di Federico Giusti
Ormai il richiamo ai contratti nazionali è svuotato dai suoi significati pregnanti perchè in questi ultimi 20 anni gli stessi contratti sono stati progressivamente svuotati da deroghe, interventi legislativi miranti a ridimensionare gli spazi di contrattazione.
L'attacco al contratto nazionale a favore del secondo livello è entrato in una nuova fase che poi riguarda anche la stessa contrattazione.
C'era un tempo in cui il sindacato lanciava la sua piattaforma rivendicativa e su quella il padronato discuteva , oggi accade l'esatto contrario, ossia la piattaforma delle associazioni datoriali la fa da padrone e se guardiamo all'incontro di Federmeccanica Confindustria dei primi di dicembre si capisce bene quanto appena scritto.
Senza andare a scomodare la svolta dell'euro e la politica dei sacrifici di fine anni settanta, potremmo individuare l'inizio della crisi dei contratti nazionale con gli accordi interconfederali del 1992 e 1993, con cui non solo si abolì la scala mobile dei salari, ma anche s’imprigionarono le rivendicazioni salariali del Contratto Nazionale nella trappola dell’inflazione programmata e si sottomise ogni esigenza operaia al bieco interesse d’impresa.
Alle trattative per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici FIM/Cisl e UILM/Uil hanno presentato una piattaforma e la FIOM/Cgil ne ha presentata un’altra. Non più, però, quella approvata dal suo comitato centrale riunitosi il 10-11 luglio ma quella approvata il 23-24 ottobre, concepita dalla dirigenza Fiom per avvicinarsi alla piattaforma dei sindacati-stampella delle imprese Fim e Uilm!
Così, la piattaforma Fiom non ha avuto granché successo nelle fabbriche in cui è stata presentata, anche se, come dice un comunicato del sindacato, essa è stata approvata dal 93,8% dei lavoratori votanti.
Sarebbe utile e corretto riflettere su come si sono svolte queste assemblee e sul reale numero dei partecipanti, per farlo è sufficiente guardare in casa Cgil.
Citiamo a tal riguardo un comunicato dei delegati Fiom della Piaggio di Pontedera ove si afferma che sulla piattaforma non c’è stata informazione né discussione, che il referendum si è tenuto in fretta e furia, che la partecipazione al voto è stata ampiamente minoritaria (alla Piaggio, per esempio, solo il 25% dei dipendenti ha partecipato al voto e più di un terzo di loro ha votato NO). E dicono che questo è avvenuto perché la piattaforma accetta tutte le pretese di Federmeccanica. Quanto appena riportato è stato oggetto di un volantino distribuito in Piaggio e reperibile sul manifestino blog dei piaggisti stessi.
I dati nazionali rivelano che le assemblee si sono tenute in 4.050 aziende per un totale di 525.000 dipendenti (il 65% dei circa 800.000 addetti delle imprese aderenti a Federmeccanica); che al momento del voto erano presenti 425.000 lavoratori; che a votare sono andati in 238.000; che i SÌ sono stati 220.000, cioè il 93,8% dei voti validi.
Insomma, la piattaforma della Fiom ha ricevuto il SÌ da poco più del 25% dei lavoratori e delle lavoratrici metalmeccanici, , una cifra assai più modesta di quanto sbandierato da Landini per il quale la stragrande maggioranza degli operai avrebbe dato parere positivo.
In diverse fabbriche poi non sono mancati i voti contrari, solo in Toscana, alla GKN di Campi Bisenzio (FI) e alla Perini di Lucca, alle officine del polo logistico di Cascina (Pi).
Se la piattaforma della Fiom è stata accolta con tanto scarso entusiasmo, è perché concede limitazioni al diritto di sciopero, improntate all’aumento della produttività e della flessibilità del lavoro; rivendica aumenti salariali minimi e non uguali per tutti, ma in percentuale; “dimentica” di porre all’ordine del giorno la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Queste sono le contraddizioni in casa Fiom, per questo non sarebbe sbagliato pensare a piattaforme alternative con al centro la riduzione dei carichi e degli orari di lavoro, aumenti salariali uguali per tutti e capaci di riconquistare potere di acquisto reale.
Da qui la necessità di utilizzare la scadenza contrattuale per rendere la vita difficile a piattaforme compatibili con le istanze dei padroni ma non con i veri bisogni operai, per creare uno spartiacque tra chi asseconda i progetti padronali e governativi di rottamazione del Contratto Nazionale e quanti invece percepiscono la importanza di costruire un agire comune che vada oltre le sigle di appartenenza ma sia caratterizzato da rivendicazioni di classe e pratiche conseguenti.
Questa dovrebbe essere la sfida del sindacalismo di base, della minoranza interna alla cgil, di numerosi rsu.
Fonte: La Città futura
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