di Salvatore Primiceri
In attesa di entrare nel vivo della fase congressuale che porterà all'elezione del primo segretario di Possibile, la formazione politica fondata da Pippo Civati discute dei rapporti con le altre forze di sinistra in vista soprattutto delle prossime elezioni amministrative.
E' lo stesso Civati a sgomberare il campo da equivoci e a chiarire ancora una volta il senso e lo scopo di Possibile e quali debbano essere gli interlocutori con cui il nuovo partito dovrà confrontarsi.
"Se non stai con il Pd, non stai con il Pd", tira dritto Civati che spiega in un suo articolo pubblicato sul suo blog: "Se ne rifiuti le politiche degli ultimi anni, se voterai contro in occasione del referendum sulla Costituzione che, in virtù di una cultura repubblicana che fa spavento, il premier sta trasformando in un plebiscito tipo il peggior de Gaulle, se pensi che le soluzioni individuate finora e le persone scelte per governarle siano in alcuni casi sbagliate in altri pessime allora non ti allei per sostenerle".
E ancora: "Il PD si é trasformato in qualcosa di molto diverso, ha freddato Marino nel romanzo capitale, ha allargato a Ncd un po’ dappertutto (dalla Sicilia risalendo la Penisola), fa primarie a cui possono partecipare anche esponenti che non sono di centrosinistra (tanto cosa volete che sia), discute con Tosidi eventuali scenari locali e nazionali, ha prorogato le larghe intese sine die affidandosi al sostegno (decisivo) di parlamentari che erano più berlusconiani di Berlusconi, trasformando il tutto in una fantastica operazione politica, rispetto alla quale Bersani sembra uno del Chiapas".
La prima parola d'ordine di Possibile è quindi "autonomia" e libertà dai condizionamenti.
Partendo dal giudizio su PD e Renzi, occorre quindi capire quanti lo condividono e quanti siano disposti a unire le forze.
Possibile non vuole creare - spiega ancora Civati - "un rassemblement di parlamentari o di dirigenti vecchi e nuovi, ma un processo completamente diverso che nasca da battaglie da vivere fuori dal Palazzo, come abbiamo provato a fare con i referendum".
L'unità è quindi Possibile e Civati spiega di averla sempre ricercata "fin da quando abbiamo invitato tutti a partecipare a uno schema che partisse dalle comunità locali, dove collaborare e costruire militanza e quindi anche quelli che una volta si chiamavano dirigenti politici. Dirigenti politici di nuovo segno, però, interessati soprattutto alla questione della sovranità e della rappresentanza".
In questa unità non c'è spazio per il PD. Conclude Civati: "La formula di Possibile ha promesso e sta cercando di realizzare un lavoro civico, città per città, paese per paese, in cui la politica riconosca la propria parzialità. Liste di senso civico e politico, fondate su principi chiari e condivisi, e un lavoro appassionante. In cui non siano importanti le targhe, le sigle, i simboli, ma il concetto (e il cuore e le gambe) di chi partecipa. Senza attendere le primarie degli altri, ma avviando consultazioni proprie. Senza aspettare che prevalga questa o quella corrente, senza cercare di capire se la propria città fa parte dell’accordo con il Pd oppure no".
E infine annuncia sorprese e percorsi importanti già avviati in città come Ravenna, Crotone, Torino, Trieste, Roma e Milano.
Le città ideali di Possibile dovranno essere luoghi dove non ci siano periferie escluse dal centro, dove la questione sociale (reddito e casa) siano assunte come prioritarie, dove ci si difenda dall'attacco tardo-liberista ai servizi pubblici (qualsiasi servizio pubblico), dove si smantellino ceti di potere e si chiuda con gli sperperi (oligarghici). Dove si lotti palmo a palmo contro le disuguaglianze e contro le discriminazioni, per la trasparenza e per la condivisione degli spazi, delle opportunità, dei tempi. Città che chiudano con la stagione del cemento e puntino tutto sull'efficienza energetica e la valorizzazione ambientale, che cambino definitivamente la politica dei rifiuti, che diano voce agli esclusi (e quindi assenteisti dal voto, come spiegavamo con Andrea Pertici in Appartiene al popolo).
Città dove i sindaci contrastino le politiche sbagliate che riguardano gli enti locali (e un po' tutto il resto) e non le assecondino con entusiasmo, come sta sorprendentemente (ma anche no) accadendo da anni. Città in cui l'innovazione sia prima di tutto culturale e sociale, perché sono la stessa cosa.
Città in comune, come quella Barcellona di cui tutti (stra)parlano.
Fonte: agoravox
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