di Adriana Garroni
Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.La nuova storia si proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a parlare di new history3 e a dare nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica.
Cominciarono a occuparsi di intellectual history e respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha osservato che:
Cominciarono a occuparsi di intellectual history e respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha osservato che:
Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino, in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio baricentro.4
In Francia i padri fondatori della nouvelle histoire furono, come è noto, Marc Bloch (1886-1944) e Lucien Febvre (1878-1956), che fondarono nel 1929 la celebre rivista Annales d’histoire économique et sociale. Come dichiararono nell’editoriale del primo numero del 15 gennaio, scopo della pubblicazione era difendere innanzitutto l’unità sostanziale del sapere storico, promuovere la collaborazione tra gli studiosi di diverse discipline e la formazione di una cultura militante che incoraggiasse l’impegno civile degli intellettuali.
Si noti, infatti, che, in seguito all’esperienza tragica della Grande guerra, gli intellettuali, a cui i due giovani storici si rivolgevano, guardavano, in genere, con sempre maggiore disincanto alla società contemporanea e alle sue drammatiche contraddizioni apparentemente insanabili. Nel 1927 ebbe grande risonanza in Francia l'opera di Julien Benda,5 Il tradimento dei chierici, in cui si accusavano gli intellettuali di aver abdicato al loro ruolo di guida della società, non interessandosi agli accadimenti contemporanei, e, in alcuni casi, addirittura di aver appoggiato gli odi razziali e l'intolleranza politica, che erano esplosi nella prima guerra mondiale. Secondo quanto sostenuto dallo storico francese P. Ariès,6 la storia delle mentalità nata con Febvre e Bloch, era in realtà solo un aspetto, una faccia di una storia più estesa che veniva chiamata storia sociale, o anche storia economica e sociale, e che si presentava già come storia totale: soltanto che la totalità era allora costruita nella e dall’economia. Era questa storia a contrapporsi in blocco alla storia politica, evenemenziale.7
Il progetto delle Annales mirava a inserire gli studi particolari in una precisa prospettiva di storia globale.8 Come scrive lo studioso italiano Francesco Pitocco, Bloch considerava la storia globale alla stregua di un limite matematico, una grandezza a cui tendere pur sapendola irraggiungibile. E allo stesso modo è doveroso riconoscerle il merito di aver messo a disposizione dell’indagine storica un clima di apertura e di libertà mentale di estrema efficacia. Così come è doveroso riconoscerle la capacità di dar “senso” ai singoli campi di ricerca, ai singoli oggetti storici altrimenti isolati e dispersi.9
Tali posizioni teoriche erano alla base di importanti tentativi di sintesi storica, come I re taumaturghi (1924), la Società feudale (1938-39) di Marc Bloch e Un destino. Martin Lutero (1928), Studi su Riforma e Rinascimento (I ed. italiana 1966) di Febvre. L’unità della storia era data dall’uomo e dal suo rapporto scambievole con il mondo, come ha sottolineato Pitocco: «Gli uomini, costruiti dai mille legami sociali che li tengono insieme, risultato di mille realtà sociali che li alimentano. Gli uomini che nel loro essere sociali fondano la loro unità, perché nella società tutto si tiene».10 Secondo questa prospettiva, la storia economica, così come la storia della mentalità, sono particolari punti di vista, particolari prospettive della storia globale: I re taumaturghi, capolavoro di storia della mentalità, e i Caratteri originali della storia rurale francese, capolavoro di storia economica, sono entrambi parti integranti della storia globale blochiana. La storia della mentalità, la storia religiosa, la storia economica, la storia politica non sono scomparti distinti della storia, non solo perché sono tutte espressioni dalla creativa operosità degli uomini, ma anche perché