Intervista a Giulio Sapelli di Eugenio Occorsio
"La decisione della Ford di non delocalizzare in ossequio a Trump? C'è chi parla di restaurazione del primato della politica, io parlerei di fine del politically correct". Giulio Sapelli, che insegna Storia dell'economia alla Statale di Milano, studia da una vita il pensiero politico americano e la "poliarchia", come Charles Lindblom in The policy making process definì trent'anni fa l'intreccio di check & balances fra Congresso, amministrazione e presidente.
"Queste cose si sono sempre fatte - la politica che influenza e comanda sull'economia - solo che si facevano in modo diverso. Più sotterraneo, senza grandi proclami, un modo direi più pragmatico e in fondo corretto. Oltre che probabilmente più efficace".
Non è un bene che oggi tutto avvenga alla luce del sole? Trump minaccia di ritorsione chi va a investire fuori, e l'azienda risponde rivedendo i progetti?
"Macché. Trump ci ha abitato a un linguaggio forte, sopra le righe. Sia che parli delle sue conquiste femminili, sia della politica economica. E ora, bollare come antiamericano chi si accinge a un normale investimento all'estero, come la Ford e la Gm, rischia di alimentare un circuito perverso di livori, di esaltazione, di risentimento. Annunciare a voce altissima e roboante che sarà punito chi non investe in America, cosa che ripeto si faceva anche prima però a bassissima voce, significa dare in pasto a un'opinione pubblica impreparata e a forte emotività, quale ha dimostrato di essere quella che ha eletto Trump, un elemento in più perché si scateni il jingoismo".
Tradotto?
"È il termine che indicava in Inghilterra lo sciovinismo più sfrenato, che poneva la salvaguardia degli interessi del Paese e l'identità nazionale come priorità vitali, con una politica estera aggressiva e la tendenza all'isolazionismo. Insomma, un nazionalismo esclusivo e fanatico che nega aprioristicamente i valori e i diritti degli altri. Una risposta assolutamente di destra e non socialista come dovrebbe essere. Trump su questo fa leva, e si fa forte di aver rivendicato una situazione economica americana ben peggiore di quanto dicano le statistiche ufficiali, che danno per occupato anche chi lavora poche ore la settimana. Detto ciò, mi sembra legittimo che Trump rivendichi la difesa dei valori americani".
Ma allora, ha fatto bene o no?
"Un certo grado di protezionismo selettivo che difenda le imprese strategiche oggi è inevitabile. La pressione sulle imprese è fortissima, la rivoluzione tecnologica minaccia di azzerare la forza lavoro. Cose vere, ma vanno dette con circospezione senza interviste televisive che accendono gli animi, o peggio che mai messaggi twitter che scatenano pulsioni anticapitalistiche. Da qui al complotto giudaico-massonico il passo è breve".
Scusi, sta parlando dell'America o dell'Italia?
"Dell'Occidente. Vede, si parla del primato della politica sull'economia. Bene, io sono cresciuto a Torino in un'epoca in cui la Fiat faceva quello che voleva entro la cinta cittadina ma fuori era sopraffatta dall'autorità e dall'autorevolezza dei politici. Umberto Agnelli per candidarsi senatore dovette venire a Roma perché a Torino gli sbarrò la strada Carlo Donat-Cattin. I politici erano autorevoli in quanto espressione di partiti forti che li formavano".
Oggi non ci sono più politici autorevoli?
"Diciamo che non ci sono più partiti forti".
Fonte: La Repubblica
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