La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 12 gennaio 2016

Colonia: il buio oltre la siepe

di Fabrizio Marchi
“Il buio oltre la siepe” è il titolo di un bellissimo film del 1962 diretto da Robert Mulligan e interpretato da un bravissimo Gregory Peck, ispirato all’omonimo romanzo della scrittrice Harper Lee.
Entrambi narrano la storia di un avvocato che in Alabama, cioè nel profondo sud degli Stati Uniti, difende un giovane nero ingiustamente accusato di aver violentato una donna bianca (era un classico, in quei tempi, non so quanti neri – ma anche tanti italiani – sono stati impiccati o linciati in America con la stessa falsa accusa…). Nonostante avesse fornito le prove dell’ innocenza del suo assistito, il pur bravo avvocato non riuscirà a prevalere sui pregiudizi razziali e “culturali” dei componenti della giuria (opportunamente imbeccata dalla pubblica accusa e dal presidente del tribunale) che finirà per condannare il giovane, il quale, a sua volta, consapevole che nessuno avrebbe mai creduto alla sua innocenza, tenterà di evadere durante un trasferimento da una prigione all’altra e verrà ucciso da una guardia. Ma chi ha ucciso quel ragazzo nero non è il poliziotto che gli ha sparato bensì il contesto sociale che lo aveva già preventivamente giudicato e condannato.

In molti (sia a destra che a “sinistra”) obietteranno:”Si, va bene, ma che c’entra con quanto accaduto a Colonia?”. C’entra, perché basta sostituire il nero con l’immigrato, mussulmano e maschio, per ottenere lo stesso risultato.
E’ questo, oggi, il combinato disposto che non lascia spazio a dubbi, che deve servire a tacitare ogni possibile critica e soprattutto a coprire ogni “spazio” politico, da destra a “sinistra”. Mussulmano/immigrato e maschio è già di per sé un indizio di consapevolezza. Perche se è vero che “in ogni uomo c’è un potenziale stupratore”, come recitava un celebre slogan femminista, e che “la violenza è maschile”, come continuano ancor oggi a insistere le giaculatorie del neofemminismo mediatico-politico ormai largamente dominante, è altrettanto vero (si fa per dire…) “che se non tutti i mussulmani sono terroristi, di certo tutti i terroristi sono mussulmani” (questa è invece è una fra le più ricorrenti filastrocche dei destri e dei “neodestri”). E siccome i mussulmani, oltre ad essere dei potenziali terroristi, sono anche portatori sani (ma infettivi) di una cultura patriarcale e maschilista, nel loro caso la presunzione di colpa raddoppia.
Naturalmente le due versioni si alternano in un ormai collaudato gioco delle parti. La destra (la scriviamo senza virgolette perché in effetti proprio di destra si tratta) criminalizza il mussulmano (e l’immigrato), la “sinistra” (le virgolette sono invece d’obbligo in questo caso perché l’attuale “sinistra” null’altro è se non una delle facce della medaglia dello stesso sistema capitalistico) criminalizza il maschio in quanto tale, indipendentemente dalla sua cultura di appartenenza. Anche perché -così spiegano – il maschilismo e il patriarcalismo non hanno nazione (una volta – bei tempi! – lo si diceva del proletariato…) perché appartengono appunto – come non ha perso occasione di ribadire uno dei leader di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero (ma vale per tutti gli altri esponenti della “sinistra”, nessuno escluso) – “alla subcultura maschilista e patriarcale che considera la donna un oggetto di cui disporre a piacimento, e questo per tutta la popolazione maschile di tutti i continenti, colori della pelle e religione”(http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=20911 ). Complimenti a lui, verrebbe da dire, perché da un certo punto di vista è un passo in avanti quello che ha compiuto, con il quale va a collocarsi su “equilibri più avanzati” (ca va sans dire) rispetto a quelli di tanti suoi colleghi di “sinistra”che ancora si ostinano a criminalizzare “soltanto” il “maschio bianco, occidentale e tendenzialmente cristiano (per lo meno per “difetto di origine”…)”.
In parole ancora più povere, la destra, cioè la finta opposizione al sistema, in realtà anch’essa un’altra delle facce della medaglia (per la verità è un poliedro, più che una medaglia) dello stesso sistema capitalista (in ogni caso più coerente rispetto alla “sinistra”) criminalizza l’immigrato, di colore e mussulmano (comunque maschio, perché anche per la destra vale ciò che vale per la “sinistra”, nel caso dei maschi immigrati e mussulmani) mentre alla “sinistra” il compito di criminalizzare il bianco, occidentale e, per lo meno in linea teorica, come dicevo prima, cristiano (nel senso che in Occidente, che ci piaccia o no – come sostiene anche il laicista Cacciari – non possiamo o non potremmo non dirci cristiani), sempre e comunque maschio, anche in questo caso.
