di Leonardo Boff
È in corso, a Parigi fino all'11 dicembre, la 21.ma Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (Cop21). Tutte quelle realizzate fino ad oggi hanno prodotto accordi mediocri, decisamente non all'altezza delle sfide poste dal problema globale. C'è una ragione intrinseca dell'attuale sistema socioeconomico globalizzato che impedisce di raggiungere obiettivi comuni e adeguati. È come il percorso di un treno: dipende dalla direzione stabilita delle rotaie, senza altra alternativa.
La metafora è applicabile all'attuale sistema mondiale. Le società globali continuano ad essere ossessionate dall'idea di una crescita illimitata, misurata dal Pil. Parlano di sviluppo, ma in realtà mirano alla crescita materiale.
La crescita appartiene ai processi vitali, ma sempre all'interno di determinati limiti. Un albero non cresce illimitatamente verso l'alto, né noi cresciamo fisicamente in maniera indefinita. Arriva il momento in cui la crescita si ferma, sostituita da altre funzioni.
La crescita appartiene ai processi vitali, ma sempre all'interno di determinati limiti. Un albero non cresce illimitatamente verso l'alto, né noi cresciamo fisicamente in maniera indefinita. Arriva il momento in cui la crescita si ferma, sostituita da altre funzioni.
Un pianeta limitato in termini di risorse e servizi non tollera una crescita illimitata. Abbiamo preso consapevolezza dei suoi limiti insuperabili. Ma il sistema non prende in considerazione questa realtà.
Lo ha espresso con grande chiarezza il cofondatore dell'ecosocialismo, il franco-brasiliano Michael Löwy. «A tutti i livelli, è allarme rosso: è evidente che la folle corsa dietro al profitto, la logica produttivista e mercantile della civiltà capitalista/industriale conducono ad un disastro ecologico di proporzioni incalcolabili; la dinamica della crescita infinita, indotta dall'espansione capitalista, minaccia di distruggere i fondamenti della vita umana sul pianeta» (Ecologia e socialismo, 2005).
La questione centrale, come ha evidenziato papa Francesco nella sua enciclica “sulla cura della casa comune” non sta nella relazione tra la crescita e la natura, ma tra l'essere umano e la natura. L'essere umano non si sente parte della natura, ma il proprietario che può disporne a suo piacimento. Non se ne prende cura né si assume la responsabilità dei danni provocati da una vorace crescita infinita, con il consumo illimitato che l'accompagna. Così procede rapidamente verso l'abisso, in quanto la Terra non sopporta più tanto sfruttamento e tanta devastazione.
Tra le tante conseguenze di questa logica perversa c'è il riscaldamento globale in continua crescita. Checché ne dicano i negazionisti, esistono due dati certi, stabiliti dal meglio della ricerca mondiale: primo, il riscaldamento è inequivocabile, non è possibile negarlo, basta guardarsi attorno per constatare gli eventi estremi che hanno luogo in tutto il pianeta; secondo, al di là della geofisica propria della Terra, che conosce fasi di riscaldamento e raffreddamento, l'attuale aumento della temperatura ha origini antropiche, è provocato dall'essere umano, è il risultato cioè dell'ininterrotto intervento umano sui processi naturali.
Il riscaldamento è fortemente intensificato dai gas a effetto serra: il vapore acqueo, l'anidride carbonica, il metano, l'ossido nitroso e l'ozono. Questi gas operano come una serra che conserva il calore qui in basso, evitando che si disperda verso l'alto e riscaldando di conseguenza il pianeta.
La lotta è per limitare l'aumento della temperatura entro i 2°C: un aumento che permetterebbe una gestione ragionevole in termini di adattamento e mitigazione. Per mantenerci entro questi limiti, gli scienziati ci dicono che dovremmo ridurre i gas a effetto serra di un 80% entro il 2050. La maggior parte delle persone ritiene che questo sia impossibile. Tuttavia, se, per responsabilità umana, la temperatura salirà di 4-6°C, la vita che conosciamo corre il rischio di scomparire e con essa gran parte della specie umana. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha avvertito recentemente: «Le attuali tendenze ci stanno conducendo sempre più vicino a potenziali punti di rottura, che ridurrebbero catastroficamente la capacità degli ecosistemi di fornire i loro servizi essenziali».
Questo è il bilancio: o cambiamo direzione o andremo incontro all'oscurità. Bisogna stabilire una nuova relazione con la Terra, rispettarne i cicli e i limiti, sentirci parte di essa, prendercene cura con processi di produzione e consumo che rispondano alle nostre necessità senza esaurire la sua biocapacità. Dobbiamo imparare a essere più con meno e ad assumere una sobrietà condivisa in comunione con tutta la comunità di vita, anch'essa bisognosa della vitalità della Madre Terra per vivere e riprodursi.
O opereremo questa «conversione ecologica» (papa Francesco), o il nostro cammino su questo piccolo e splendente pianeta si vedrà irrimediabilmente compromesso.
Fonte: Adista
Originale: http://www.adista.it/articolo/55734
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