La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 20 gennaio 2016

“Fare la differenza”. I ventenni italiani di fronte alla politica

di Nicolò Bellanca 
1. Nella sua recente monografia, Elisa Lello distingue tra “giovani” (i ventenni) e “giovani adulti” (che arrivano ai trentacinque anni).[1] Nell’Italia odierna, basta un modesto scarto di età a esprimere differenti traiettorie collettive. Quando i “giovani adulti” erano adolescenti, dalla metà degli anni ’90 agli inizi del XXI secolo, hanno vissuto il berlusconismo rampante, assorbendone il vacuo messaggio ottimistico; in seguito hanno dovuto misurarsi con il precariato lavorativo, la riduzione dei diritti e l’incertezza esistenziale, diventando così unagenerazione delusa. Al contrario i “giovani”, la categoria su cui qui ci concentriamo, adolescenti ai tempi del declino di Berlusconi e del governo “austero” di Mario Monti, nemmeno hanno iniziato a nutrire speranze e a lottare per i propri sogni. Essi sono i ragazzi di una generazione disillusa: esprimono la rassegnata convinzione che molti di loro otterranno posizioni sociali ed economiche peggiori di quelle dei genitori, e che, per ciascuno di loro, la più efficace strategia consista nel limitare le proprie aspettative e nello sfruttare le relazioni familiari per inserirsi nel territorio in cui si è cresciuti.
Accanto ai trentenni e ai ventenni, ovviamente, incontriamo gli adulti; ma spesso, documenta Lello, gli italiani di età “matura” tendono a comportarsi come se i ruoli, le responsabilità e la considerazione di se stessi dovessero e potessero restare sempre quelli che avevano quando erano ragazzi. Provando a sintetizzare con una battuta schematica, viviamo in un paese nel quale i giovani nascono già vecchi mentre i vecchi si atteggiano a giovani. 
2. Quest’analisi sociologica, che nel libro si dipana in maniera ben più sfumata e articolata, aiuta a comprendere ciò che accade ai giovani nella sfera della cittadinanza. Tra i ventenni di oggi, «come, in ambito privato, i sogni vengono sostituiti da obiettivi concreti e materiali, in modo simile prende piede una visione della politica vista come gestione tecnica dello status quo, dove non c’è spazio per gli ideali – che, in fondo, sono un po’ la trasposizione in ambito pubblico dei sogni – né, quindi, per la possibilità del cambiamento. Non si tratta di raccontare, ancora una volta, la fine delle ideologie: i giovani hanno fatto un passo più in là. Perché il loro rifiuto non si rivolge solo verso le ideologie tradizionali, bensì investe la possibilità stessa di immaginare – sognare, appunto – un futuro dai contorni differenti rispetto al presente».[2] Se i cambiamenti rilevanti non sono possibili, e anzi nemmeno pensabili, allora rimane una versione minimalista, tecnicista e leaderistica della politica. La governabilità si riduce, per i ragazzi italiani, a decisioni che semplificano i problemi e li amministrano con efficacia, senza tentare di trasformarli e tantomeno di risolverli. Ciò sembra un modo disincantato di vedere il mondo: «il loro è uno sguardo iperrealista, che non concede spazio alle illusioni, anzi racconta una società dai contorni più cupi e scarni di quella descritta dagli adulti, ma che si tende a prendere così com’è, senza l’ambizione di poter cambiare qualcosa di significativo».[3]
3. Ha ragione Elisa Lello interpretando il comportamento dei ragazzi italiani in termini di disincantato iperrealismo? Per rispondere, dobbiamo modificare la domanda: che cos’è, oggi, uno “sguardo realistico”? Immaginiamo quattro situazioni. Nella prima so guidare l’automobile e siedo al fianco di un conducente poco abile: mi preoccupo, perché sarei in grado d’intervenire. Nella seconda circostanza, io non so guidare e, quindi, per i miei spostamenti, mi metto nelle mani di un autista professionista, ossia mi affido a un tecnico. Nel terzo caso, sono su un aereo in panne e il comandante annuncia un atterraggio di fortuna: ho la consapevolezza che nemmeno il tecnico governa l’aereo, ma che non avrebbe senso provare a sostituirmi a lui; malgrado il comandante stesso possa fare poco, non posso che delegargli l’ultimo tentativo. Infine, nella quarta situazione consideriamo le fluttuazioni dei mercati finanziari, i flussi migratori o gli attentati terroristici: siamo alle prese con problemi sistemici, che nessun singolo attore – si chiami Obama, papa Francesco o Mark Zuckerberg – può gestire da solo; e che in alcuni casi, come quello del riscaldamento terrestre, potrebbero già essere fuori dal controllo umano. È facile rendersi conto che il realismo cambia da una situazione all’altra. Nella prima, sono realista se afferro il volante dell’autovettura. Nella seconda e nella terza, sono realista se lascio ad altri l’iniziativa. Nella quarta, il realismo sta nell’agire quando e dove posso “fare la differenza”, ossia avere un impatto, sul problema sistemico. 
4. Per interpretare i comportamenti dei giovani italiani, dobbiamo guardare soprattutto la quarta situazione, quella dei problemi sistemici. Davanti ai problemi ordinari, siamo abituati alla distinzione tra il livello “piccolo” e quello “grande”: soltanto nel secondo si muovono i big players, ossia i soggetti dotati dei mezzi e del potere per decidere e cambiare le cose. In questo quadro la “società politica” si colloca esclusivamente al livello “grande”, mentre al livello “piccolo” incontriamo, al massimo, le forme di cittadinanza attiva della “società civile”, che partecipano ma contano poco o nulla. Negli ultimi decenni, questo quadro concettuale si sgretola poiché, per i problemi sistemici, la distinzione tra macro e micro s’indebolisce. Consideriamo l’inquinamento di un territorio: è più efficace un intervento tradizionale, basato sulle policy delle amministrazioni pubbliche, o una miriade di microcomportamenti non inquinanti dei cittadini? Per un verso, non basta collocarsi al livello macro per essere in grado di governare la finanza, le migrazioni, il terrorismo o l’inquinamento. Per l’altro verso, le interdipendenze tra le parti del sistema sociale sono così intense che quello che accade localmente impatta davvero il globale, e viceversa. La mia ipotesi è che i ventenni italiani siano cresciuti dentro queste nuove coordinate e vi si stiano adattando in modo proattivo.[4] Tra loro tende a emergere, come Lello documenta, «una potenzialità di partecipazione decisamente selettiva».[5] Essi s’impegnano quando e dove possono esprimere la propria opinione e alimentare la solidarietà sociale in contesti delimitati, con metodi trasparenti, per fini verificabili: in breve, essi si battono quando e dove sentono di potere “fare la differenza”.[6] Ciò non implica che ogni ragazzo proceda per conto proprio, essendo individuabili atteggiamenti, valori e visioni che esprimono una precisa cifra generazionale. Come osservava qualche anno fa Carlo Donolo, «i movimenti collettivi, dopo la stagione delle single issues, sembrano ritrovare temi unificanti sul terreno della globalizzazione, delle tensioni tra locale e globale, della resistenza alla mercificazione ormai ultrastrutturale, e anche della diffusione di culture edonistiche».[7] Ovviamente, i temi cambiano (più recentemente, quelli delle disuguaglianze e della “qualità sociale” si sono aggiunti o in parte sostituiti) e i movimenti fluiscono e rifluiscono, ma la vitalità dei ventenni italiani, se la leggiamo con questi “occhiali”, appare molto lontana dalla triste gioventù posta al centro da Elisa Lello. 
5. Concludendo, che cosa può e deve fare, in Italia, un’organizzazione politica di sinistra, per dialogare con i giovani? Tra vari spunti interessanti proposti da Lello, cito quello che mi pare più convincente: «la politica sembra avere perso di vista la capacità di confrontarsi sul futuro, estinguendosi nell’eterno presente della ricerca “in tempo reale” del consenso dell’opinione pubblica. I giovani scambiano per “oggettivo” ciò che invece è opera di costruzione politica (le “emergenze” del momento), ma è la politica stessa ad aver rinunciato a porsi come confronto aperto tra scenari futuri alternativi, dissimulandosi dietro la maschera dell’oggettività e della mancanza di alternative».[8] Questa tesi si rafforza se, come ho sostenuto, la natura dei maggiori problemi è sistemica. Un problema sistemico, come abbiamo visto, non è affrontabile da un singolo attore, quasi mai ha un’unica soluzione ottimale, talvolta non ha soluzioni definitive, e comporta interdipendenze tra i livelli istituzionali tali che vi sono molti modi per incidere su di esso, anche a livello locale. Ne segue che un problema sistemico comporta scenari alternativi d’intervento. Siamo agli antipodi del paradigma ideologico propagandato dal neoliberismo: anziché davanti alla fine della storia, la politica ritrova la propria vocazione, consistente nel far dialogare pubblicamente, anche in modo conflittuale, scenari alternativi. Se i problemi sistemici comportano “troppe” possibilità che occorre selezionare, è su questo – sul terreno della capacità progettuale – che la politica di sinistra può e deve incontrare i ragazzi di vent’anni. 

