in Marocco fu martirizzato nel 1220 San Berardo, pare fosse un avo del nostro Franco Berardi detto Bifo).
Marx aveva colto (in quegli anni apparentemente calmi che precedevano l’inatteso 1848: è successo un quarantotto si dice ancora oggi!) i punti fragili dell’ideologia idealistica, l’incapacità di ricondurre il rivolgimento economico dentro le (vecchie e nuove) costruzioni filosofiche ottocentesche. Torniamo ai giorni nostri. L’operazione di attacco al reddito delle classi subalterne era riuscita perfettamente in Italia; si trattava di riprodurla, rimuovendo le conquiste dei lavoratori francesi. Questo l’ordine della troika. In sostanza (quasi non vale la pena di analizzare in dettaglio la lois del ministro El Khomri) si trattava di facilitare i licenziamenti e di abbassarne il costo, così da poter istituzionalizzare e legalizzare il rapporto precario a chiamata. La legge delle 35 ore, formalmente in vigore, diviene con la riforma El Khomri quasi inutile, posto che la flessibilità consentita dalle deroghe si sostituisce al rapporto contrattuale ordinario; il lavoratore mette a disposizione l’intero suo tempo (vita e lavoro) e il capitalista paga solo quello che dichiara di utilizzare, pagandolo comunque molto meno e attuando al tempo stesso una struttura di comando senza incrinature.
La risposta giovanile di piazza non era prevista, ha sorpreso tutti, anche le opposizioni parlamentari (di destra e di sinistra), colte impreparate. Le nuits di Parigi costituiscono il segnale della crisi di rappresentanza che caratterizza la fase di ristrutturazione europea; si è registrata l’anomalia di una dialettica diretta fra sciame e potere senza la mediazione del parlamento e del sindacato. Ma lo sciame ha subito chiarito di non avere nulla da rivendicare, quanto meno nei termini della politica classica; e l’esecutivo Valls/Hollande non aveva alcun margine di trattativa, perché vincolato alle ineludibili precettazioni della troika. Come in Grecia la conclusione della vicenda era già scritta altrove; ma, come in Grecia e come in Spagna, la ribellione ha lasciato una traccia che non può non comportare conseguenze.
La forma autoritaria di governo dei territori europei deve essere esaminata e compresa, ove davvero la si voglia combattere. Le caratteristiche di questa aggressione organizzata dal capitalismo finanziario sono diverse e particolari. Manca il riconoscimento dell’individuo come soggetto politico, si disprezzano apertamente le regole e si impone a qualsiasi costo la sottomissione alla sovranità dello stato: dunque non è America. Al tempo stesso l’apparato socialdemocratico, cristiano e liberale ha fondato il consenso sull’assistenza sanitaria, sulla scuola pubblica, sulle pensioni e non può certo contare sullo sviluppoulteriore che aiuta i governi dei paesi emergenti: dunque non siamo neppure BRICS. Ma la scelta autoritaria della vecchia Europa, a ben vedere, nulla ha da spartire con il fascismo e con il nazismo storico (anche se affiorano, in qualche paese e perfino nel nostro, inquietanti e grottesche forme di un nazionalismo d’antan la via della troika è un’altra). Il fascismo fu lo strumento di guerra fra borghesia e socialismo reale fra le due guerre; non vi era contraddizione fra regime di Mussolini e welfare. La contraddizione stava in una questione di metodo politico (di democrazia e libertà), prima ancora che di aspirazioni sociali. Oggi l’autoritarismo della troika è in aperto contrasto anche con la destra sociale erede del fascismo storico; non a caso i movimenti xenofobi radicali hanno come obiettivo l’uscita dall’Unione o quanto meno dall’eurozona. Il razzismo emergente in alcune aree del vecchio continente non è fondato sulla genetica ma sulla guerra allo straniero; è una difesa testarda e piena di rancore dell’orto di casa dalle mire e dalle aspirazioni dei nuovi arrivati (che ricambiano volentieri il rancore). E’ uno scontro laico che si consuma in nome del denaro, pur invocando (a caso) patria o religione.
Il potere finanziario vuole sottomissione e impone questo moderno autoritarismo senza promettere riscatto e/o imperi, non ha neppure affermato un qualunque valore ideale come bandiera della battaglia. Niente Dio, niente Nazione, niente Popolo. Mazzini si sarebbe indignato! Il potere finanziario vuole denaro. Si propone come necessario. Afferma di essere la sola possibilità di conservare una quota sia pure ridotta del vecchio benessere, il male minore. Chiede sacrifici e propone alla maggioranza di sacrificare, di volta in volta, qualche minoranza. Chiede alla maggioranza il consenso di derubare una minoranza ben individuata. E’ una sorta di neofeudalesimo informatico finanziarizzato; al vertice dell’impero si colloca l’entità misteriosa che ha in mano le chiavi di accesso al denaro.
Le nuits parigine, qualunque sia la loro genesi, hanno scompaginato lo schema programmato, ovvero l’approvazione controversa e l’opposizione rassegnata. La vastità del dissenso ha costretto la CGT a reagire, poi ha diviso le truppe parlamentari, mettendo a rischio l’intera operazione: tutti avevano qualche cosa da chiedere in cambio e grande la confusione visibile sotto il cielo. A questo punto l’autorità centrale ha deciso di rompere gli indugi e l’esecutivo nazionale ha utilizzato l’articolo 49-3. Il primo ministro (Valls) può su deliberazione del consiglio dei ministri impegnare la responsabilità del governo dinnanzi all’assemblea nazionale (la nostra Camera) sulla votazione di un testo. In tal caso il testo è considerato adottato, salvo che una mozione di sfiducia, presentata nel termine di 24 ore, sia votata nei modi previsti dal comma precedente.