comunicano l’una con l’altra in uno scambievole, e a volte contraddittorio, rapporto. E, in questo senso, la storia era per i due studiosi francesi, in ultima istanza, psicologia. Le condizioni sociali appaiono essenzialmente mentali, perché sono il risultato del personale rapporto creativo che gli uomini, nelle loro particolari condizioni di vita, instaurano con il mondo fisico, economico e politico, da cui sono allo stesso tempo trasformati e condizionati. Secondo Bloch, nella loro storia i gruppi umani vivono in condizioni materiali più o meno simili, con le quali però interagiscono in modi diversi. È dovere dello storico è rintracciare proprio quell’intricarsi di condizioni, materiali e spirituali, che hanno reso possibile quel particolare rapporto degli uomini con quella società e quell’ambiente. A questo proposito, è innegabile il rapporto proficuo, che è intercorso negli anni, tra molti storici delle Annales e il marxismo. Michel Focault notava: Mentre è evidente che le Annales, nonostante abbiano modificato di continuo il loro metodo, i propri problemi e così via, pur tuttavia si radicavano in una forma di storia profondamente legata al marxismo … una storia dell’economia e della società.11
Seppur con accenti diversi, sia Bloch che Febvre hanno sempre sottolineato nei loro tentativi di analisi storica il rapporto dialettico intercorrente tra fenomeni storici diversi, tra le condizioni materiali e la cultura degli uomini. Come ha scritto Lucien Febvre, L’ambiente sociale prima di tutto compenetra l’autore di un’azione storica, lo inquadra e in larga misura ne determina la creazione. E, quando questa è compiuta, o muore, oppure, perché sussista, bisogna che subisca la collaborazione attiva, la pericolosa collaborazione delle masse, il peso dell’ambiente, irresistibile e determinante.12
Il peso preponderante della dimensione sociale sui singoli fenomeni storici è ben illustrato in numerosissimi scritti di Bloch, oltre che dalle sue opere di sintesi, dedicati alle invenzioni tecniche del Medioevo o ai fenomeni economici, come la coniazione di monete d’oro. Nel saggio dedicato all’invenzione e alla diffusione del mulino ad acqua nel Medioevo,13 per esempio, Marc Bloch ha messo in risalto quelle esigenze sociali che ne spiegano l’uso e la diffusione: anche se l’invenzione del mulino ad acqua risalirebbe al I sec. a. C., esso fu largamente utilizzato nell’Europa latina soltanto nei secoli medievali, ossia in società in cui, al contrario di quella romana che ne vide solo un parziale utilizzo, mancava quella immensa manodopera a bassissimo costo che erano stati gli schiavi.
Nel dopoguerra le Annales diventeranno un punto di riferimento per l’ambiente universitario e culturale sia francese che internazionale. Nel 1956, in seguito alla morte di Febvre, Ferdinand Braudel, autore de Il Mediterraneo e il mondo mediterraneo all’epoca di Filippo II (1949), divenne il direttore della rivista. In questi anni verranno introdotti nuovi temi della ricerca storiografica, come la vita quotidiana, e nuovi metodi, come quelli quantitativi, che saranno utilizzati nelle ricerche per esempio di demografia storica. Sul finire degli anni ’60 Braudel fece entrare nella redazione del periodico alcuni storici più giovani e promettenti, come Jacques Le Goff e Emmanuel Le RoyLadurie. In questi anni la fisionomia intellettuale e redazionale della rivista cambiò notevolmente, inaugurando un vero e proprio processo di demolizione del paradigma originario elaborato dai padri fondatori della nuova storia francese. L’interesse per i temi socioeconomici diminuì fortemente, a vantaggio degli studi su tematiche particolari della dimensione quotidiana, quali la morte, la sessualità, la criminalità, l’infanzia, ecc. Con la sempre più maggiore influenza dell’antropologia strutturalista di Lévi-Strauss, gli storici delle Annales si dedicarono con nuovo entusiasmo ai temi della storia intellettuale e delle mentalità, della psicologia collettiva e dell’antropologia simbolica, sottolineando quindi le componenti inconsapevoli e irrazionali del senso comune.
