di Catherine Cornet
Sadiq Jalal al Azm è morto a Berlino l’11 dicembre. Per alcuni sarà stato solo un altro “rifugiato” siriano, un problema per la rielezione della cancelliera Angela Merkel. Ma nella realtà era uno dei più importanti intellettuali arabi, uno spirito libero e critico tanto dell’islam quanto dell’autoritarismo. Filosofo kantiano, con un dottorato a Yale, fu un marxista contrario allo stalinismo quando era scomodo esserlo, e un critico di Edward Said quando il maestro palestinese era all’apice della sua influenza sugli intellettuali arabi dopo il successo di Orientalismo.
In tempi più recenti Al Azm è stato un sostenitore incondizionato della rivoluzione contro Bashar al Assad quando molti intellettuali laici della sua generazione, come il poeta Adonis, hanno scelto il dittatore siriano nella contrapposizione semplicistica Assad contro Stato islamico.
In tempi più recenti Al Azm è stato un sostenitore incondizionato della rivoluzione contro Bashar al Assad quando molti intellettuali laici della sua generazione, come il poeta Adonis, hanno scelto il dittatore siriano nella contrapposizione semplicistica Assad contro Stato islamico.
La tragedia del diavolo, uscito a marzo in Italia, è stato scritto più di quaranta anni fa ed è stato uno dei libri fondamentali per la riflessione sui rapporti tra islam e modernità: ha scatenato dibattiti e polemiche infinite, che continuano ancora oggi. Come scrive l’autore, nella prefazione alla traduzione italiana: “Questo libro è stato presente sul mercato arabo ininterrottamente per quasi mezzo secolo. Per quanto formalmente bandito, è in realtà disponibile a chiunque, in ogni nazione araba, abbia voglia di leggerlo, o di bruciarlo”.
Altri suoi lavori, come Autocritica dopo la sconfitta (1968), Critica del pensiero religioso (1969), La mentalità del divieto e Oltre la mentalità del divieto (questi ultimi pubblicati negli anni novanta), testimoniano della sua capacità di rimettere in discussione quasi tutti i temi dell’epoca moderna. Yassin al Hajj Saleh, altra figura dell’opposizione siriana, imprigionato da Assad all’età di 18 anni e rimasto in carcere per oltre 16 anni, scriveva di lui su Al Qantara nel 2015: “Una delle affermazioni ricorrenti di Sadiq è che ogni pensiero può essere messo in discussione. Non c’è dubbio che è un’opinione che non mette tutti d’accordo, ma si deve riconoscere che lui stesso ha sempre argomentato i suoi punti di vista – critici, polemici o altro – con un’invidiabile chiarezza”
Il pensiero religioso è stato al centro della sua critica e la sua analisi, che risale al 1969, rimane perfettamente attuale: i musulmani che vivono nel mondo moderno hanno bisogno di “ragione e rivoluzione, invece della solita vecchia e nota sottomissione”, come ha sintetizzato efficacemente lo studioso di origine siriana Bassam Tibi in Islam between culture and politics.
Per lui, era di conseguenza fondamentale esercitare il pensiero critico sui testi sacri, come ha fatto nella sua critica alla figura di Iblis, Satana, leggendola con un sguardo esistenzialista e marxista. In un lungo articolo, intitolato L’importanza di essere seri a proposito di Salman Rushdie, prese anche le difese dello scrittore indiano, colpito dalla fatwa iraniana: “Rushdie non sta forse aprendo nuove vie critiche per la coscienza storica e culturale? Le società musulmane e le loro culture devono rimanere così come sono sempre state?”. Schierato apertamente con lui, Al Azm lo paragonò ai suoi predecessori più illustri dell’illuminismo e del razionalismo europeo.
Il sostegno alla rivoluzione
Nato in una famiglia aristocratica di Damasco, Al Azm era un vero cosmopolita che sentiva “un senso di appartenenza spontaneo, giustificato e naturale” nei confronti di ogni paese, città e cultura, pur mantenendo un rapporto speciale con la Siria. Dopo anni di insegnamento a Yale, Al Azm è tornato all’Università di Damasco dove ha insegnato per più di vent’anni filosofia moderna europea.
Subito dopo i primi giorni della rivoluzione siriana, ha preso posizione chiaramente: in un’intervista del 2013 spiega che, a differenza della guerra in Libano, quella siriana “non è una guerra civile, bensì il tentativo di sopprimere una rivoluzione”.
Il suo sostegno alla rivoluzione siriana non era una semplice questione di militanza a fianco dell’opposizione, spiega ancora Omair Anas su Middle East Eye: “Al Azm aveva analizzato attentamente la crisi siriana in tutti i suoi aspetti ed era arrivato alla conclusione che la democratizzazione, sia a livello teorico che a livello normativo, richiede una politica inclusiva alla quale il regime di Assad e i suoi alleati non credono affatto”.
Quando alla fine del 2012 andò in Germania a ritirare il premio Ibn Rushd per conto della femminista rivoluzionaria Razan Zaitouneh, concluse così il suo discorso di ringraziamento: “Questo premio rende omaggio a tutti i siriani che hanno sognato il sogno della libertà”. Una dedica che gli assomiglia.
Fonte: Internazionale
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.