di Roberto Romano
La rilevazione Istat dovrebbe far tremare le vene ai polsi: «in media d’anno i prezzi al consumo registrano una variazione negativa (-0,1%) … è dal 1959 (quando la flessione fu pari a -0,4%) che non accadeva». L’Eurostat, invece, stima l’inflazione europea all’1,1%. Ma quanto è grave la rilevazione dell’istituto di statistica nazionale rispetto alla rilevazione europea? La deflazione italiana è l’altra faccia della medaglia della crisi di struttura dell’economia e, in fondo, del tonfo delle politiche adottate dal precedente governo. Dove c’è crescita l’inflazione si manifesta, dove la crescita non si vede l’inflazione è un miraggio.
Le rilevazioni dei due istituti, in realtà, dicono qualcosa di più: le politiche monetarie di Draghi non arrivano dove ce ne sarebbe più bisogno. Infatti, l’inflazione tedesca è in linea con quella europea, cioè la sua economia cresce meglio di quella di altri paesi anche perché è la prima beneficiaria delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla Bce. Non sentiremo la politica tedesca stracciarsi le veste sul tema.
Le rilevazioni dei due istituti, in realtà, dicono qualcosa di più: le politiche monetarie di Draghi non arrivano dove ce ne sarebbe più bisogno. Infatti, l’inflazione tedesca è in linea con quella europea, cioè la sua economia cresce meglio di quella di altri paesi anche perché è la prima beneficiaria delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla Bce. Non sentiremo la politica tedesca stracciarsi le veste sul tema.
Per decenni la parola più usata in Europa è stata inflazione, ma fin dall’inizio era evidente il rischio deflazione. Se tagliamo spesa pubblica e salari per troppo tempo, prima o poi la domanda interna diminuisce. Per un po’ di tempo è possibile sostituire la domanda interna con le esportazioni, ma se il sistema economico mondiale cade in recessione e vi rimane per troppo tempo, allora la deflazione compromette la sostenibilità del sistema economico e produttivo. Infatti, la contrazione della domanda interna costringe le imprese a ridurre i prezzi dei propri beni e servizi, ma oltre un certo livello non può ridurre i prezzi.
Se il prezzo di un bene o un servizio non copre almeno i costi fissi, l’impresa è costretta a chiudere gli impianti. Il punto è proprio questo: la domanda interna è stata così compromessa che le imprese sono state costrette a ridurre i prezzi ben oltre il livello della sostenibilità per vendere la produzione. Per un certo periodo possono anche vendere i beni al solo prezzo del costo, ma non per troppo tempo. Le imprese non solo devono realizzare profitti, ma devono anche restituire gli interessi sul debito contratto con le banche, assieme a una parte del capitale preso a prestito.
Se i prezzi continuano a contrarsi, non solo le imprese non fanno profitti, ma indeboliscono la propria posizione finanziaria e sono costrette a chiudere. Per questo la deflazione è terribile: distrugge produzione, lavoro e la stabilità finanziaria del sistema economico. Infatti, una parte dei debiti incagliati delle banche, le cosiddette sofferenze, è figlia di questa e paradossale situazione. Alcuni paesi hanno fondato la crescita sulle esportazioni, ma venuta meno questa possibilità, la domanda interna era ed è inadeguata. Per questo il Qe (quantitave easing) non ha prodotto nessun effetto positivo sull’economia e sui livelli dei prezzi.
La deflazione innesca un circolo vizioso che si autoalimenta e alla lunga fa male a tutti: i prezzi in calo generano un’aspettativa di ulteriori cali futuri dei prezzi, questo porta i singoli individui a posticipare gli acquisti, sia per ragioni opportunistiche, sia per ragioni oggettive legate al livello di reddito disponibile dopo i tagli dei salari e della spesa pubblica, e la somma di queste aspettative generali comportano una diminuzione generale dei consumi, generando un avvitamento dell’economia che brucia ricchezza, reddito e base produttiva.
Anche il debito risente negativamente della deflazione. Se svalutando la moneta l’inflazione aiuta i debitori a rimborsare i loro debiti andando a diminuire in termini reali il valore da rimborsare, se l’inflazione è troppo bassa o addirittura negativa, la situazione diventa insostenibile per i debitori che devono rimborsare capitali più pesanti in termini reali senza nessuno «sconto da inflazione» sul tasso di interesse e in un clima di depressione economica per il circolo vizioso che abbiamo descritto sopra.
Alla lunga anche questa situazione è pericolosa per i creditori che rischiano di non recuperare i loro soldi da debitori diventati sostanzialmente insolventi. L’avevamo detto, ma non aiuta.
Fonte: il manifesto
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