In questo modo si fece sempre più chiara la distanza tra le prime Annales e gli storici della cosiddetta terza generazione. Insieme a M. Vovelle, Le Goff individuava, infatti, nella seconda metà del Novecento l’inizio della vera e propria storia delle mentalità e indicava in Bloch, Febvre e Braudel, fino a Michelet e Voltaire, soltanto la sua «lunga e solida tradizione».14 Addirittura, secondo Vovelle, gli anni precedenti alla sua generazione «erano anni pressoché deserti, per i quali si potrebbe parlare al più di preistoria della storia della mentalità: una identità storiografica non organizzata, priva di un preciso progetto storiografico, segnata da alcuni libri grandi ma isolati, come la Grande paura di Georges Lefebvre, o l’Autunno del Medioevo di Johan Huizinga».15
Un giudizio simile ha espresso lo studioso Traian Stoianovich16 , secondo cui soltanto nel corso degli anni 1946-72 venne definendosi appieno il paradigma storiografico della nouvelle histoire francese. E, secondo François Dosse17 , la fase di maggiore riconoscimento istituzionale della rivista e dei suoi storici coincise con il graduale sbriciolamento culturale e degli intenti spirituali che avevano dato vita al rinnovamento scientifico della disciplina.
Numerose sono state le critiche rivolte a questo nuovo sviluppo della nouvelle histoire: molti hanno denunciato un processo di «autonomizzazione dei fattori mentali».18 Secondo Pitocco, Le Goff favorì l’uscita dalla «storia globale» delle prime Annales verso «oggetti particolari».19 col proposito di promuovere la nuova disciplina dell’antropologia storica, che sarebbe «una concezione che, in nome dell’apertura interdisciplinare, di fatto scioglieva la storia nella sociologia e soprattutto nell’antropologia, attenuandone fortemente l’identità disciplinare»20 e dando scarso peso al rapporto tra storia e economia o linguistica, discipline tenute invece in gran conto sia da Bloch che da Febvre.
Negli anni ’70-’80 Le Goff e A. Burguière sostenevano che l’antropologia storica fosse il compimento naturale della storia della mentalità di Bloch. L’antropologia storica, enfatizzando il legame storia-sociologia-antropologia, si volgeva al contenuto impersonale del pensiero, che accomunava i grandi uomini ai più umili, tentando - scrive Pitocco - di «estrarre dalla storia le strutture e i loro tempi più o meno immobili» e assegnando loro «il compito di portare il senso della storia purificato e privato dal groviglio umano che lo produce costantemente e costantemente lo modifica».21 Tale disciplina rifiutava così una delle lezioni più importanti di Bloch e Febvre:
la storia non è storia delle società, ma storia dell’uomo che vive in società mutevoli nel tempo. […] Ma soprattutto protagonisti della storia sono gli uomini nella infinita pluralità e varietà delle loro vite, pur vissute all’interno di strutture sociali, strutture sociali esse stesse.22
Le Goff ed i suoi colleghi francesi accettarono la lezione di Foucault, che diede la prima definizione di storia seriale nel suo Archéologie du savoir (1969): rinunciando a qualsiasi pretesa di interpretazione sintetica del proprio oggetto di studio, ossia la grande Storia, lo storico doveva volgersi ora alle storie con la s minuscola e al plurale. Il suo compito era ricostruire un evento unico, irripetibile, un piccolo frammento, geograficamente e temporalmente determinato, senza cercare nella storia degli uomini una supposta continuità e unità. Ecco qui la cosiddetta storia in briciole di Pierre Nora. Insomma, la terza generazione delle Annales rifiutava l’unità della società, concetto-chiave che caratterizzava, invece, il rapporto di scambio tra storia e scienze sociali in Bloch e Febvre, a vantaggio della discontinuità, della frammentarietà: si studiavano così oggetti particolari secondo procedure scientifiche specifiche. Secondo Pitocco, rotta l’unità e la globalità del sociale quello slancio ha messo capo, di fatto, a una esplosione di ‘campi’, di ‘territori’ che ha alimentato una tendenza alla dispersione, al descrittivismo storico. […] che non a torto i critici delle Annales tendono a considerare come uno sminuzzamento della storia, produttore di una secca perdita di senso.23
In questo contesto si è andata affermando la dizione di storia delle mentalità, a partire dal giudizio negativo espresso da Le Goff in un celebre articolo,24 in cui definì mentalità un concetto ambiguo per il suo riferirsi allo stesso tempo ai fattori razionali e irrazionali propri del pensiero e della sensibilità comune di una data società. Verso la fine del Novecento si è affermata, non solo in Francia, ma anche nell’ambito della storiografia anglo-sassone, una «vera e propria tendenza disciplinare, fondata su un rapporto privilegiato, e persino esclusivo, con la psicologia e la psicanalisi».
