di Fabio Sebastiani
Nel 2016, l’Italia risulta nel suo insieme in deflazione. Negli scorsi 12 mesi i prezzi al consumo registrano una variazione negativa (-0,1%): è dal 1959 (quando la flessione fu pari a -0,4%) che non accadeva. Lo rileva l’Istat comunicando i dati provvisori sui prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC).
Peccato che questo dato non sarà più vero nei prossimi mesi. L’inflazione potrebbe tornare, e molto più decisa che non nelle fasi precedenti. E la rilevanza mediatica che viene data oggi rischia di produrre più di qualche effetto distorsivo.
Cominciamo con il dire che, poche righe più avanti l’Istat sottolinea che al lordo dei tabacchi, si registra un aumento dello 0,4% del livello dei prezzi, rispetto al mese precedente e dello 0,5% nei confronti di dicembre 2015. L'”inflazione di fondo”, poi, calcolata al netto degli alimentari freschi e dei prodotti energetici, rimane invece in territorio positivo (+0,5%), pur rallentando la crescita da +0,7% del 2015. A dicembre l'”inflazione di fondo” sale a +0,6% (da +0,4% del mese precedente); al netto dei soli beni energetici si attesta a +0,7% (da +0,4% di novembre).
L’Istituto Nazionale di Statistica fa notare che dopo trentaquattro mesi di variazioni tendenziali negative, i prezzi dei beni tornano a registrare una variazione positiva (+0,1% da -0,4% di novembre), mentre il tasso di crescita dei prezzi dei servizi accelera, portandosi a +0,9% (era +0,5% a novembre).
Nel dettaglio si osserva che l’aumento su base mensile dell’indice generale è principalmente dovuto agli aumenti dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,9%), degli energetici non regolamentati (+1,1%), degli Alimentari non lavorati (+1,0%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,5%). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona crescono dello 0,4% in termini congiunturali e dello 0,6% in termini tendenziali (da -0,1% di novembre). I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,3% su base mensile e dell’1,0% su base annua (era +0,5% a novembre).
C’è poi da aggiungere un altro fattore preoccupante. In Italia, per quei pochi contratti rinnovati, sono stati conclusi accordi che scommettono su un regime inflazionismo praticamente inesistente. Cosa accadrà quando l’inflazione alzerà la testa? E questo potrebbe avvenire presto non solo per il mercato internazionale delle materie prime, ma anche perché in Europa, legata a doppio filo all’Italia, l’aumento dell’inflazione sopra l’uno per cento è una realtà da diversi mesi. E questo a breve comporterà qualchceh effetto per la “nostra” economia. Senza contare il fatto che un indice inflazionistico in ripresa darà spazio alle posizioni dei falchi tedeschi nei confronti della politica protezionistica verso i bilanci svolta dalla Bce.
Insomma, le buste paga continueranno ad essere erose non solo per quanto riguarda i diritti ma soprattutto in modo concreto dal mancato adeguamento al costo della vita. Come indicano i "nuovi" contratti di lavoro, infatti, questa è una voce non più contemplata. L'effetto sarà quello di un aumento ancora più marcato delle disuguaglianze.
Un fattore sottolineato anche da Confcommercio: "Il ritorno dell’inflazione in assenza di un significativo incremento dell’occupazione e dei redditi nominali, potrebbe costituire un fattore di freno al potere d’acquisto delle famiglie, con riflessi negativi in termini di consumi e di crescita economica".
Dall’Unione Nazionale Consumatori sottolineano che il fatto che l’Italia sia in deflazione e che questo non accadeva da oltre mezzo secolo, ossia dal 1959, dimostra che, “nonostante la recessione sia tecnicamente finita, il Paese è ancora in piena crisi e la domanda stenta a ripartire”. Il presidente dell’associazione, Massimiliano Dona aggiunge: “Ci preoccupa, in prospettiva, il rialzo mensile dei beni energetici non regolamentati (+1,1%), dovuto non certo ad una ripresa della domanda interna. In un solo mese si sono avuti aumenti dei prezzi di tutti i carburanti, dal gasolio per mezzi di trasporto (+1,5%) alla benzina (+1,0%). Anche il gasolio per riscaldamento è salito dell’1,8%. Se a questo si aggiunge che l’Istat non ha ancora incorporato la stangata di gennaio, +0,9% per la bolletta della luce e +4,7% per quella del gas, con un aggravio di spesa annua, per la famiglia tipo, di 52,50 euro, 4,5 euro per la luce e 48 euro per il gas, ecco che il quadro diventa allarmante”.
“La crescita delle disuguaglianze è un enorme danno al l’economia e nello stesso tempo è un prodotto strutturale della forma che l’e c o n omia ha assunto negli ultimi anni”, sottolinea in una intervista il professor Marco Revelli. “Una terribile contraddizione che spiega, tra l’altro, la rabbia e la disperazione che serpeggiano nelle società occidentali – continua -. Noi siamo un Paese che non cresce, in cui però la ricchezza del 10% più abbiente continua ad aumentare: il meccanismo di redistribuzione funziona alla rovescia Anche nei Paesi che crescono, il reddito della working classè rimasto al palo. Il risultato sono i lavoratori poveri, cioè coloro che col loro impiego non riescono a vivere dignitosamente, cosa che oltretutto danneggia i consumi. È la forma del terzo capitalismo: si è rotto il compromesso tra capitale e lavoro, il capitale ha acquistato un’enorme capacità di movimento e il lavoro si è paurosamente impoverito”.
E l’euro? “Così com’è non sta in piedi – risponde Revelli in una intervista sul Fatto Quotidiano -. L’euro, con livelli di produttività così differenziati, funziona come una macchina che scarica sul fondo della piramide i costi e che costringe, per competere, a comprimere il costo del lavoro ben al di sotto dei limiti fisiologici”.
Fonte: controlacrisi.org
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