I fatti di Colonia devono però aver provocato un salto di qualità all’interno dello schieramento di “sinistra e progressista” del sistema, per lo meno a giudicare dalle dichiarazioni di alcune delle “maitre a penser” del femminismo e del neofemminismo nostrano, dalla Maraini alla Zanardo, dalla Terragni fino addirittura alla Annunziata (che, tutto sommato, rispetto ad altre, non si era fatta notare per particolare ardore ideologico femminista). Andiamo un po’ a vedere cosa dice proprio quest’ultima (le dichiarazioni delle altre, in fondo, sono più scontate). Riporto un paio di passaggi del suo articolo (di seguito il link onde evitare che qualcuno ci accusi di estrapolare degli stralci al fine di decontestualizzarli a fini manipolatori: http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/blog-direttore_b_8920534.html )
“La prima idea su cui lavorare per il futuro non è forse difficile da individuare perché è un po’ nelle cose: costruire un doppio percorso nella accoglienza. Dare priorità e immediata accettazione alle famiglie, ai bambini, alle donne, agli anziani. In qualunque condizioni e per qualunque ragioni arrivino. Costruire invece un percorso più lungo e approfondito per le migliaia di giovani uomini che per altro costituiscono la stragrande maggioranza anche degli illegali e clandestini. Davvero tutti questi giovani uomini sono in bisogno immediato e irreversibile di rifugio?” E ancora:” Le regole attuali, e possono essere migliorate, forniscono già la definizione per distinguere coloro che hanno diritto all’asilo politico; ugualmente esistono chiari requisiti necessari per poter invece entrare in un paese come immigrato. Intorno a queste definizioni vanno costruite barriere successive per fare dell’ammissione in un paese un lavoro di “integrazione” che cominci ben prima della stessa entrata”.
Il messaggio e l’invito esplicito della Annunziata sono molto chiari, sia pur camuffati tra le pieghe di un discorso più ampio, articolato e anche abile (non è certo una sprovveduta) sui valori e sulle libertà conquistate dalle donne nella nostra parte di mondo (libertà che sono state conquistate a un carissimo prezzo anche e forse soprattutto grazie al contributo degli uomini, ma questo è un “particolare” su cui si può sorvolare) che potrebbe ingannare i meno avveduti: porte spalancate alle immigrate e alle rifugiate femmine (comunque innocenti per definizione, anche perché vittime del dominio maschilista e patriarcale anche e soprattutto nei loro paesi) e porte tendenzialmente (e soprattutto pregiudizialmente) chiuse agli immigrati e ai rifugiati maschi, a condizione che….
E quali sarebbero le condizioni per aprire anche agli immigrati di sesso maschile le porte della terra promessa, cioè del democratico e liberale Occidente? In cosa consisterebbero quel “doppio percorso” e quelle “successive barriere” (l’appartenenza sessuale?…) a cui la Annunziata fa riferimento? La risposta non è chiara né potrebbe, a mio parere, esserlo. Di certo, la sua posizione trasuda sessismo (antimaschile) da ogni poro anche se, a mio parere, goffamente camuffata.
Più o meno sulla sua stessa lunghezza d’onda il suo collega Pierluigi Battista, benpensante democratico moderatamente “progressista” che dalle colonne del Corsera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/quelle-donne-libere-umiliatea-colonia-dal-fanatismo/ ci spiega che:” Colonia ha lo stesso significato di aggressione simbolica dell’irruzione fanatica nella redazione di Charlie Hebdo : lì veniva scatenata un’offensiva mortale contro la libertà d’espressione, considerata un peccato scaturito nel cuore del mondo infedele; qui contro la libertà della donna, la sua emancipazione impossibile e temuta in contesti culturali che danno legittimazione ideale e persino religiosa al predominio e alla sopraffazione del maschio”.