Ricordiamo, tra i critici della nuova storiografia francese, importanti storici italiani del secondo Novecento, come Delio Cantimori che, influenzati dallo storicismo e dediti alla storia delle idee e alla storia politica, accolsero in gran parte con diffidenza la nouvelle histoire, che appariva come un insieme confuso di temi, problemi e metodi e priva di una rigorosa concezione della storia. Significativo il giudizio di Arnaldo Momigliano25 , secondo cui nemmeno l’indubbio influsso del marxismo sugli storici francesi aveva instillato in loro lo spirito teorico. A proposito della diffidenza della storiografia italiana, Pitocco scrive:
Assorbita com’era nei problemi posti dal dibattito sullo storicismo, e quasi soffocata dalla densità dei rapporti ‘teorici’ che esso postulava tra storia, politica e filosofia, quella storiografia le appariva ‘artigianale’, un po’ confusa e approssimativa, tutta presa nella concretezza empirica di un lavoro da laboratorio e lontana da ogni interesse per quell’astrazione che è propria della teoresi filosofica e scientifica.26
Solo nel corso del secondo Novecento, negli anni ‘70-‘80, la storiografia italiana accolse dei metodi e dei temi della nouvelle histoire, dandone una originale interpretazione, per esempio con le riviste Quaderni storici e Storia e società.
Appare chiaro che tali nuove tendenze storiografiche della cultura europea e statunitense abbiano intrattenuto uno stretto rapporto con le tendenze filosofiche del secondo Novecento, cosiddette postmoderne,27 e con la loro critica radicale alla razionalità sistematica, rappresentata dalla cultura filosofica e scientifica moderna.28 Si tratta, in generale, di correnti di pensiero, dal neopragmatismo anglosassone all’esistenzialismo francese e allo storicismo tedesco, che hanno elaborato, secondo il filosofo italiano Aldo Giorgio Gargani, «una concezione indebolita di razionalità» e «una concezione deflazionista della verità».29
Come denunciato anche dai grandi nomi della letteratura europea e statunitense, da Mann a Kafka, da Steinbeck a Orwell, nel mondo contemporaneo l’uomo si sente sempre più solo davanti a un mondo estraneo, fatto di ingranaggi e leggi che non conosce e non sa dominare. Si è verificato in questo contesto non solo il diffondersi di atteggiamenti di distacco del cittadino dallo stato e dall’impegno civile; ma anche la polemica radicale contro le pretese universalizzanti della scienza e della filosofia.
