Intervista a Cristiano Gori di Filippo Santelli
"Non basta introdurre il reddito di inclusione. Bisogna, già da subito, definire un percorso che lo renda universale. Altrimenti rimarrà una riforma interrotta". Cristiano Gori è professore di Politiche sociali all'Università di Trento, ma anche coordinatore scientifico dell'Alleanza contro la povertà, il gruppo di associazioni che per primo ha proposto di introdurre in Italia uno strumento contro l'indigenza. "Un fenomeno che in questi anni di crisi ha rotto gli argini".
Nel 2007 i poveri in Italia erano 1,8 milioni, ora sono 4,6 milioni. Intende questo?
"Non solo, è anche cambiato il profilo della povertà. Prima si concentrava in alcuni segmenti, il Sud, famiglie senza impiego con tre figli, ora è cresciuta al Nord, tra chi ha lavoro, nei nuclei giovani con un bambino. È trasversale, e lo rimarrebbe anche con una ripresa più decisa".
La legge delega sul reddito di inclusione (Rei) è in Parlamento da un anno, intanto Poletti è pronto a rinnovare la misura "ponte", il Sia. Un decreto può accelerare le cose?
"Strumenti transitori come il Sia non devono diventare definitivi. Non mi pronuncio sulle modalità, ma un'accelerazione è necessaria. In Parlamento è stato fatto un buon lavoro bipartisan sulla delega che non va vanificato, con il giusto impegno politico si può ancora partire con il Rei nel 2017. Purché sia chiaro che cosi com'è non risolve il problema".
Sul piatto ci sono 1,5 miliardi per quest'anno. Per quante persone bastano?
"Ecco il punto, bastano per tre poveri su dieci. Per questo è necessario definire da subito un piano, spalmato su tre o quattro anni, che lo renda gradualmente universale. Per sostenere tutti i poveri, a regime ci vogliono sette miliardi: fanno circa 1,5 miliardi in più l'anno. Solo con questo orizzonte lo strumento può funzionare, specie sul territorio".
Già, il Rei vuole superare la logica assistenzialistica, formando i poveri e accompagnandoli verso l'impiego. Gli enti locali hanno risorse e personale per farlo?
"Nelle sperimentazioni fatte finora ha funzionato poco, scontiamo il nostro ritardo nel welfare locale. Ma la delega fa dei passi avanti: prevede la formazione degli operatori sul territorio e un monitoraggio costante. Sarà un percorso lungo, per questo ci vuole certezza di risorse: sui 7 miliardi necessari, 1,5 dovrebbero andare a potenziare i servizi locali".
Si parla di un assegno mensile di 400 euro per famiglia: basta per chi ha tre figli o magari un bambino disabile?
"No, la somma è stata tenuta bassa per ampliare la platea, visti i pochi fondi. A regime si dovrebbe stabilire una soglia di povertà, coprendo con l'assegno la differenza tra quella e il reddito reale della famiglia. Così funziona in Europa".
Fonte: La Repubblica
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