La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 dicembre 2015

La jihad made in Usa contro l’Iran

di Stefano Zecchinelli
Il conflitto fra l’Arabia Saudita e l’Iran è diventato la linea di demarcazione fra l’imperialismo occidentale – con tutti i suoi Stati vassalli locali – ed i movimenti di liberazione nazionale che fanno capo alla Repubblica Islamica dell’Iran. L’osservatore superficiale dirà “Ma si tratta di due regimi capitalistici e per di più uno anche teocratico”. Si tratta però di una semplificazione, anche superficiale, delle cose: la realtà dei fatti è ben diversa.
Qual è oggi il ruolo sociale oltre che geopolitico dello Stato indipendente iraniano?
(1) La Repubblica Islamica dell’Iran nasce in seguito alla Rivolta antimperialistica che nel 1978-’79 rovesciò lo Scià Reza Pahlevi. La repressione della polizia segreta dello Scià fu brutale, portò ad un enorme spargimento di sangue, compresi gli assassinii mirati dei più prestigiosi esponenti della sinistra islamica e socialista. Rovesciato lo Scià le cose non andarono di certo verso una prospettiva socialista: Khomeini stipulò un patto con la borghesia del bazar, mentre, al contrario, la Rivoluzione trovò la sua coerentizzazione ideologica nell’ “Islam rosso” di Ali Shariati.
Khomeini certamente non rinunciò alla repressione dei comunisti ( mentre gran parte dei socialisti entrarono nei settori più radicali del mondo sciita ), determinato a non voler concedere un centimetro di terra e di sovranità nazionale tanto agli Usa quanto all’Urss. Ma tutto ciò è sufficiente per impedirci di fare un’analisi più approfondita sulla natura sociale e politica della Repubblica Islamica dell’Iran ? Certamente no. Possiamo anzi affermare che la rivoluzione conteneva un messaggio che andava decisamente oltre la sola questione nazionale.
Il governo khomeinista mise a punto importanti riforme sociali che garantirono al paese l’indipendenza nazionale. Le masse popolari, nonostante la repressione del Tudeh ( Partito comunista iraniano ), che il sottoscritto condanna fermamente, si radicalizzarono nuovamente durante il drammatico conflitto con l’Irak di Saddam. In quegli anni in cui lo sciovinismo baathista si scontrò con le ambizioni del clero reazionario islamico, si formò il gruppo di combattenti chiamati Devoti della causa: mentre i chierici gettavano via il turbante spaventati, questi militari salvarono la nazione dalla catastrofe impedendo alle truppe irakene, armate dagli Usa, di raggiungere Teheran. Si rinsaldò la consapevolezza che l’avvento del Mahdi dovesse essere preparato dagli uomini virtuosi e non dalla destra reazionaria e capitalistica. La dicotomia islamosocialismo/nazionalcapitalismo caratterizza tutt’oggi lo Stato iraniano.
(2) Khomeini, nonostante il suo marcato anticomunismo, condusse una politica estera lodevole: lanciò la “rivoluzione degli oppressi” ribadendo la centralità della liberazione della Palestina storica. Il ruolo di Israele, in quanto potenza imperialistica ( da lui definita Piccolo Satana ), era centrale nella sua elaborazione politica. Oggi non è un caso che l’Iran, in virtù di tutto questo, sia un interlocutore per importanti movimenti di liberazione nazionale e antimperialistici importanti: da Hezbollah alla Jihad islamica palestinese fino agli Houthi nello Yemen.
Resta un problema: l’Islam politico sciita si contrappone tanto all’imperialismo quanto al marxismo. Questa contrapposizione – marxismo/sciismo – può essere superata ? Solo il futuro potrà darci una risposta che al momento non sono in grado di dare.
(3) L’Iran indipendente e sovrano, dal 1978 ad oggi, ha conosciuto momenti di distensione e compromesso con l’occidente capitalistico. Le due cadute più grandi furono (a) lo scandalo Iran-Contras del 1986 e (b) gli accordi di Khatami con gli USA per la spartizione dell’Irak.
Terminata la distensione dell’era Khatami, il nuovo presidente Ahmadinejad ha rovesciato le carte sul tavolo costringendo l’imperialismo israeliano alla ritirata (a) dal Libano nel 2006, (b) da Gaza nel 2008 (c) ed obbligando il fantoccio Saleh, nello Yemen, ad abbandonare la scena nel 2011.
L’imperialismo americano e Israele, proprio contro il bastione sciita, hanno sempre fatto affidamento su Casa Saud e sul terrorismo wahabita. L’ISIS è il prodotto finale di questa ostilità: Washington e la monarchia saudita gettano oggi contro lo sciismo progressista la rabbia dei ceti sociali marginalizzati, quelli più arretrati culturalmente, manipolati da appositi “santoni” in stretto contatto coi servizi di intelligence occidentali. E’ spiacevole doverlo ammettere ma ampi settori popolari ed emarginati di un certo Islam sunnita, troppo spesso diventano (citando Marx) la ‘’fanteria leggera del Capitale’’, e in particolare, nel caso in questione, del: ‘capitale statunitense.
Il massacro degli sciiti, proprio per questo motivo, è la risposta delle classi dirigenti wahabite – spalleggiate da Usa e Israele – alla conflittualità sociale che, in quel quadrante, trova nell’Iran il massimo punto di riferimento per le forze progressiste ed antimperialiste. Non è un conflitto religioso ma politico e sociale.
Il sistematico massacro degli sciiti
