di Andrea Fabozzi
La fila è lunga. «Abbiamo già superato il quorum?», si scherza sperando di riuscire a entrare. Al debutto del comitato del No si riempie subito l’aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio, mentre nell’aula quella vera — stesso palazzo — la riforma procede sul velluto. Arriva l’ultimo sì della prima lettura e comincia in contemporanea il lungo avvicinamento al referendum, che in questo caso non prevede quorum. Allora la domanda è un’altra: come ci si oppone a un plebiscito?
Come si sfugge, cioè, allo schema innovatori contro conservatori? Secondo Gaetano Azzariti centrando la campagna elettorale sugli enormi problemi della rappresentanza e del parlamento, per mettere in luce quanto sia «scarsa» la riforma di Renzi di fronte alla «crisi dello stato costituzionale». Secondo Stefano Rodotà bisogna fronteggiare «l’antipolitica di governo» avviando una lunga stagione referendaria.
Ma il primo problema che ha davanti il comitato promotore del No riguarda la sua stessa genesi. Se è vero che il referendum non può chiederlo il presidente del Consiglio, come invece racconta di voler fare (in sua vece firmeranno la richiesta un numero sufficiente di parlamentari renziani), è vero anche che un comitato di cittadini avrebbe bisogno di 500mila firme per opporsi in questa veste alla revisione costituzionale. Firme che andrebbero raccolte in tre mesi dall’ultima approvazione del disegno di legge Renzi-Boschi, prevista per la seconda decade di aprile. L’alternativa — dovendo escludere che si trovino cinque consigli regionali contrari alla riforma — resta quella delle firme di 126 deputati o 65 senatori di opposizione: quelle sono assicurate. Se non si raccolgono le firme dei cittadini, al referendum si andrà per questa strada, come fu nel 2001 quando il centrodestra provò a opporsi al nuovo Titolo V approvato dal centrosinistra. Anche allora firmarono sia i parlamentari favorevoli che quelli contrari alla riforma, che il referendum alla fine confermò.
Questa volta i parlamentari che raccoglieranno le firme, e tra questi ci saranno anche quelli di Forza Italia e della Lega, potranno costituire anche più di un comitato per il No: costituirsi in comitato dà diritto a spazi televisivi e a un rimborso sulla base dei voti. Neanche i parlamentari del Movimento 5 Stelle aderiranno al comitato lanciato ieri, che è presieduto dal costituzionalista Alessandro Pace e che ha come presidente onorario il professore Gustavo Zagrebelsky. È questo il gruppo dei costituzionalisti che si sono opposti in ogni modo alle riforme spinte da Renzi (ma anche prima da Letta) negli ultimi tre anni, attraverso numerosi appelli (l’ultimo quello firmato da Lorenza Carlassare, Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Stefano Rodotà e Massimo Villone, tutti presenti ieri, a ottobre sul manifesto). Questo comitato sta mettendo in piedi comitati locali nelle città e si è già dato un altro appuntamento per il 30 gennaio alla Sapienza a Roma, coinvolgendo le associazioni — a cominciare da Anpi e Arci.
Ieri è apparso chiaro che all’interno di questo comitato c’è chi spinge per provare a raccogliere le 500mila firme, così da poter procedere in maniera parallela ma autonoma dai parlamentari di Sinistra italiana e dai civatiani che sono disponibili ad accompagnare i costituzionalisti. Felice Besostri, l’avvocato che sta promuovendo i ricorsi nei tribunali contro l’Italicum, ha detto tra gli applausi che «anche se pensiamo di non riuscire a raggiungere le firme necessarie, dobbiamo provarci come iniziativa di mobilitazione». Obiettivo che invece, secondo altri, si può raggiungere meglio accompagnando al referendum sulla riforma costituzionale un pacchetto di referendum abrogativi, il primo dei quali è quello contro l’Italicum che ha già un comitato promotore (presidente Villone, presidente onorario Rodotà). Ma sono in fase di avvicinamento anche i referendum contro la legge sulla scuola e contro il Jobs act. Per tutti quanti andranno raccolte le firme, proprio a partire da aprile. E come sempre quando c’è da raccogliere firme si guarda a cosa farà il sindacato: al momento la Cgil sarebbe disponibile a impegnarsi per i referendum «sociali», scuola e lavoro, mentre non ha ancora sciolto la riserva su quelli «istituzionali», legge elettorale e soprattutto riforme. Nove anni fa, nell’unico esempio di referendum costituzionale dove il fronte del No ha vinto, quello contro la «devolution» di Berlusconi e Bossi, furono raccolte oltre alle richieste dei parlamentari e dei consigli regionali anche un milione di firme dei cittadini.
Fonte: il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.