Ancora una volta assistiamo alla sovrapposizione fra terrorismo “islamico” (quindi i bombardamenti della NATO in Irak, Afghanistan, Libia, Siria, ex Jugoslavia sono bombardamenti “cristiani”?…) e “cultura” maschilista. L’Occidente viene attaccato nel suo cuore – spiega Battista – cioè la libertà di espressione e la libertà della donna. Sarà per questo che da un secolo circa, i popoli arabi e/o mussulmani, oscurantisti, maschilisti e patriarcalisti, si prendono sulla testa le democratiche e liberali (nonché intelligenti) bombe dell’Occidente, a cominciare da quelle della Francia e, a seguire, di Gran Bretagna, USA e naturalmente Israele (e ora anche quelle dell’Arabia Saudita, che è vero che è oscurantista e medioevale ma date le circostanze si possono chiudere tutti e due gli occhi…).
Ma i fatti di Colonia hanno anche e soprattutto un altro risvolto, assai “delicato” se non scabroso. Cos’è infatti che desta tanto scandalo? Il fatto che ad essere state vittime di quelle violenze siano state delle donne. Perché se gruppi di balordi, immigrati o autoctoni, ubriachi o sotto l’effetto di sostanze (o anche no) avessero aggredito dei tedeschi maschi e gli avessero rubato il portafogli e il telefonino o anche se gli avessero palpato il sedere (o anche di peggio), la fanfara mediatica non avrebbe suonato la stessa musica. Nel 1993, a Rostok , la casa di una famiglia turca fu data alle fiamme da alcuni skinheads e rimasero uccise cinque persone. Tre anni dopo, a Lubecca, un gruppo di neonazisti appiccò il fuoco ad un ostello e 10 immigrati morirono bruciati vivi. In Italia, a Castel Volturno, nel 2008, sei immigrati africani furono massacrati senza nessuna ragione in un agguato camorristico. Si tratta soltanto di alcuni episodi, fra i più clamorosi, la punta dell’iceberg di una violenza diffusa, più o meno quotidiana, e di diversa natura, che coinvolge tante persone, uomini e donne, e non certo solo gli immigrati. Dalle guerriglie urbane fra gruppi di ultras e fra questi e la polizia che esplodono più o meno sistematicamente fuori degli stadi con esiti spesso tragici, alle maxirisse dentro o fuori le discoteche per futili motivi che finiscono a colpi di coltello nell’addome (quando non si sparano) con esiti altrettanto tragici, alle infinite e variegate forme di violenza diffusa presente nei quartieri popolari e nelle periferie delle metropoli e tant(issim)o altro ancora, l’elenco sarebbe interminabile.
Se volessimo ampliare, di molto, il discorso (ma lo faremo con un successivo articolo ad hoc), pochissimi sanno che negli USA (ma anche in tanti altri paesi del mondo dove vige la pena di morte) dal 1976 allo scorso anno sono state “giustiziate” 1359 persone di cui 13 donne (e ovviamente 1346 uomini), pari allo 0,96 sul totale. Una sproporzione a dir poco stupefacente (che non non può essere casuale) che a parti invertite, a dir poco, avrebbe già provocato (giustamente…) il finimondo.
Eppure tutta questa violenza di cui le società occidentali sono intrise (a mio avviso forse addirittura in misura maggiore rispetto ad altri contesti sociali e culturali), e neanche quei tragici fatti a sfondo razzistico a cui accennavo prima e che hanno portato alla morte orribile per combustione di tante persone, hanno suscitato e suscitano tanto scalpore e tanta indignazione, moltiplicata all’ennesima potenza dai media, rispetto a quanto ne hanno suscitata gli accadimenti di Colonia. Lungi dal sottoscritto voler minimizzare quanto accaduto, però non mi pare (e so che questa affermazione scandalizzerà molte/i) che sia successo qualcosa di eccezionalmente più grave rispetto a quanto descritto poc’anzi e ai livelli di violenza che vengono raggiunti in tanti altri frangenti.
Ci sono state molestie sessuali, furti, atteggiamenti intimidatori e violenti non però culminati in atti di vera e propria violenza fisica. A quanto risulta nessuna/o è stata/o malmenata/o o percossa/o né sessualmente violentata (al momento in cui scriviamo, a distanza ormai di molti giorni, ci sono solo denunce per molestie e per furto, non per violenza sessuale), non ci sono stati morti, né feriti, né gente finita all’ospedale con ferite più o meno gravi di arma da taglio, corpi contundenti o altro ancora. Tutto molto grave, certo, ma certamente non più grave di tanti altri episodi o fenomeni di violenza, individuale o di massa, a cui siamo purtroppo abituati che però non provocano la stessa reazione da parte dei media.