Nel corso della metà del Novecento si radicalizzano posizioni già sviluppatesi nei primi decenni del secolo, quando gli intellettuali prendevano di mira il positivismo: la scienza è incapace di penetrare la realtà degli uomini, fatta in ultima istanza dalle coscienze individuali e dalle singole esperienze vissute. Riprendendo le parole dello studioso A. Touraine,30 Paolo Favilli ha sottolineato che nella seconda metà del XX sec. si è affermata «la definitiva sfiducia della possibilità della ragione di dare senso ad un’esperienza di vita individuale e collettiva, ad un’esperienza di storia, fondata sulla “totale accettazione della caducità, della frammentazione, della discontinuità e del caos”».31 A ciò si aggiunge:
la negazione della possibilità di arrivare, sia pure attraverso l’uso di strumenti razionali molteplici, a dare senso allo svolgimento di complessi processi di realtà. Qualsiasi ricerca di senso viene derubricata al livello di ‘grande narrazione’. Viene negato, in particolare, che macroprocessi storici (e l’ampiezza del macro tende progressivamente a ridursi) abbiano al loro interno un qualsiasi sistema di relazioni, anche se molto labile, e soprattutto che tale sistema di relazioni possa avere capacità esplicative del processo stesso.32
Ad esempio di ciò potremo prendere lo storico e filosofo francese Foucault, che abbiamo citato in precedenza, il quale è stato influenzato dalla cosiddetta Nietzsche-renaissance, che caratterizzò la Francia degli anni ’60 e dal cosiddetto post-strutturalismo. Non solo egli non vedeva nella storia e nel progresso delle scienze un processo di emancipazione umana, come invece avevano fatto sia l’illuminismo sia il marxismo, né accordava legittimità alle ricerche di un fondamento ultimo della nostra conoscenza.
È interessante notare che alcuni studiosi hanno messo in relazione la nascita del pensiero e dell’ideologia postmoderna con il drammatico fallimento delle promesse emancipatrici e di pace del pensiero politico liberale. La tragedia delle guerre mondiali e le sempre crescenti contraddizioni del mondo capitalistico avrebbero contribuito al disfacimento dei sistemi filosofici forti (come l’hegelismo), che avevano tentato di fondare e difendere la razionalità della storia.33 Secondo A. Ciattini, la nozione di alterità e la conseguente enfasi sulle differenze, che sono caratteristiche del pensiero postmoderno, sono nate «dalla crisi del modello unitario della ragione […], la cui origine dovrebbe essere rintracciata nelle trasformazioni della società capitalistica realizzatesi a partire dagli ultimi decenni del Novecento».34 Molti autori hanno inoltre denunciato la debolezza del pensiero postmoderno, in quanto non produce una visione complessiva e critica della società e delle sue drammatiche contraddizioni.35 Infatti gli intellettuali sono tutti presi dalla «perenne decostruzione dei loro oggetti, i quali sono stati frantumati in una miriade di tratti irrelati e sottoposti a procedimenti ermeneutici mai conchiusi e sempre revocabili e invalidabili».36 Risulta, perciò, impossibile proporre prospettive di trasformazione e miglioramento delle nostre società. Come ha scritto Ciattini: nel postmoderno si concretizzano il disegno del nuovo capitalismo di frammentare la società in individui isolati […], la negazione che sia possibile elaborare una lettura complessiva e totalizzante di quanto ci circonda, perché tale pretesa annienterebbe la specificità e l’irriducibilità del singolo o delle diverse culture che costellano il nostro universo disomogeneo e salutarmente frammentato.37
In conclusione, ciò che mi preme sottolineare in questo articolo è che la concezione dialettica della storia di Marc Bloch si legava all’idea della sua utilità civile e quindi del ruolo militante dello studioso. Uomo di grande cultura e di grande passione civile, Bloch era convinto che scopo ultimo della conoscenza del passato è la comprensione delle condizioni storiche, sociali ed economiche che hanno portato al nostro presente, rendendo così possibile la sua trasformazione. Questo atteggiamento fortemente critico e propositivo spinse Bloch verso la militanza politica, non solo come intellettuale impegnato nella diffusione della cultura storica; ma anche come uomo, che ha dato il suo contributo alla lotta contro il nazismo, aderendo in ultimo alla Resistenza francese38 . Come ha scritto Maurice Aymard, la riflessione storiografica prende nel caso di Bloch «una dimensione del tutto personale, e nello stesso tempo emblematica, che fonda l'unità della sua opera e della sua vita. La storia del passato non può essere scritta se non da chi assume il ruolo di testimone, attivo e impegnato, del presente».39
