di Felice Besostri
Analizzare le elezioni del 2015 in Spagna per trarne insegnamento politico è un modo di seguire, nel 70° anniversario nel 2016, l’esortazione lanciata da Carlo Rosselli alla Radio di Barcellona il 13 novembre 1936. Le carte in mano della soluzione politica, a Madrid, ce le hanno Podemos e il Psoe, e questo apre finalmente delle nuove prospettive per la sinistra e non solo in Spagna. Per la prima volta i voti si potrebbero politicamente sommare, cosa esclusa nei voti Psoe-Pce ed anche Psoe-Iu.
Malgrado la politica economica e istituzionale (legge elettorale e revisione costituzionale) del Pd, lo spazio politico di espansione da noi è potenzialmente coperto dal M5S, ma verso di esso ci sono diffidenze e preclusioni, inesistenti o quasi nei confronti di Podemos. Last but not least, con i gruppi dirigenti degli spezzoni organizzati della sinistra, a prescindere da chi si è già chiamato fuori, difficilmente si annuncia un radioso futuro: ma contro di essi il processo di ricomposizione unitaria neppure inizia.
Il successo di Podemos e, in minor misura rispetto alle previsioni, di Ciudadanos non si spiega con il recupero dell’astensionismo, ma deriva da una redistribuzione dell’elettorato che non ha colpito soltanto il bipolarismo Pp-Psoe, ma anche i Partiti nazional-regionalisti, tradizionale puntello dei governi quando Pp o Psoe non avevano la maggioranza assoluta. Eppure le elezioni spagnole, come prima quelle greche e più recentemente portoghesi e i cambiamenti nella leadership del Labour Party, hanno scatenato un’offensiva mediatico-politica per un governo di responsabilità e stabilità nazionale Pp-Psoe, il cui significato è reso ancor più palese nella valorizzazione a sproposito dell’Italicum (vedi i consigli del prof. Panebianco e di Paolo Mieli dalle colonne del Corriere della Sera).
La Spagna è un caso dal quale possono venire indicazioni, ma bisogna partire da lontano e non ridurre la storia alla cronaca dell’ultimo successo di una nuova formazione, come Podemos, il nuovo faro di Capo Speranza, dopo Syriza, per una frustrata sinistra italiana, che nelle prossime elezioni politiche nazionali (2017? 2018?) vede avvicinarsi lo spettro del 2008 con l’esclusione dal Parlamento. Nel 2013 una parte della sinistra fu salvata da un premio di maggioranza incostituzionale. La soglia ribassata al 3% si deve sperare non costituisca una tentazione per salvare una testimonianza parlamentare per pezzi di sinistra, per di più in concorrenza tra loro (Sinistra Italiana, eredi delle liste Altra Europa, Civati e il suo Possibile).
L’alternativa ad una grande coalizione Pp-Psoe allargata a Ciudadanos, 252 seggi totali (altrimenti non si raggiungono i 3/5 o i 2/3, secondo i casi, previsti dall’art. 167 della Costituzione per la sua revisione) è un accordo Psoe-Podemos (159 seggi) con il sostegno dei partiti nazional-regionalisti (26) e di Up-Iu(2). Si tratta di un’occasione unica e non ripetibile, anche se difficile.
Tuttavia non è possibile prevedere scenari soltanto sommando il numero dei deputati, senza valutare la loro capacità di coalizione. Un’intesa Psoe-Podemos nella situazione data avrebbe un significato politico per eventuali elezioni anticipate; per avere un governo stabile non è necessario alterare la rappresentanza con premi di maggioranza o ballottaggi farlocchi. In Spagna la fiducia è data al solo Presidente del Governo non a una coalizione. Sono anche possibili governi di minoranza che non possono essere abbattuti se non da una maggioranza, assoluta costruita intorno un altro Presidente del Governo. Se non c’è nemmeno una maggioranza semplice intorno ad un Presidente entro 2 mesi dalla prima votazione si va ad elezioni anticipate.
Con il Porcellum il Pp avrebbe avuto la maggioranza assoluta, che gli elettori gli hanno negato, con l’Italicum ci sarebbe stato un ballottaggio Pp-Psoe, cioè tra i grandi sconfitti a prescindere dal fatto che i comportamenti elettorali sono influenzati dalla legge elettorale esistente e quindi non era detto che il ballottaggio sarebbe stato Pp/Psoe.
Un accordo Psoe-Podemos è possibile soltanto sulla base di un grande progetto di cambiamento, che abbia ben presente il quadro politico europeo: una rigenerazione politica di tutti i soggetti in campo a cominciare dal Pse ma anche della Sinistra unita europea; se l’espansione della sinistra alternativa dovesse dipendere dallo sfaldamento socialista, sarebbe inevitabile la vittoria delle destre. Occorre avere ben chiare le priorità e quale sia il pericolo maggiore per le masse popolari.
Se si è convinti che siamo di fronte ad un attacco generalizzato alla democrazia, perché il rafforzamento degli esecutivi è la strada obbligata per far passare le politiche di austerità, controllare il disagio sociale con leggi eccezionali di repressione del dissenso e i fenomeni migratori con la chiusura delle frontiere, l’unità per difendere gli spazi democratici è una scelta obbligata. In tutti i paesi europei si rafforzano gli esecutivi di pari passo con il peso crescente delle organizzazioni e istituzioni internazionali, nelle quali gli Stati sono rappresentati, quasi esclusivamente, dai loro governi: anche nell’Unione europea si rafforzano movimenti politici non vincolati ai valori democratici, ma identitari quando non apertamente xenofobi.
La crisi economica, che non è solo finanziaria e produttiva, ma anche politica, sociale e morale richiede un nuovo modello di società che aumenti le libertà e diminuisca la diseguaglianza: questa è la sfida alla sinistra, che non può essere superata senza una nuova dinamica unitaria. Ai partiti socialisti deve essere richiesto di ritrovare le ragioni della loro diversità dal capitalismo e alle altre componenti della sinistra di superare il settarismo e le tentazioni autoreferenziali. Quest’anno cade il centenario della conferenza di Kienthal( 24–30 aprile): sarebbe il caso di far rivivere quello spirito, se non vogliamo rinunciare alla speranza di una società più giusta e libera e senza l’incubo di devastanti cambiamenti ambientali, minaccia alla stessa sopravvivenza dell’umanità.
Fonte: il manifesto
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