di Fulvio Scaglione
Sorprende qualcuno che il New York Times si scagli contro Julian Assange e appiccichi aWikileaks, il sito da lui creato per la rivelazione di materiali segreti, l’etichetta di “lavanderia” di notizie a uso e consumo del Cremlino e di Vladimir Putin? Proprio no. E nemmeno sorprende che la stampa italiana riprenda il presunto dossier del giornale americano senza farsi troppe domande: l’assioma “la Clinton è comunque meglio di Trump” giustifica tutto, ormai.
E allora andiamo a vedere le cose un po’ più da vicino. Intanto: quello del New York Times non può proprio essere chiamato “dossier”. Non ci sono notizie e nemmeno novità. Illazioni a volte argomentate, opinioni più che legittime. Ma notizie no. E infatti gli articolisti delNew York Times a un certo punto sono costretti a citare il parere di anonimi “funzionari” del Governo Usa i quali dicono, o avrebbero detto: siamo convinti che Assange non lavori per i servizi segreti russi ma che le sue rivelazioni spesso vadano a favore del Cremlino.
Per il giornale newyorkese, però, Assange è filorusso. E una delle “prove” sarebbe questa: l’hacker australiano ha “una posizione decisamente filo-russa sugli eventi in Ucraina” perché ha dichiarato a una testata argentina che “gli Usa hanno fomentato i disordini in Ucraina per portarla nell’orbita dell’Occidente e sottrarla all’influenza russa”. Perbacco! È solo quello che due terzi dell’umanità pensano. Ed è quello che persino Victoria Nuland, vice-segretario di Stato Usa, ha di fatto ammesso quando ha detto che “gli Stati Uniti hanno appoggiato gli ucraini nello sviluppo di istituzioni democratiche nello sviluppo di capacità atte a promuovere la società civile, una buona forma di governo e quanto può rivelarsi necessario per raggiungere gli obbiettivi di un’Ucraina europea. Abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari per aiutare l’Ucraina a raggiungere questi ed altri obbiettivi”.
Altra curiosità del presunto dossier è che il New York Times, mentre demonizza Assange, tesse l’elogio di Edward Snowden, l’ex contractor della Nsa (National Security Agency) americana che nel 2013 rivelò come i servizi segreti Usa spiassero mezzo mondo, a cominciare dai più fedeli alleati. Con la differenza che Assange è chiuso da quattro anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra mentre Snowden gode di asilo politico…a Mosca!
Sempre per rimanere ai due. I guai giudiziari di Assange cominciarono proprio in coincidenza con le rivelazioni del 2009-2010, quando Wikileaks pubblico migliaia e migliaia di documenti del Dipartimento di Stato allora diretto da Hillary Clinton. In quei cablo riservati veniva tra l’altro portata allo scoperto la doppia faccia della politica americana in Medio Oriente: nel riserbo degli uffici la Casa Bianca criticava i sauditi come finanziatori dell’estremismo islamico e del terrorismo, in pubblico garantiva agli stessi sceicchi grandi sorrisi, vendite di armi e protezione. Usciti quei documenti, all’improvviso arrivarono contro Assange non solo i mandati di cattura della giustizia americana ma anche, dalla Svezia, le denunce per violenza carnale. Ora, a campagna presidenziale in corso, Assange l’ha rifatto: con la pubblicazione di migliaia di mail della direzione del partito democratico, ha fatto sapere che lo stesso Partito non ha mai avuto intenzione di far gareggiare Bernie Sanders e la Clinton su un piede di parità, ma ha fatto di tutto per sabotare il primo e garantire alla seconda, perfettamente al corrente dei maneggi, un’agevole nomination. È chiaro che il New York Times, che da mesi spara a palle incatenate contro Trump e batte il tamburo per la Clinton, non può impazzire d’amore per Assange. E ripete l’operazione di sputtanamento non più accusando Assange di essere un violentatore ma bollandolo come collaboratore del perfido Putin.
E il Cremlino? I servizi segreti russi? Gli hacker dell’Est? Per carità, è tutto possibile. Anzi, è probabile che Putin e i suoi un’occhiata in certi maleodoranti ripostigli della politica americana la diano più che volentieri. E magari non solo in quelli, se è vero (come molti pensano) che siano stati proprio i servizi segreti russi ad avvertire Erdogan dei progetti golpisti dei militari turchi. Però non dimentichiamo che, come si dice, “con le brache calate” finora sono stati colti Barack Obama e Hillary Clinton. Il primo, e lo sappiamo senza ombra di dubbio dai documenti pubblicati da Edward Snowden, aveva fatto mettere sotto ascolto i cellulari di leader legittimi e democratici come Angela Merkel e Francois Hollande e faceva spiare dalla Nsa i Governi di cinque continenti. Per primi, è il caso di ripeterlo, quelli europei, anche se più che comprensivi con le esigenze e le strategie degli Usa. La seconda, cioè la Clinton, anche a lasciar perdere le porcherie emerse con Wikileaks nel 2010 sul Medio Oriente e due mesi fa con gli intrighi del Partito Democratico, è comunque quella che ha fatto sparire nei suoi computer privati migliaia di mail compromettenti sulla crisi della Libia. E questo ce l’ha detto l’Fbi, non il primo hacker di passaggio.
Fonte: occhidellaguerra.it
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