L’attività storiografica di Bloch si fondava sul tentativo di legare strettamente il presente al passato e «di applicare nell’interpretazione delle manifestazioni sociali dei nostri tempi le facoltà di analisi che lo storico ha esercitato nella critica dei documenti dei tempi lontani»40 . Studiare criticamente i fenomeni storici, saper coglierne le differenze e le analogie, le continue interrelazioni con l’ambiente materiale e le condizioni culturali che caratterizzano una società significava per il grande storico francese tentare di penetrare l’avvenire: «Esaminando come e perché l’ieri è stato diverso dall’altro ieri, essa [la storia] trova, in questo accostamento, il modo di prevedere in che senso il domani, a sua volta, si opporrà all’ieri».41
In armonia con le posizioni dello storico francese, lo studioso inglese Edward H. Carr42 ha scritto: «la storia […] è un processo di carattere sociale, a cui gli individui partecipano in quanto esseri sociali; e l’immaginaria antitesi tra società e individuo non è altro che un cartello sviante messo lì apposta per confonderci». E aggiunge, sottolineando il rapporto che la storia intrattiene con la cultura e le esigenze delle società presenti: «Il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo comprendere pienamente il presente unicamente alla luce del passato. Far sì che l’uomo possa comprendere la società del passato e accrescere il proprio dominio sulla società presente: questa la duplice funzione della storia».43
Studiare oggi, per esempio, le opere di Marc Bloch non significa soltanto riscoprire le intenzioni originarie dell’innovazione metodologica della storia e, più in generale delle scienze umane, che fu elaborata nel corso del Novecento. Ma, soprattutto, significa dare nuovo risalto ad una concezione dialettica della storia e dell’attività umana, propria di Bloch e di tanti altri studiosi a lui contemporanei, che sottolinei i rapporti reciproci e ambivalenti tra la dimensione materiale e la dimensione ideologica e culturale, che individui le condizioni concrete in cui determinate società e mentalità si sono sviluppate, superando quei limiti temporali e geografici tanto comodi nello studio, ma fuorvianti nell’analisi della realtà. È questa concezione della storia che ci insegna a vedere uno sviluppo continuo, seppur contraddittorio, nell’attività umana e ci permette di comprendere le ragioni d’essere della società attuale per migliorarla. Perché solo l’impegno civile può dar significato all’attività conoscitiva dello studioso.
Note.
1 H. S. Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, Einaudi, Torino 1967, pp. 40 ss. (ed. or. inglese 1958).
2 A. D’Orsi, Piccolo manuale di storiografia, Mondadori, Milano 2002, p. 94.
3 Cfr. J. H. Robinson, The newhistory, Macmillan, New York 1912, cit. in A. D’Orsi, Piccolo manuale di storiografia, cit., p. 95.
4 A. D’Orsi, Cit., p. 103
5 Julien Benda (1867-1956), filosofo e scrittore francese, è l'autore del celebre pamphlet La trahison des clercs (1927), edito in Italia da Einaudi nel 1976, in cui denunciò il crescente impoverimento culturale delle società occidentali e il servilismo nei confronti del potere politico di tanti intellettuali, che tradivano così il loro ruolo di custodi di valori universali come quelli di giustizia e di ragione.
6 P. Ariès, Storia delle mentalità, in F. Pitocco (a cura di), Storia delle mentalità, Bulzoni, Roma 1996, pp. 223-249 (ed. or. francese 1979).
7 P. Ariès, Cit., p. 228.
8 «L’armatura di istituzioni che regge una società si può spiegare, in ultima istanza, solo con la conoscenza dell’intero ambiente umano. La finzione di lavoro che, nell’essere di carne e di sangue, ci costringe a ritagliare questi fantasmi: homo oeconomicus, philosophicus, iuridicus, è certo necessaria; ma sopportabile solo se ci si ricusa di esserne vittime», M. Bloch, La società feudale, Einaudi, Torino 1959, p. 107, cit. in F. Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 47, nota 67.
