Il barile del porco – per dirla all’americana, e ricordarci che non siamo i soli ad assaltare le casse pubbliche per microscopi elettorali – stavolta è stato raschiato fino in fondo. La legge di stabilità per il 2016 pullula della più varia umanità, divisa per categorie enti settori e territori, ciascuno con la sua brava voce di spesa, inserita fino all’ultimo minuto utile nel corpo della manovra. Che viene ad avere tanti beneficiati da diventare quasi una legge ad personas.
Una brutta legge, a cominciare dal suo aspetto fisico, che è un corpaccione abnorme: un solo articolo, composto di 556 commi. Si fa così, ormai da anni, per rendere più facile al governo mettere la fiducia grazie a un altro mostriciattolo, il maxiemendamento, e più rapido il relativo voto, prima di partire tutti per le feste. Forestali calabresi e possessori di yacht, patron di squadre di calcio e gallerie locali, aeroporti e ferrovie privatissime, e fondi per la montagna: nel pork barrel all’italiana c’è di tutto.
Il rituale assalto alla diligenza della manovra economica è così vecchio da farci quasi annoiare e dimenticare quanto c’è di nuovo, nell’Italia a metà degli anni Dieci, a sette anni dall’inizio di una grande crisi che la guida di governo ha archiviato come un retaggio del passato o un passatempo da gufi.
Il primo fatto nuovo è proprio nell’eterno ritorno della legge-mancia. È vero che l’abitudine di inzeppare la manovra annuale di bilancio con tutto lo spendibile non è mai morta: troppo ghiotta l’occasione, rapido il percorso e affollato abbastanza da poter mimetizzare provvedimenti che magari, presi da soli e messi sotto i riflettori, non passerebbero. Ma per qualche anno, complice lo stile e la sostanza dell’austerity, il grande mercato si era svolto in tono minore e con molti meno stand.
Stavolta c’è un ritorno ai fasti del passato; e per l’occasione è stato rispolverato a Roma tutto l’arredo democristiano da prima repubblica. Perfettamente speculare a quello disvelato, in provincia, dalla fitta rete di intrecci politico-professionali-affaristici etruschi e toscani. Una politica come arte dello scambio, sempre più costretta a esercitarsi nell’arena dei piccoli favori poiché i giochi grandi si fanno altrove.
Il secondo fatto nuovo è nella macroeconomia che fa da cornice alle micromance. Quella per il 2016 è una manovra espansiva, spiega il servizio studi della Camera nelle schede che mettono a disposizione di tutti i 556 commi dell’opera. Vale a dire: si fa in deficit, sfruttando tutti quei margini di flessibilità che l’Europa ha accordato. Anche qui, un po’ democristianamente, si fa la regola e si trovano le eccezioni: una clausola per buona condotta (se ci si impegna a fare riforme strutturali), una per gli investimenti, un’altra per i migranti. Tutto ciò permette al governo di indebitarsi per circa 15 miliardi, e questo è il grosso della manovra.
Sarebbe una buona notizia – un po’ di deficit spending contro la crisi, anche se molto tardivo, non guasta. Se si trattasse, però, di un investimento che ritorna alla collettività. Invece per la gran parte il nuovo debito andrà a evitare nuovi aumenti di tasse e tariffe, ossia quei rincari automatici a suo tempo innescati da Monti proprio per contrastare una crisi del debito pubblico. Quel che resta andrà in una miriade di piccoli sgravi fiscali, il più consistente dei quali è a favore dei proprietari di prima casa.
Misure di scarso impatto per il rilancio dell’economia – lo dicono la Commissione europea e la Banca d’Italia –, che hanno un impatto redistributivo regressivo, ma che sono, nelle intenzioni del governo, di grande popolarità. Così come potrebbe esserlo, presso alcune categorie sociali non proprio innovative, l’innalzamento del tetto massimo per l’uso del contante. Del resto le mance, almeno da noi, si danno cash.
Fonte: pagina99
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