Il promesso ampio dibattito è stato azzerato, il re è apparso ancora una volta nudo. Non c’era nulla da discutere perché la legge Khomri (come da noi quella Fornero o il Jobs Act) portava un testo scritto altrove. E, come in Italia, la socialdemocrazia si è scandalosamente arresa; non sono state neppure raccolte le firme necessarie a presentare la mozione di sfiducia, non hanno avuto il fegato di farlo, se la sono data a gambe. La destra si è assunta il compito di fornire legittimazione a questo golpe bianco, presentando una mozione propria di minoranza, respinta. Sulla mozione della destra la sinistra socialcomunista si è comportata come quella italiana, evitando lo scontro e di fatto salvando il governo. In Italia la socialdemocrazia, credendo stupidamente di salvarsi, si è scavata definitivamente la fossa e Renzi, incassata la cambiale, li ha scaricati senza contropartite. In Francia accadrà lo stesso. E le norme sono state dunque approvate, con una variante in salsa gallica delle larghe intese. Ora la precarietà si appresta a divenire la forma ordinaria del rapporto lavorativo, si va trasformando in istituzione.
Tuttavia non è ancora finita. La mossa d’azzardo di Hollande si colloca dentro uno scenario diverso da quello spagnolo, da quello greco, da quello portoghese e da quello italiano. Non solo per via delle nuits che hanno preceduto la forzatura scelta dall’esecutivo socialista ormai in minoranza nel paese, ma soprattutto perché successiva cronologicamente e politicamente alla normalizzazione imposta con prepotenza al sud Europa. L’esito è certamente prevedibile ma non è affatto scontato.
Il 12 maggio 2016, a Le Havre, il corteo sindacale della CGT (più o meno la nostra CGIL) ha raccolto più di duemila persone. La sede del partito socialista, al passaggio, è stata saccheggiata dai manifestanti; e questa sembra quasi una piccola Piazza Statuto. Ma a differenza di allora il sindacato non ha qualificato teppisti gli autori del fatto. Anzi. Il segretario territoriale della CGT, Reynald Kubecki (formatosi durante la lotta alla Sidel, grande fabbrica di contenitori alimentari) ha definito legittima la collera popolare e indegnol’uso del 49-3 (pur, ovviamente, precisando che sarebbe meglio evitare ogni forma di violenza). Da quando la sacra famiglia (Hollande, Valls e Khomri) ha congelato i diritti costituzionali per proteggere la popolazione dal terrorismo (preparando così la riforma del lavoro) sembra passato un tempo lunghissimo, e invece si tratta di poche settimane.
Nulla è scontato, dicevamo sopra. La legge passa ora, necessariamente, al Senato, che, in Francia, ha una composizione molto particolare, per via dell’elezione indiretta dei suoi 348 membri. Nessun rappresentante lepenista ne fa parte, la componente non metropolitana ha un peso notevole, tradizionalmente il senato è più a destra della Camera. I radical-comunisti dispongono di venti voti, sufficienti, se negati, a togliere la maggioranza alla componente socialista. Eliane Assassi (capo gruppo) ha già strillato forte che la legge El Khomri è pura brutalità; difficile possa ora tornare indietro, per quanto alla Camera il suo gruppo si fosse prudentemente assentato. Ma anche il centro, per bocca del suo portavoce Vincent Capo-Canellas, ha preso le distanze da Hollande (non dimentichiamo che le elezioni si avvicinano) e dispone di 42 voti; l’accusa all’esecutivo è quella di aver fatto male i conti e di aver determinato una situazione di sostanziale ingovernabilità.
Le nuits hanno aperto numerose contraddizioni; sotto i colpi della BCE e della troika si va allargando la crisi della rappresentanza. L’unica alternativa al cedimento appare quella, ancora una volta, di un accordo fra destra e sinistra al Senato; ma questo mette in seria difficoltà i gollisti che debbono fare i conti con Marine Le Pen e con il popolo delle circoscrizioni vandeane vittime delle banche e della recessione; non dimentichiamo che alle ultime elezioni regionali la sconfitta dei partiti storici venne evitata per un soffio e che la legge El Khomri, in questo quadro tempestoso, potrebbe fare la differenza.
Viene da chiedersi quale sia la posizione dei dieci senatori del Groupe Ecologiste; conosciamo quella dei 17 deputati che sono usciti al momento del voto e che insieme ai comunisti sarebbero stati decisivi per affossare il governo e la legge El Khomri. Politicanti avviati verso il viale del tramonto, scavalcati a sinistra perfino dalla CGT. Pensano davvero di poter costruire su queste basi il rapporto con i giovani precari in lotta?
Quale potrà essere, adesso, il rapporto di forza fra la piazza precaria e e il Palazzo del Lussemburgo, la principesca residenza dei senatori costruita dalla nostra Maria de’ Medici? O, meglio, fra la composizione sociale della giovane opposizione e la cabina finanziaria di comando? San Precario e la Sacra Famiglia di Myriam El Khomri si preparano allo scontro inevitabile e servirebbe, davvero, un miracolo. Appare ormai evidente che qualsiasi lotta assume subito le caratteristiche di una lotta per il comune e per l’emancipazione; e che per questo si scontra, sempre e inevitabilmente, con le istituzioni autoritarie, contro il fantasma che nessuno ha eletto, che nessuno conosce e che al momento non sembra trovare ostacoli. Ce n’est qu’un début, continuons le combat. 

Fonte: Effimera 

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