E allora perché tanto scalpore? Per una ragione molto semplice. Perché la violenza sulle donne non è tollerata. Tutte le altre forme di violenza, di fatto, lo sono. Perfino quella sui minori non ha la stessa eco sui media. Eppure sappiamo che esiste ed è molto diffusa, soprattutto nelle scuole e all’interno delle famiglie, perpetrata dagli uomini e molto spesso (se non il più delle volte) dalle donne, dalle madri, dalle insegnanti, dal corpo docente e dal personale impiegato nelle scuole materne ed elementari, pressoché tutto al femminile. Perfino quella sugli anziani, sui malati e sulle malate, è agita prevalentemente da donne, non certo perché sono più “cattive” degli uomini ma solo perché, percentualmente, sono impiegate in misura molto maggiore rispetto agli uomini ai lavori di cura della persona (vale naturalmente anche per la scuola).
Eppure tutte queste forme di violenza non trovano la stessa risposta da parte dei media. Un evento come quello di Colonia, grave ma certamente non gravissimo (per lo meno se comparato a molti altri), è stato deliberatamente ingigantito dai media.
La ragione di ciò? Più d’una. C’è chi sostiene si sia trattato di un atto organizzato e premeditato (come appunto sostiene anche la Annunziata), una sfida non si sa bene concepita e promossa da chi (da una centrale “islamica”, dallo Stato Islamico, da gruppi jihadisti? Da chi?) all’Europa e in particolare alla Germania, una sorta di avvertimento, di minaccia, per la serie “Questa è solo un’avvisaglia, un antipasto rispetto a quello che potremo farvi nel prossimo futuro”. Sarebbe a questo punto lecito interrogarsi chi è che sarebbe interessato a organizzare tutto ciò. Il fantomatico “mondo islamico” (concepito come un unico indistinto minestrone) che non significa assolutamente nulla? O forse l’Arabia Saudita (fedele alleata del’Occidente) o l’Iran degli ayatollah con le loro barbe e i loro turbanti?
Poi c’è un’altra tesi, che potremmo definire “complottista”, comunque sicuramente meno peregrina della precedente, che è quella di chi sostiene che ci sia una regia occulta (e neanche tanto…) dietro ai fatti di Colonia. La tesi sostiene che negli USA in parecchi vorrebbero levarsi di mezzo la Merkel, perché le sue politiche di apertura nei confronti dei rifugiati, in particolare di quelli provenienti dalla Siria, creerebbero degli squilibri in tutto il continente europeo http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Ftrib.al%2FNyN5zSI&h=WAQFhuROP&s=1 ma in realtà, questo il non detto, molto più probabilmente perché la Merkel non sarebbe poi così convinta di fare la guerra a Putin e questo, naturalmente, non sarebbe ben visto dagli americani.
Poi c’è invece chi pensa che quella di Colonia sia in tutto e per tutto una cosiddetta “falsa flag”, cioè un’operazione studiata ad arte per condizionare l’opinione pubblica europea e fargli ingoiare i prossimi inevitabili interventi militari della NATO in Medio Oriente. Quest’ultima non è di per se campata per aria ma, a mio parere, si tratta di un effetto o di uno degli effetti di quanto accaduto, non la causa.
La mia opinione, molto più semplice, è che il sistema politico soprattutto mediatico occidentale, cioè quella che può essere definita come una vera e propria “fabbrica del consenso”, sia ormai completamente colonizzato dall’ideologia politicamente corretta, di cui il femminismo o “neofemminismo” rappresenta uno dei mattoni fondamentali. Per rendersene conto, qualora ce ne fosse il bisogno, è sufficiente osservare questa vignetta di Vauro che il quotidiano Libero ha scelto, polemicamente con l’autore, di pubblicare (è la stessa che abbiamo pubblicato anche noi) e soprattutto leggere il breve commento dell’articolista: http://www.liberoquotidiano.it/news/sfoglio/11866239/vauro-vignetta-stupri-colonia-capodanno.html#.VpJQbf5DReU.facebook
Avete capito? La vignetta, secondo l’autore dell’articolo (un giornalaccio della peggior destra, per quanto mi riguarda), sarebbe uno sfregio alle donne di Colonia, non agli uomini (in questo caso occidentali), di fatto equiparati da Vauro stesso ad un branco di stupratori con tanto di crocifisso al collo.
La “fabbrica del consenso”, come vediamo ideologicamente trasversale (da Libero al Manifesto passando per il Corsera e Repubblica), serve a produrre una sola narrazione ideologica. Quella stessa narrazione viene poi strumentalmente utilizzata o declinata in base ai rispettivi interessi di bottega di questa o quell’altra cordata politica (di destra o di “sinistra”). Ma queste sono frattaglie.

Fonte: linterferenza.info

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