di Cinzia Venturini
Sono una dei 1666 lavoratori licenziati il 22 dicembre da Almaviva. Ho lavorato per questa azienda 20 anni, non faccio l’operatore telefonico ma poco importa. Sono stata assunta nel ’96, eravamo poco più di 30 dipendenti nella sede di piazza SS.Apostoli, a Roma. La stessa sede che fino a qualche mese prima aveva ospitato «I Comitati dell’Italia che Vogliamo» a sostegno della campagna elettorale di Romano Prodi. A quell’epoca la forza di questa azienda è stata il suo bene più prezioso: il capitale umano.
Oggi il gruppo Almaviva, nato dall’unione delle attività del Gruppo Cos in servizi di telecomunicazioni e quelli dell’informatica di Finsiel, ha circa 13.000 dipendenti in Italia (-1666 di Roma) e circa 32.000 all’estero con sedi in Brasile, Colombia, Tunisia, Cina e da agosto 2016 una nuova sede in Romania nata dalla delocalizzazione di alcune commesse del Contact Center.
Il gruppo lavora per la pubblica amministrazione(Inps e ministeri vari) e gestisce commesse per importanti committenti telefonici (Tim, Vodafone, Wind, Sky) e aziende come Eni, Alitalia, Trenitalia, Poste e Mediobanca.
Dal 2005 ad oggi ha usufruito periodicamente di ammortizzatori sociali, sgravi fiscali ed incentivi per assunzioni al sud.
Soldi pubblici per capirci.
Sulla sede della capitale negli ultimi quattro anni (mentre in altre sedi si effettuavano sistematicamente straordinari sulle stesse commesse gestite da Roma ) veniva applicato mensilmente il 45% del contratto di solidarietà causando un progressivo impoverimento della busta paga dei lavoratori di Almaviva Contact. Nonostante questo i dipendenti Almaviva e le loro famiglie hanno accettato con grande senso di responsablità mesi e mesi di sacrifici economici.
Un anno fa ad una tavola rotonda sul ddl appalti promossa dalla Cgil a cui parteciparono oltre al segretario nazionale Susanna Camusso diversi esponenti parlamentari, mi fu concesso di fare un breve intervento proprio per la preoccupante situazione della nostra azienda.
Conclusi dicendo: «Noi lavoratori abbiamo sempre fatto la nostra parte accettando accordi difficili non certo a noi favorevoli. Ora tocca a voi! E non ci deludete perchè la mancanza di segnali positivi aumenterà la sfiducia e il distacco verso le istituzioni, il sindacato, la politica».
In questi 75 giorni siamo stati lasciati soli dalle istituzioni e dalla politica, a parte qualche twitter e la presenza fisica alle nostre manifestazioni dell’ On.Marco Miccoli e dell’On.Stefano Fassina.
Nulla è stato fatto di concreto altrimenti non saremmo arrivati a questo punto: 1666 licenziati a Roma.
In questi 75 giorni mentre si trattava al ministero dello svilupo economico, l’azienda provvedeva al trasferimento di tutte le commesse attive di Roma sul sito di Milano e Palermo senza aspettare la conclusione della procedura. Nessuno, ministro Calenda, li ha fermati!
Il destino della sede di Roma era già segnato prima ancora di vedere l’esito finale della procedura.
Il verbale d’accordo che è stato firmato la sera del 21 dicembre dalle rapppresentanze sindacali di Napoli e non da quelle di Roma prevede una sospensione dei licenziamenti fino al 31 marzo per proseguire il confronto in tema di: tagli al salario (azienda propone il 17%) insieme all’utilizzo della cassa integrazione straordinaria e controllo individuale. In caso di mancato accordo l’azienda potrà entro il 15 aprile avviare i licenziamenti per i lavoratori di Napoli (845).
Ho letto in questi giorni articoli riguardo all’irresponsabile atteggiamento dei nostri delegati sindacali romani che non hanno firmato rispettando il mandato assembleare dato dai lavoratori, e alcun cenno sulla totale mancanza di responsabilità sociale ed etica dell’azienda colpevole di questo disastro sociale.
La vertenza di Almaviva deve diventare la vertenza di tutti.
La vertenza Almaviva ci pone di fronte a delle domande sul futuro del lavoro, della qualità del lavoro e sul futuro del Ccln.
È possibile oggi mantenere il posto di lavoro senza cedere salario e diritti?
Il diritto ad avere un salario dignitoso è in capo alle persone che lavorano a prescindere dalle categorie professionali e dalle crisi economiche?
A questi miei interrogativi mi piacerebbe che rispondessero il sindacato (visto che sono iscritta alla Cgil) e la politica, in particolar modo Roberto Speranza, esponente della sinistra Pd, candidato alla leadership del Partito Democratico (visto che il suo partito oggi è alla guida del governo Gentiloni).
Ringrazio per l’attenzione, Cordialmente.
Fonte: il manifesto
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