di Nicola Borri
L’azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate di Banca Etruria, in seguito al salvataggio orchestrato dal governo e Banca d’Italia, ha suscitato grande attenzione mediatica e politica. Migliaia di risparmiatori hanno perso una fetta importante dei propri risparmi e, soprattutto, vi è la forte sensazione che molti di loro possano avere acquistato prodotti rischiosi, poco adatti al loro profilo di rischio, in quanto mal consigliati o addirittura, secondo alcuni, truffati, dalla banca. Ora il governo pensa di affidare al super-magistrato Cantone la risoluzione di arbitrati per verificare, caso per caso, come siano andate le cose e, eventualmente, rimborsare, seppur parzialmente, le eventuali vittime.
La vendita di obbligazioni bancarie alla propria clientela, pratica molto comune in Italia, solleva chiaramente una serie di problemi. Innanzi tutto, vi è un chiaro conflitto di interessi tra la banca, che ha l’interesse a vendere al maggiore prezzo possibile, e il risparmiatore che ha l’interesse esattamente opposto.
Vi è poi una enorme asimmetria informativa: la Banca conosce molto meglio del cliente i rischi inerenti alle obbligazioni vendute. Ecco perché, nel caso di Banca Etruria, bisognerà non solo capire se prodotti non adatti siano stati venduti a risparmiatori inconsapevoli, ma anche se il prezzo praticato riflettesse i reali rischi.
Vi è poi una enorme asimmetria informativa: la Banca conosce molto meglio del cliente i rischi inerenti alle obbligazioni vendute. Ecco perché, nel caso di Banca Etruria, bisognerà non solo capire se prodotti non adatti siano stati venduti a risparmiatori inconsapevoli, ma anche se il prezzo praticato riflettesse i reali rischi.
In una recente intervista televisiva, il direttore generale della Banca di Italia, Salvatore Rossi, ha detto che, probabilmente, bisognerà vietare la vendita agli sportelli di obbligazioni bancarie subordinate per risolvere il problema alla radice. Basterà?
In realtà, il problema è più profondo e legato alla scarsa concorrenza nel mercato (molto ricco e profittevole) del risparmio gestito in Italia. Per esempio, molte delle banche italiane controllano società di gestione del risparmio (Sgr) che gestiscono fondi comuni e gestioni patrimoniali offerte alla clientela. Anche in questo caso, il conflitto di interessi è evidente. Nulla vieta, infatti, a questi fondi, o a queste gestioni, di acquistare, ad esempio, proprio obbligazioni subordinate della banca madre. Prendiamo il caso del fondo Eurizon EasyFund Bond High Yield, gestito da Eurizon che fa parte del gruppo IntesaSanpaolo. Come dice il suo nome, questo è un fondo che investe in obbligazioni a alto rendimento, e quindi alto rischio. Se guardiamo ai titoli principali in cui investe, troviamo anche obbligazioni subordinate emesse proprio da Banca Intesa Sanpaolo (per circa 20 milioni di euro, o poco meno del 1 per cento del totale) con scadenza del 2026 (fonte Bloomberg). Niente di illegale o di irregolare, ma il conflitto di interessi è evidente e mi chiedo se i clienti che comprano quote di questo fondo siano sempre informati.
Naturalmente, il conflitto qui descritto non vale solo per il gruppo Intesa Sanpaolo, ma è invece comune all’intero sistema finanziario italiano. Inoltre, si estende ben al di la delle obbligazioni subordinate. Consideriamo il caso, ipotetico, di un gruppo bancario molto esposto verso un cliente in difficoltà. Chi ci assicura che i fondi gestiti dalle Sgr dello stesso gruppo non intervengano comprando titoli o obbligazioni del cliente in difficoltà, al fine di sostenerlo?
Situazioni di conflitto come quelle qui descritte sono molto comuni nell’industria del risparmio gestito italiano. Per risolverle, bisogna separare società di gestione del risparmio dalle banche commercialio, quantomeno, informare la clientela puntualmente di ogni possibile conflitto di interesse. Le autorità di controllo (Banca d’Italia e Consob) sono ben consapevoli di questi problemi. Viene il dubbio che non siano ancora intervenute perché la scarsa concorrenza del settore garantisce extra-profitti al sistema finanziario italiano e ne garantisce la stabilità nonostante i chiari problemi di governance e le difficoltà della nostra economia. Se così, a pagare il conto sono gli inconsapevoli risparmiatori italiani.
Fonte: Linkiesta
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