9 F. Pitocco, Cit., p. 48.
10 F. Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 55.
11 M. Focault, Lo stile della storia, in Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino 2001, cit. in P. Favilli, Marxismo e storia: saggio sulla innovazione storiografica in Italia (1945-1970), ed. Franco Angeli, Milano, 2006, p. 170.
12 L. Febvre, Storia e psicologia, in F. Pitocco (a cura di), Cit., p. 107 (I ed. italiana 1966).
13 M. Bloch, in Lavoro e Tecnica nel Medioevo, a cura di G. Luzzato, Laterza, Roma-Bari 2004 ( I ed. italiana 1969).
14 F. Pitocco, Storia delle mentalità, cit., p. 33.
15 F. Pitocco, Cit., p. 35.
16 T. Stoianovich, La storia francese. Il paradigma delle “Annales”, Torino, ISEDI, 1978.
17 F. Dosse, L’histoire en miettes, Parigi, Editions de la Découverte, 1987.
18 A. D’Orsi, Cit., p. 108.
19 F. Pitocco, Cit., p. 50.
20 F. Pitocco, Cit., p. 73.
21 F. Pitocco, Cit., p. 99.
22 F. Pitocco, Cit., p. 99.
23 F. Pitocco, Cit., p. 45.
24 J. Le Goff, La mentalità: una storia ambigua, in F. Pitocco, Cit. (ed. or. in Faire de l’histoire, Editions Gallimard, Paris 1974).
25 A. Momigliano, Lo storicismo nel pensiero contemporaneo, in Rivista storica italiana, 1961, n. 1, p. 115.
26 F. Pitocco, Cit., p. 20.
27 Il termine postmoderno è entrato nel dibattito filosofico in seguito alla pubblicazione nel 1979 di La condizione postmoderna di J. F. Lyotard.
28 A questo proposito vedi, per esempio, il volume collettaneo curato da A. G. Gargani, Crisi della ragione. Nuovi modelli del rapporto tra sapere e attività umane (1979).
29 A. G. Gargani, Crisi della ragione, voce dell’Enciclopedia Treccani online.
30 A. Touraine, Critica della modernità, Milano, Il saggiatore, 1997, p. 222.
31 P. Favilli, Cit., Franco Angeli, p. 22.
32 P. Favilli, Cit., Franco Angeli, p. 23.
33 Faccio riferimento, per esempio, a S. Garroni, Dialettica e socialità, Roma, Bulzoni 2000.
34 A. Ciattini, Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea, p. 3, in via di pubblicazione.
35 T. Egleton, Ideologia. Storia e critica di un’idea pericolosa, 2007.
36 A. Ciattini, Cit., p. 4.
37 A. Ciattini, Cit., p. 5.
38 Nel 1943 Bloch entrò a far parte del gruppo clandestino Franc-Tireur e lavorò come redattore-capo a Les Cahiers politiques de la France combattante. Divenne ben presto membro del direttivo regionale della Resistenza francese e contribuì all’organizzazione delle insurrezioni di dieci départements che dipendevano da Lione. Fu arrestato dalla Gestapo l’8 marzo 1944 e fucilato il 16 giugno successivo.
39 M. Aymard, Introduzione, in M. Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e Riflessioni (1921), Donzelli, Roma 1994, p. XVI-XVII.
40 G. Luzzato, Prefazione, in M. Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Cit.
41 M. Bloch, La strana disfatta, Einaudi, Torino 1995, p. 110 (ed. or. francese 1946).
42 E. H. Carr (1892-1982), storico e diplomatico inglese, celebre per la suo opera monumentale Storia
dell’Unione Sovietica (14 voll.). Di orientamento marxista, si oppose all’empirismo storiografico.
43 E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi 2000, pp. 60-61 (ed. or. London 1961).
Articolo pubblicato su Figure dell'Immaginario
Fonte: Il Comunista
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