di Suan Morelli
"A’ la guerre comme a’ la guerre” sembra diventato il nuovo grido di battaglia delle destre europee, dopo che il neoliberismo ha colpevolmente creato un terreno fertile a questo tipo di narrazione.
Se ad oggi ancora non conosciamo gli alleati (considerando che quelli che consideriamo tali o finanziano e armano il terrorismo, o combattono chi lo combatte), dobbiamo soffermarci sul perché e su quali nemici dobbiamo sconfiggere.
Stando alla narrazione di destra (molto più chiara dell’ambiguità del centro sinistra) combattiamo contro gli islamici (“tutti gli islamici non sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”) e lo facciamo perché attaccano la nostra cultura e le nostre tradizioni per costringerci alla loro inciviltà; ma è davvero così?
Ci attaccano. Chi?
Ci sono alcuni criminali che per i loro scopi uccidono. Lo fa la mafia, lo fanno i terroristi (che a differenza di quanto viene detto sono anche cristiani come a Utoya o in Colorado), lo fanno i mercenari, lo fanno i governi,lo fanno mariti, le mogli, i figli ecc.
In questo caso ad attaccarci sono giovani europei che, anche se immigrati ormai di seconda o terza generazione, sempre europei sono. Poi ci sono quelli del Daesh, che ammazzano tutti coloro che sono ostili al loro modello e quasi esclusivamente nell’autoproclamato Stato islamico.
A quanto pare noi vorremmo combattere questi ultimi che , come detto, “minacciano la nostra cultura e la nostra religione a dimostrazione del fatto che le due civiltà non possono coesistere”.
Mi domando se davvero la cosiddetta civiltà occidentale non possa coesistere con quella islamica, considerando che questa presunta impossibilità si basa sul messaggio di “odio e distruzione” lanciato da 30.000 individui che pretendono di rappresentare oltre due miliardi di musulmani e da coloro che pretendono di rappresentare l’occidente.
30.000 fondamentalisti islamici di cui 22.000 mercenari (dati Foreign Policy); escludendo coloro che lo fanno per denaro, ci troviamo di fronte ad una guerra di religioni (o di culture, fate voi) costruita da 8.000 criminali islamici nel tentativo di modificare gli equilibri geopolitici.
Religione? Cultura?
Mah, sarà…
Il loro messaggio lo abbiamo sposato appieno, come, d’alto canto, questi stessi mercenari sposavano la tesi occidentale del “portiamo democrazia” quando in realtà eravamo interessati a ben altro.
In fin dei conti stiamo solo restituendo “il favore”.
Già parlare di guerra sembra eccessivo, ma parlare di guerra di religione o di civiltà, è proprio ciò che il Daesh sperava di ottenere.
Ci stiamo destabilizzando in casa nostra (considerando che siamo a 400 km in linea d’aria dalla Siria e che le conseguenze di questa storia si ripercuotono sulle nostre vite) per eliminare 8000 criminali islamici e 22.000 mercenari occidentali interessati a “entrare” nella grande economia globale.
Commercio di risorse, traffico di armi e di uomini, potere; le vere ragioni di un conflitto economico e politico spacciato per qualcosa di meno “imbarazzante” per le elite, ma potenzialmente in grado di accendere una guerra difficilmente spegnibile poichè fondata sulla menzogna.
Di recente abbiamo visto, grazie anche a trasmissioni come Report, come questo sia evidente anche in italia, il cui presidente del consiglio ha fatto di tutto per evidenziare gli ottimi rapporti tra il nostro paese e alcuni dei principali sostenitori del Daesh (il recente viaggio in Arabia Saudita ne è la testimonianza).
Abbiamo visto alleati come la Turchia più preoccupati di combattere i curdi anziché il terrorismo (di cui per la verità si è servito), abbiamo le ammissioni di “pezzi grossi” Usa (una su tutte Hilary Clinton) che ci raccontano i motivi per cui fino ad oggi il terrorismo è stato un ottimo alleato (lo è stato per limitare l’influenza sovietica prima e per limitare il potere di paesi sciiti – come l’Iran – poi), abbiamo visto il nostro Pil crescere ogni qualvolta scoppiava una guerra in qualche angolo remoto del sud del pianeta.
Il Sud adesso è terminato e quello stesso tritacarne chiamato liberismo adesso si abbatte sui paesi a “sud del nord”.
E’ complicato trovare il bandolo della matassa, perché oltre ad addentrarci in un territorio minato, in cui è necessario evidenziare contraddizioni, falsità spacciate come verità e manipolazioni, dobbiamo anche resistere ad una narrazione della destra diventata forte sapendo trovare uno spauracchio per una società occidentale che lentamente stava iniziando a mettere a fuoco il vero problema.