NOTE

[1] Elisa Lello, La triste gioventù. Ritratto politico di una generazione, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2015, capitolo 2. 

[2] Elisa Lello, “Perché i giovani non protestano?”, Sbilanciamoci.info, 12 dicembre 2015, p.4. 

[3] Elisa Lello, La triste gioventù, op.cit., p.86. 

[4] Il fondamento della mia ipotesi sta, principalmente, nella mia esperienza di docente universitario, che interagisce con centinaia di giovani all’anno. Un altro fondamento si può rinvenire nelle stesse inchieste qualitative che Lello riporta nel suo libro: una serie di risposte e di tabelle sono suscettibili di più interpretazioni; ma, su questo, qui non posso soffermarmi. Infine, l’unico autentico fondamento di una certa “lettura” della realtà sociale dovrebbe risiedere nella sua capacità, o meno, di legittimare e arricchire una certa forma di azione politica: è ciò di cui parlo alla fine dell’articolo. 

[5] Ivi, p.xxv. L’autrice illustra questa tendenza, ma la giudica laterale e minoritaria rispetto alla propensione alla disillusione, che costituisce la sua tesi interpretativa centrale. 

[6] Ivi, p.111. 

[7] Carlo Donolo, Italia sperduta. La sindrome del declino e le chiavi per uscirne, Donzelli, Roma, 2011, p.76. 

[8] Elisa Lello, “Come rispondere al disagio dei giovani”, Sbilanciamoci.info, 22 dicembre 2015, p.6.

Fonte: MicroMega online 

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