Lunedì scorso Agorà Vox ha diffuso l’appello a re Salman, il “re demente” dell’Arabia Saudita, affinchè non si proceda all’esecuzione di tre attivisti per la democrazia e i diritti umani:”Affermiamo che i nostri figli non hanno ucciso né ferito alcuna persona e che le accuse nei loro confronti non sono state formulate in modo legale. Oltretutto, sono false” 1. I cinque attivisti erano stati arrestati nel 2012 per aver preso parte alle sacrosante manifestazioni antigovernative nella provincia orientale; temiamo anche l’esecuzione della condanna a morte di Ali al-Nimr, nipote dell’influente sceicco sciita Nimr Baqer al-Nimr, anche lui barbaramente ucciso.
Si tratta di una politica ferocemente repressiva all’interno di una vera e propria campagna del terrore che Casa Saud porta avanti contro tutti gli oppositori politici: quest’anno le condanne a morte sono state ben 150, lo scorso anno 90. I monarchi wahabiti hanno recentemente annunciato 50 esecuzioni; fra i condannati “Ci sono diversi abitanti di Awamiya, cittadina della zona orientale del regno, che dal 2011 è stata il centro della protesta della minoranza sciita contro la casa reale sunnita” 2.
Ali al-Nimr sarà crocifisso, accusato di far parte di una organizzazione antigovernativa. Domanda: come può l’opinione pubblica occidentale tollerare un governo imperialista e liberticida come quello wahabita ? Dalla giornalista di Nena News, Sonia Grieco, apprendiamo che “A complicare la posizione del ragazzo è anche il suo albero genealogico: al-Nimr, infatti, è il nipote di un famoso imam sciita (Shaykh Nimr Baqr an-Nimr), noto oppositore della monarchia sunnita wahhabita saudita e che, per il suo pubblico dissenso, fu imprigionato e decapitato agli inizi delle rivolte arabe scoppiate nel 2011”.
Il massacro dei musulmani sciiti va avanti anche altrove. L’organizzazione Shia Rights Watch ci comunica che solo nella prima metà del 2014 sono stati uccisi più di 4000 sciiti di cui 3794 in Irak per mano delle orde dell’ISIS. Una vera tragedia – non ci sono altre parole per definirla – eppure il mondo tace ed il governo italiano continua, vergognosamente, a vendere armi a Casa Saud. Matteo Renzi non si sente corresponsabile dei crimini di re Salman e dello sceicco (sceicco della CIA !) Al Bagdadi ?
Lo studioso del mondo musulmano di formazione liberale, Giovanni Giacalone, in seguito ad una semplice analisi dei fatti, riscontra continui assassinii mirati ai danni di autorità religiose vicine all’Iran e una sistematica profanazione dei luoghi di culto sciiti. Leggiamo da un suo interessante articolo:
‘’Lo scorso 11 giugno la guida religiosa Sayed Reza Bahtani e famiglia, originari di Samarra, sono stati massacrati, insieme a un’altra famiglia, dai terroristi dello Stato Islamico, mentre erano sulla strada per Najaf. Il 2 luglio i jihadisti hanno preso di mira per la terza volta il mausoleo di al-Askari, che ospita la tomba di due imam sciiti, uccidendo sei fedeli e ferendone altri. Il 6 giugno 54 sciiti sono stati massacrati in un attacco dello Stato Islamico a due mausolei di Samarra; i terroristi hanno successivamente occupato alcune moschee della città. Il 4 giugno lo Stato Islamico ha preso di miral’ospedale di Hilla, uccidendo 14 persone e ferendone una sessantina. Il giorno prima una serie di bombe sono esplose in alcune zone commerciali sciite a Najaf, Iskanadriyah, Nasiriyah e al mercato di Mahmoudiyah. Il 29 maggio una serie di ordigni piazzati a Sadr City e Mosul hanno causato una sessantina di morti, mentre quattro giorni prima è toccato a 35 pellegrini sciiti che si recavano alla commemorazione dell’imam Mousa al-Kazim’’
L’articolo di Giacalone, sempre estremamente documentato, sopra menzionato, dal titolo Il massacro degli sciiti. Ma il mondo guarda solo ad Israele , ha un solo difetto: non mette in relazione lo sterminio degli sciiti con il loro coerente antimperialismo e con le politiche di Israele che è uno degli assi centrali dell’imperialismo nell’area..
In Egitto, nel 2013, Morsi appoggiò il primo pogrom antisciita della storia egiziana e altre forme di repressione sono avvenute in Libia, Tunisia e Bahrein. Taciuti dai mass media sono inoltre i continui insulti all’Iran e allo sciismo che impazzano sui social network europei e anche italiani da parte di presunti neoconvertiti all’Islam sunnita. A cosa si deve questo processo di indottrinamento verso persone deboli culturalmente che, poi, dal nulla si trasformano in manovalanza per il terrorismo wahabita ? Bahar Kimyongur, come molti sapranno, ha segnalato più volte il problema dell’euro-jihad, ma nessun politico europeo le ha mai prese in considerazione. Come mai?
La lotta contro il terrorismo dell’ISIS trova nella dialettica sciismo progressista/etnicismo sunnita il suo più importante risvolto. Le parole chiave, però, non sono “sciismo” e “sunnismo” ma “progressismo” ed “etnicismo”. Il punto di partenza è sempre uno: la conflittualità fra gruppi sociali i quali utilizzano la religione, solo ed esclusivamente, per connotarsi politicamente all’interno del campo di battaglia. Non si tratta di ‘’scontro di civiltà’’ ma di scontro ma modelli di sviluppo antitetici.

Fonte: linterferenza.info

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