Per anni, mentre i governi tagliavano la sicurezza, stravolgevano la giustizia e garantivano cospicue entrate ai clan che sfruttano l’emergenza migranti, la destra non ha fatto altro che cercare di far passare il messaggio “immigrato=criminale”.
Mentre il caos esasperava le persone, la stessa destra ha iniziato a sfruttare la paura per indirizzare il malcontento verso l’immigrato (con la complicità dei media) che improvvisamente è diventato sinonimo di criminale.
Sdoganato il binomio “immigrato=criminale” è stato poi un gioco da ragazzi confondere le masse (estremamente condizionate dall’improvviso ritorno alla realtà dopo oltre quindi anni) convincendole che se gli immigrati sono dei criminali, e sono musulmani (come se lo fossero tutti, poi!) come si definiscono anche i terroristi, allora significa che l’Islam ci ha dichiarato guerra.
Siamo diventati “noi”, quelli in pericolo, e “loro”, gli aggressori; un “loro” peraltro generico e modellabile a seconda delle situazioni.
Nella fase islamofoba della destra, evidentemente non dev’ esserci posto per una narrazioni che richiami l’Europa (in particolare) a quei valori illuministi che sembriamo aver dimenticato sotto i colpi del neoliberismo più spietato, come non sembra esserci posto per una narrazione che sappia riconoscere gli errori del passato/presente (anche nostri) e che offra una risposta, che non sia la guerra, ad un problema di cui nessuno può dirsi non responsabile.
Evidentemente preferiamo andare “a la guerre”.
Combattiamoci e uccidiamoci, perché in fin dei conti è più importante non ammettere la strumentalità della narrazione di destra per mascherare il fallimento di un liberismo che ha basato tutto sulla capacità di odiarsi degli esseri umani.
Un modello di sviluppo fondato sul mercato della guerra e sul conseguente sfruttamento delle risorse.
Una “questione di pochi” che, manipolando la realtà per fini economici e politici, rischia di trasformarsi in una guerra di tutti ed è per questo che dovremmo stare lontani da qualunque narrazione che non preveda alternative di buon senso prima di condannarci a morte.
Nessuna guerra è legittima, tantopiù se prima non si è fatto il niente per evitarla; magari iniziando a bloccare il mercato (perlomeno quello ”regolare”) di armi e di uomini, ma soprattutto lavorando in occidente, affinchè si elimini l’ esclusione sociale e la ricattabilità (le banlieue francesi ne sono un esempio) a cui sono sottoposte milioni di persone che rischiano di trovare un “modello” più attrattivo rispetto al “niente” che gli stiamo offrendo oggi.
E questo non riguarda solo i migranti, ma anche milioni di cittadini europei, espulsi dai propri governi dalla possibilità di vivere la propria vita.
Serve lavorare sull’accoglienza (quella vera, non quella a fini di lucro) e sull’integrazione, perché per sconfiggere il terrorismo dobbiamo iniziare ad essere credibili in primis nei confronti di coloro che prima scappano dalle nostre bombe, ma che una volta “in salvo” non sanno come scappare da un modello di sviluppo costruito per imporre “la legge del più forte”.
Mentre osserviamo i preparativi per questo “scontro di civiltà”, con i fondamentalisti islamici che dichiarano guerra a mezzo mondo ed i “piccoli fondamentalisti occidentali in erba” (ben istruiti dalle destre messe a difesa delle elite) che la dichiarano all’altra metà, i commissari sovranazionali picchettano il proprio potere sfruttando al meglio ogni situazione (basti pensare allo stato di emergenza francese, che ha impedito a milioni di cittadini di porre l’attenzione sulla questione climatica,come denunciato anche dalla ministra dell’ambiente svedese, Åsa Romson ).
Nel frattempo, umilmente, continueremo a ricordare a tutti che esistono delle alternative, perché se questa generazione non sarà in grado di estirpare l’attuale classe dirigente (non solo nazionale) dobbiamo fare il possibile perché le generazioni future non debbano crescere in un mondo in cui devono per forza stare con qualcuno conformandosi ad un modello.
Anche perchè io non ho ancora trovato la differenza tra chi dice “attaccano la nostra religione, attaccano i nostri valori, ci ammazzano ecc…” per portare a casa qualche voto in più, e chi dice le stesse cose per sedurre quelle generazioni a cui è stato privato il diritto al futuro dal colonialismo liberista del XXI secolo.
Fonte: Esseblog
Originale: http://www.esseblog.it/2015/12/a-la-guerre/
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