di Roberto Musacchio
Sarà che il giornale fondato da Antonio Gramsci, l'Unità, è diventato ben altro da quello immaginato dal suo padre nobile, ma la perdita di senso ha investito anche una delle parole chiave che hanno accompagnato la storia gloriosa della sinistra in Italia: l'unità, appunto. Del resto Gramsci insegnava anche lo spirito di scissione, scissione dal pensiero dominante, e dava all'unità il senso primo di unità del popolo – diremmo oggi di ciò che il liberismo divide – e della tua parte. Non casualmente è stato fondatore di un partito, quello comunista, che ha costruito una storia lunga e complessa proprio sapendo usare e dello spirito di scissione e dell'unità. Un partito forte e articolato, profondamente autonomo e, anche per questo, unitario.
Nella situazione dissestata della sinistra in Italia di oggi, che naturalmente risente di una sconfitta molto piu' grande del movimento operaio in particolare nella dimensione europea e nella incapacità di ripensarsi in essa, da tempo ho pensato che l'unità tornasse ad essere un elemento prezioso per provare a riprendere un cammino.
Naturalmente accompagnato da un nuovo spirito di scissione in particolare rispetto alla costruzione dell'Europa Reale che ha travolto, corrotto, emarginato le vecchie sinistre. È del tutto evidente che parlare di unità significa affrontare questioni enormi. Penso appunto alle rotture operate dalla rivoluzione neo-liberale e dall'edificazione europea. E dunque a temi come la precarizzazione, i migranti, le nuove gerarchizzazioni. Fare coalizione sociale è indispensabile ma tutt'altro che facile.
Naturalmente accompagnato da un nuovo spirito di scissione in particolare rispetto alla costruzione dell'Europa Reale che ha travolto, corrotto, emarginato le vecchie sinistre. È del tutto evidente che parlare di unità significa affrontare questioni enormi. Penso appunto alle rotture operate dalla rivoluzione neo-liberale e dall'edificazione europea. E dunque a temi come la precarizzazione, i migranti, le nuove gerarchizzazioni. Fare coalizione sociale è indispensabile ma tutt'altro che facile.
Anche guardando più terra terra, all'unità politica, non c'è dubbio che le difficoltà siano comunque grandi ed alimentano un moltiplicarsi dei distinguo che sembra non aver fine. L'unità dal basso e non dall'alto. Quella dei militanti e non dei ceti politici. L'auto rappresentanza e non la delega. Quella di governo contro quella identitaria. Quella con chi ci sta. Quella dei campi larghi e quella della linea giusta. Quella di azione e quella di partito. E si potrebbe continuare.
Ma volendo stare all'attualità, e al mio vissuto, mi prendo il diritto di dire che pure qualche passo avanti era stato fatto. La lista l'Altra Europa con Tsipras ha provato a cimentarsi su una dimensione nuova, quella europea, e di li a ricostruire un nesso tra spirito di scissione e unità. Con qualche risultatp, modesto ma di prospettiva. La difficoltà a praticare sul serio un'altra Europa ha certo mostrato subito la difficoltà del cimento a partire dalla durezza dello scontro greco e di una Grecia lasciata sola e subito diventata occasione di nuove divisioni. Ma, restando questo per me il tema fondamentale, vorrei oggi dire della dimensione italiana che certo non prescinde ma ha le sue prerogative. Il lungo tavolo delle sinistre esistenti, che naturalmente si prestava ad ogni critica possibile a partire da quanto non fosse lì rappresentato, aveva pure prodotto un testo unitario, Noi ci siamo, sottoscritto da tutti, e aveva convocato un'assemblea. Il tutto è durato assai poco, quasi immediatamente travolto dagli infiniti distinguo che sembrano ormai aver trasformato quello che un tempo era comunque possibile chiamare popolo di sinistra in una serie infinita di gruppi e monadi sospettose, anche giustamente per le troppe disillusioni, ma senza, almeno a mio giudizio, capacita' di andare oltre. Mi è capitato di scrivere che i processi unitari si possono fare o per grande spirito costituente, o per manifesta egemonia di una parte capace di farsi tutto, o per "terreno di lotta" cioè con una lotta per l'unità. E di dire che mi pare che noi si sia in questa terza situazione. Oggi vorrei aggiungere una quarta evenienza: l'unità come pratica terapeutica di noi stessi.
Lungi da me l'idea di psichiatrizzare la situazione, anche per lunga relazione con i movimenti basagliani. Ma voglio solo, politicamente, riflettere su cio' che la rottura del processo unitario e della speranza comunque suscitata sta determinando. Non parlo solo del disincanto diffuso ma dell'avvitarsi delle singole parti in problemi che rischiano di dilaniare ulteriormente gli stessi che hanno fatto venir meno l'unità più larga in nome di una "propria" idea di unita'. Basta vedere cosa accade intorno al tema delle cosiddette alleanze di centro sinistra e a come una offensiva, per altro forte, del Pd e di Renzi, rischi di essere sufficiente per dilaniare interi corpi politici. Ma lo stesso tema delle identità politiche affrontato fuori da un contesto ampio e in divenire rischia di rifluire in identitarismo, vecchio o nuovo. E costruire coalizioni sociali o autorappresentanza, al netto di un nuovo processo politico grande e forte capace di invertire il corso degli eventi, rischia il velleitarismo. Naturalmente tutti questi problemi esistono in sé.
Ripensarsi prendendo atto della crisi europea del centro sinistra non è facile. Naturalmente lo dico dal punto di vista di chine è già convinto da tempo, ma anche con rispetto e pazienza per chi ancora cerca vie di fuga in una situazione come quella italiana che in breve tempo è passata da quella che dal mio punto di vista è l' illusione dei sindaci buoni alla realtà del partito della nazione, che è poi il partito della Troika.
Desidero interloquire su questo. Vorrei sostenere im modo convincente che se proprio nei territori non si esce dalla morsa del partito della Troika non si riuscirà mai a raggiungere i risultati di Barcellona o Madrid. E che questo processo, come a Barcellona e Madrid, passa da uno spirito di scissione che ricostruisce una diversa unità. E così vorrei dire la mia su come le identità si possono rendere feconde e non mummificare, o su come l'unità sociale o l'autorappresentanza non eludono la politica ma hanno bisogno di una politica grande. Fare insieme, in tanti, senza pregiudizi, queste discussioni può aiutare a trovare soluzioni migliori. Per questo dico che l'unità è anche terapeutica. Nella mia esperienza ho vissuto corpi politici piccoli e potenzialmente "coesi", corpi grandi e anche intermedi. Alla fine posso dire che imparare a vivere la complessità. L'etica del discorso, per citare Habermas, è un grande contributo a evitare i solipsismi. La politica è anche provare a incrociare la propria vita con la storia cercando risposte all'una e all'altra.
Per questo, anche alla luce dei fatti di queste ore , mi sento di rilanciare questo bisogno "terapeutico" di unita'. Avevamo un appello, Noi ci siamo. Io l'ho sottoscritto. Come bisogno di fare la lotta per l'unità con uno strumento che era di tutti. E insisto a chiedere che, anche ripensando ciò che è già stato proposto, si faccia una vera assemblea di tutte e tutti per affrontare insieme i problemi, fare insieme i referendum che tanto peseranno sulle nostre vite costituzionali e sociali, fare le lotte, reagire alle aggressioni di chi ci vuole dividere, fare un soggetto politico nuovo e di tutte e tutti.
Fonte: listatsipras.eu
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.